In una storia collegata alla fondazione stessa dell’antica dinastia degli Han, attorno al 202 a.C, il futuro imperatore Gao Zu si ritrovò circondato dai suoi nemici all’interno della città fortezza di Pingcheng. Quando tutto appariva ormai perduto, tuttavia, il suo consigliere Chen Ping venne a sapere di come il generale delle forze assedianti, Mao Dun, avesse dei problemi con la moglie, la quale sospettava che gli fosse stato infedele in diverse occasioni nel corso degli ultimi anni. Elaborando un piano degno dei più insigni strateghi del suo paese, l’aspirante sovrano pensò quindi di far costruire una serie di marionette, simili a prostitute, da far danzare sopra le alte mura dell’insediamento. Sul profilarsi del tramonto, viste da lontano, tali figure sembrarono a tal punto delle persone vere, da causare l’irritazione dell’augusta consorte, costringendo il temuto Mao Dun a ritirarsi. Verità o finzione, non è troppo difficile immaginarlo. Ciononostante questo aneddoto, redatto dallo storico Duan An’jie, sembrerebbe alludere a un qualcosa di estremamente specifico, e quel qualcosa altro non sarebbe che il teatro delle ombre cinesi. Permettendo di far risalire la sua storia ad un lungo e travagliato susseguirsi di oltre venti secoli a questa parte. Abbastanza per creare una forma d’arte alquanto distintiva e dalle molte diramazioni attraverso i vari periodi storici e regioni del Regno di Mezzo.
Una di queste, forse la più notevole ancora oggi praticata innanzi a un pubblico con cadenza più che regolare, risulta essere sostanzialmente collegata alla figura del suo celebre praticante, Fan Zheng’an, nato nel 1945 a Tai’an, nella regione dello Shandong. Non troppo lontano da quell’eponima e sacra montagna di Tai, tradizionalmente associata a un’importante scuola della rappresentazione scenica grazie all’utilizzo delle marionette bidimensionali, caratterizzata dal coinvolgimento di un singolo, versatile praticante. Ovvero lui, che interpreta con la sua voce ciascun singolo personaggio. Lui che preme con il piede sul pedale dei tamburi e cimbali dell’accompagnamento musicale. E soprattutto lui, senza nessun tipo di assistenza, che solleva ed anima con le sue mani fino a 12 pupazzi allo stesso tempo. Senza che l’energia espressiva del racconto ne risenta in alcuna risibile maniera, ma piuttosto infondendo, nell’intera circostanza, tutta l’arte ed il coinvolgimento fisico di quei momenti. Con un’abilità ed esperienza tali da essere stato nominato, nel 2011, parte del patrimonio culturale immateriale della Cina stessa, pochi anni dopo aver inscenato parte del suo repertorio innanzi ai membri riunitisi in congresso del Partito Comunista a Pechino, incluso il primo ministro Wen Jiabao. Forse il punto più alto di una carriera lunga decadi, ma che ancora oggi pare ben lontana dal suo tramonto…
Diventato celebre, al volgere degli anni, per il suo entusiasmo spontaneo e l’atteggiamento soltanto in apparenza disordinato, Fan Zheng’an costituisce in effetti l’attuale maestro di una linea lunga sei generazioni, tramandata grazie agli esponenti di questa scuola d’intrattenimento dal contesto popolare, lungamente trascurata dalle biblioteche o grandi scuole d’insegnamento. Così egli racconta, in lunghi e appassionati excursus autobiografici, di come all’età di soli 8 anni fosse rimasto profondamente colpito dal teatrino locale delle ombre, presso la sua cittadina dei remoti recessi montani dell’entroterra continentale. E della maniera in cui, con un certo fastidio da parte del commediante e i suoi assistenti, avesse iniziato a girargli costantemente attorno, invadere lo spazio sacro dietro il palcoscenico con la scusa di pulire tramite l’impiego di una scopa d’ordinanza. Ma traendo in cambio l’ispirazione e le tecniche che avrebbe dunque, nel silenzio della propria stanza, messo in pratica di fronte a uno specchio, noncurante delle critiche dei suoi genitori. Fu già nel 1958 che gli si presentò l’occasione a soli 13 anni di unirsi come apprendista alla compagnia Quyi, dove avrebbe dato inizio alla sua lunga esperienza professionale. Destinata a crescere e arricchirsi anche durante gli anni della rivoluzione culturale, quando imparò a narrare storie che piacessero ai suoi superiori nell’esercito ed in seguito, iniziando a viaggiare in lungo e in largo per il paese presenziando a feste, matrimoni ed altre ricorrenze. Ogni volta lasciando increduli tutti coloro che, al termine della rappresentazione, scoprivano come soltanto una singola persona si trovasse dietro lo schermo bianco semi-trasparente, utilizzato come palcoscenico tradizionale per il teatro delle ombre.
Tra il repertorio dei suoi pezzi maggiormente apprezzati, figura l’intero canone dell’eroe e successivo nume tutelare domestico Shi Gandang, che risiedendo sulla cima del Taishan era solito aiutare i viandanti, uccidendo demoni o allontanando l’insorgere di vari tipi di malattie. Mentre un’innovazione drammaturgica del signor Fan, per il suo ambito espressivo, è costituita dalla serie dei racconti del Viaggio in Oriente, a Nord ed a Sud, creati sulla base del famoso romanzo di Wu Chéng’en in merito alla ricerca dei rotoli del sapere buddhista in India, ma aventi come protagonisti i sette Dei della Fortuna piuttosto che il monaco Sanzang ed i suoi tre compagni. Tutti eccezionalmente raffigurati grazie alla sapienza produttiva dei fabbricanti di marionette in pelle d’asino o di bufalo della regione dello Shandong, anch’essi depositari di una lunga e ininterrotta opera artigianale, che si diceva un tempo essere costituita da otto procedure: scegliere la pelle, prepararla, disegnarci sopra, aggiungere i dettagli, intagliarla, colorarla, stirarla e rifinire l’opera nel suo complesso. In base ad un preciso metodo espressivo, che prevedeva ad esempio cinque “punte” per il volto dei personaggi eroici o positivi, e sette punte per i loro antagonisti nel corso della vicenda. La dimensione delle figure, a seconda dell’opera rappresentata, può inoltre variare tra i 55 e 10 cm con un numero conseguentemente variabile di bastoncini utilizzati per manovrarle. Tra cui le proporzioni intermedie sembrerebbero essere le preferite per i pochi praticanti rimasti della tecnica completamente solitaria del teatro di Tai’an. Un numero di artisti, ad ogni modo, in continuo aumento dopo la nomina dello stesso Fan Zheng’an a numerose cariche didattiche di alto livello, tra cui professore in visita dell’Accademia dell’Arte di Pechino, dell’Università dello Shandong e dello Hebei, direttore del Museo dell’Arte Popolare di Jinan e preside dell’Istituto di Ricerca dell’Arte delle Ombre del Taishan. Avendo anche insegnato, nel frattempo, tutto quello che sapeva al figlio Fan Weiguo, già selezionato come settimo depositario della tradizione degli artisti di questa notevole discendenza professionale.
Forma d’arte in linea di principio internazionale, ma che se crediamo alle associazioni letterarie e storiche può aver avuto soltanto origine in quel particolare paese, spinto da una ricerca della creatività eclettica capace di stupire o appassionare i membri di una corte dall’elevato grado di sofisticazione. O persino l’Imperatore stesso, in un altro aneddoto che ne vorrebbe l’invenzione a seguito della dipartita per malattia dell’amata concubina Li (denominata Imperatrice postuma Xiaowu) evento a seguito del quale il ministro Li Shaoweng avrebbe avuto un’ispirazione mentre osservava i bambini del palazzo che giocavano con le ombre create dai loro ombrelli. Per procedere quindi a far realizzare, ed in seguito animare dietro un paravento, la forma della beneamata di fronte al suo sovrano Han Wudi (regno: 141-87 a.C.) commovendolo fino alle lacrime e guadagnandosi la sua preziosa riconoscenza. Una narrazione, rispetto a quella antecedente in apertura a questo articolo, successiva ma ancor più nettamente riconducibile alla forma di teatro che vediamo praticata ai nostri giorni. Con una collocazione contestuale in molti casi paragonabile a quella dei nostri burattini con i personaggi della commedia dell’arte. Ma che può aspirare, in determinate ed equivalenti circostanze, ai recessi più elevati della cultura e storia di un intero popolo. Sebbene siano in molti, persino in patria, a dimenticarlo.