Circa mille anni fa, durante la dinastia dei Song Orientali un taglialegna destinato a passare alla storia con il nome di Wu San-Kwung decise di provare la sua nuova ascia su di un tronco caduto di quercia, sopra cui stavano crescendo dei funghi commestibili dall’attraente forma ad ombrello. Vibrati un paio di colpi poderosi e confermata l’efficacia dello strumento, l’uomo si allontanò quindi soddisfatto per dare inizio alla sua giornata di lavoro tra le montagne della provincia dello Zhejiang. Alcuni giorni dopo, ritornando sulla scena di quel gesto, scoprì qualcosa d’inaspettato: nei punti in cui il tronco riportava i segni orizzontali dei suoi colpi, i funghi erano cresciuti più numerosi. Allora colpì il tronco ancora ed ancora, ricoprendolo di tagli. Ed in ciascuno di essi, nel giro di poche decine di ore, i funghi continuavano a moltiplicarsi. Dopo circa una settimana di ottime zuppe, tuttavia, la magia della quercia sembrò essersi esaurita. Allora Wu San-Kwung, improvvisamente frustrato, si sfogò percuotendo il fusto ormai quasi del tutto privo di corteccia con il manico dell’ascia, ancora ed ancora. Nel farlo, non si aspettava chiaramente nessun tipo di risultato. Ma la realtà dei fatti era destinata a sorprenderlo, di nuovo: quando facendo ritorno sulla scena del delitto, trovò la quantità di funghi maggiori fino a quel momento, letteralmente traboccanti dal cadavere della vecchia quercia. Qualcosa di assolutamente fondamentale, per la prosperità futura della civiltà rurale cinese, era stato scoperto. Non a caso la traduzione del nome di quell’uomo, in realtà più che altro un titolo, significa “Padre del [fungo] Xiānggū” una specie chiamata scientificamente Lentinula edodes. Ma che potreste conoscere col nome giapponese di shiitake (椎茸). Un ingrediente al giorno d’oggi tanto strettamente associato all’arcipelago più estremo dell’Asia, da aver motivato la teoria secondo cui l’appellativo dal micologo britannico David Pegler nel 1976 potesse effettivamente provenire dall’espressione nipponica edo desu (江戸です) ovvero “questa è Edo”, forse perché particolarmente amato nell’antica capitale nazionale. Una scelta che se fosse vera risulterebbe alquanto eclettica da parte di un occidentale, visto come l’effettivo termine nipponico sia molto più semplicemente una combinazione di shii (椎) un tipo di quercia appartenente al genere Castanopsis e take (茸) fungo. Non che la tassonomia di specie botaniche o animali manchi di essere, occasionalmente, altrettanto insolita e sorprendente. L’importanza di questo particolare alimento fin dalla sua scoperta tuttavia non può essere facilmente sovrastimata, vista la sua ricorrenza all’interno di numerose fonti filologiche di matrice sia cinese che giapponese, citato non solo per l’intrinseco valore gastronomico ma anche la capacità, vera o presunta, di agire come toccasana contro una vasta varietà di afflizioni. A partire da un’esportazione oltre i limiti dell’Asia continentale che una leggenda alternativa attribuisce al mitico quattordicesimo imperatore Chūai, che ne aveva ricevuto in dono una certa quantità dalle tribù sottomesse durante la sua conquista dell’isola occidentale del Kyushu, la più vicina al ponte culturale della Corea. E molti celebri guerrieri, in seguito, avrebbero condiviso i meriti di questa scoperta…
Nessun articolo giapponese sul tema dei funghi shiitake manca infatti di citare il contributo dato alla loro coltivazione dalle gesta del monaco Eihei Dōgen (1200-1253) mistico, filosofo e fondatore del sentiero verso l’Illuminazione della disciplina del Tutto – lo Zen. Il quale meditando nella sua caverna, come molti altri grandi uomini della storia, scoprì ad un certo punto ed iniziò a sfruttare la rapida proliferazione del Lentinula edodes, perfettamente funzionale a ricevere nutrimento senza dover necessariamente scendere a patti con i fastidi derivanti dal chiassoso e distraente consorzio della società coéva. A seguito della copiatura dei suoi scritti e la reputazione imperitura derivante dagli insegnamenti dei discepoli non meno sapienti, fu soltanto naturale per il fungo shiitake seguire la propagazione dello Zen attraverso l’arcipelago ed assieme ad esso attrarre l’attenzione la crescente casta dei colti guerrieri samurai, destinati a lasciare il proprio segno sull’organizzazione della civiltà nipponica non meno dell’ascia sul tronco dell’antico Wu San-Kwung. Così tra gli estimatori del prezioso fungo, vengono citati dagli storici almeno due dei condottieri destinati ad ottenere l’unificazione con la forza dei molti clan feudali intenti a combattersi attraverso le generazioni, il kanpaku (reggente imperiale) Toyotomi Hideyoshi e colui che avrebbe, in un celebre modo di dire, pazientemente “atteso il canto del suo canarino” ovvero il primo shōgun della dinastia dei Tokugawa, Ieyasu. Il che non dovrebbe portarci a pensare, erroneamente, che simili funghi fossero una pietanza riservata soltanto alle famiglie particolarmente facoltose, vista la sua rapidità di crescita e facilità di coltivazione. Con un’origine fatta risalire normalmente attorno all’anno 1664 presso le prefetture di Shizuoka ed Oita, la coltivazione intensiva mediante l’uso di tronchi tagliati (hotagi– 榾木) sarebbe dunque giunta a costituire un caposaldo dell’industria agricola per l’intero estendersi del lungo periodo di pace successivo alla battaglia di Sekigahara, normalmente associato alla fioritura delle arti e delle discipline che viene talvolta definita a posteriori come un vero e proprio Rinascimento giapponese: l’epoca Edo. Tale approccio utilizzato per molte varietà di funghi differenti, dunque, prevedeva il taglio anticipato di arbusti come faggi, castagni, noci, betulle salici e zelkova, nonché ovviamente numerose varietà di quercia, che venivano considerate le più pregiate. Questi ultimi tronchi venivano quindi tagliati a pezzi e deposti in un luogo asciutto per circa un anno, prima di essere accuratamente inoculati col micelio del pregevole edodes[u]. Ma ben presto i coltivatori scoprirono molte qualità inaspettate del mitico “muschio” (苔 – koke, così l’aveva chiamato lo stesso Dogen) proveniente dalla Cina. Tra cui la sua tendenza a crescere in maggiore quantità ogni qual volta un fulmine cadeva nei pressi di un tronco dentro cui aveva attecchito. Oppure l’anticamente già acclarata predisposizione a beneficiare di un certo numero di energici colpi vibrati con appositi attrezzi più volte nel corso del processo di crescita, variabilmente attestati tra la quantità di quattro, sei o dieci. Forse… Per la maniera in cui un tale gesto favorisce la diffusione delle spore ed il radicamento delle ife trasversalmente alle fessure pre-esistenti del legno? Chi può dirlo con certezza, davvero?
Una metodologia, ad ogni modo, destinata a sopravvivere in particolari ambiti e settori di alto pregio in questo paese intrinsecamente legato alle sue tradizioni, benché la coltivazione moderna dello shiitake tenda a prevedere ormai più spesso approcci ultra-moderni tra cui l’utilizzo di pacchetti di nutrienti vegetali creati a misura, piuttosto che preziosi tronchi prelevati dalle ormai sempre più rade foreste del pianeta. Per non parlare del resto del mondo in cui si è progressivamente diffusa nel corso di ameno un paio di decadi la fama di questo ideale “super-cibo” proveniente dall’Oriente, ancora una volta associato ad ottimistiche quanto invidiabili capacità di sottomettere i radicali liberi, allontanare gli spiriti maligni e scongiurare l’insorgenza del cancro. Una teoria che in effetti parrebbe poter contare su una certa quantità di studi clinici, benché ciò valga ormai per una sconfinata varietà di pietanze.
Poiché il destino di ogni essere vivente resta quello anticamente celebrato nell’epica e poetica di questo Regno: la fondamentale impermanenza simile al rintocco della campana del tempio di Gion. Per cui “Anche gli arroganti, prima che passi del tempo, saranno sogni in una notte di primavera. Anche i coraggiosi spariranno uguali a polvere nel vento.” A meno di essere dei funghi, capaci di clonare il proprio essere attraverso il rinnovarsi d’infinite generazioni… Indifferenti al semplice concetto dell’identità individuale e proprio per questo, infusi di una piccola scintilla dell’imprescindibile immortalità.