Un colpo, un salto, un grido dei presenti. Martellate di rettifica, colpi che pretendono di dare forme alternative al metallo. Traversine infrante ed il pietrisco fatto scorrere, come palline in una sala del pachinko dopo il giorno di stipendio. Cosa c’è di giallo e triangolare sotto quell’ammasso che monopolizza i loro compiti assegnati dall’esperienza? Che stanno facendo, esattamente, i circa dieci uomini vestiti come ferrovieri dai trascorsi eminenti? Una definizione che riesce a profilarsi con chiarezza nel momento in cui si guarda il grande boa di ferro e vetro e ruote e fischi di segnalazione. La creatura che nei fatti corre, ma non striscia. Ma che adesso giace, in apparenza ferma per i saecula saeculorum. Finché qualcuno non riesce in tale arduo posizionamento. La misura e la ragione della salvezza…
Non veloce come un aereo, non capiente come una nave, non versatile come un autoveicolo. Eppure sotto multipli punti di vista, il mezzo di trasporto definitivo: affidabile, pratico, funzionale. L’applicazione maggiormente responsabile di aver esteso, oltre ogni più rosea previsione, i vantaggi offerti dall’invenzione della macchina a vapore. Grazie alla caldaia collocata come parte imprescindibile della sua precipua locomotiva. Il Treno che risolve, il Treno che riesce dove ogni altro fallisce, che se trova ostacoli sul suo cammino, può tentare nondimeno di portare a compimento l’importante tragitto. Tranne che in un caso, irrisolvibile! Poiché è natura stessa di colui o colei che ha fatto dei binari la sua intera esistenza, non poter lasciare questi ultimi, senza costose nonché problematiche conseguenze. Le cui derivazioni, ahimè, al giorno d’oggi conosciamo molto bene. In tragici incidenti ed anche devastanti danni ambientali, qualora il carico fosse costituito da sostanze chimiche versate nel sostrato come il contenuto di una longilinea petroliera. E di cause ce ne possono essere diverse, tra cui l’errore umano nel persistere di un metodo di guida imprudente; oppure l’attraversamento di animali, o autisti umani che cionondimeno mancano di leggere i segnali, non capendo i passaggi a livello; o ancora la presenza d’ostruzioni sui binari, tra cui il treno stesso oggetto di un recente deragliamento, dimostratosi incapace o inascoltato nel segnalare l’occorrenza per tempo. Così che al suono del temuto allarme, tutto ciò che i soccorsi possono affrettarsi a fare è correre sul luogo del disastro, per tentare di rimettere i vagoni in condizione di spostarsi nel più breve tempo possibile. Ma voi forse non sapete che nei fatti, un treno può rimettere se stesso sui binari. Se la situazione non è troppo grave e ci troviamo nel giusto paese al mondo, ovvero uno di quelli in cui le norme e regolamenti permettono di usare QUELLA cosa…
Un clamp-on costituisce, d’altra parte, null’altro che un componente metallico dal peso considerevole, configurato come una piccola rampa da incastrare in modo funzionale nella lunga striscia di metallo che costituisce una metà della ferrovia. Mentre un altro dalla forma speculare troverà collocazione dall’altra parte. Simili strumenti lungamente collaudati, in una forma o l’altra esistiti fin dal primo dei deragliamenti, fatto risalire dalle cronache all’8 novembre del 1833 in New Jersey, agiscono dunque come una sorta di rampa, capace di condurre l’interno treno fuoriuscito dal suo transito legittimo di nuovo sopra il punto di scavallamento. Portando le flange coniche di un certo numero di ruote ad incastrarsi con perfetta sincronia operativa. Mediante l’utilizzo di svariate possibili configurazioni e metodologie di blocco, a partire dal cosiddetto approccio Burlington, consistente di una pinza a ganascia stretta sotto il binario grazie all’utilizzo di un cuneo. Mentre il modello Aldon, “Straddle” o SW, preferito normalmente per treni merci o particolarmente pesanti, prevede l’impiego di una semplice catena per incrementare la stabilità del punto di sostegno. Mentre un sistema più antiquato, ma anche semplice da utilizzare, è quello del rerailer cosiddetto McCarty, composto da un singolo pezzo che si aggancia sopra il lungo viale di ferro. Il tutto previo un opportuno studio delle condizioni del terreno e stato delle traversine situate da presso, affinché l’oggetto non si sposti non appena spinto innanzi dalla massa impressionante del treno intento a tirar fuori se stesso dall’impasse. Una soluzione particolarmente pratica, ma che può funzionare soltanto se la locomotiva è ancora in buono stato. E qualora la deviazione dal percorso ottimale non sia andata troppo oltre prima di riuscire a far frenare l’abnorme creatura. Cosa fare, dunque, nel caso in cui le cose siano andate peggio, pur lasciando traccia di un tenuo lucore di speranza?
Nel momento in cui le rampe autogestite fallissero, la ferrovia può scegliere talvolta d’impiegare un HRS (Hydraulic Rerailing System) forse il più scientifico, complesso e preciso dei sistemi a disposizione, per questo preferito in modo particolare nei contesti urbani. Stiamo parlando essenzialmente di un sistema di martinetti idraulici, capaci di sollevare carichi pesanti e poi procedere a bloccarli in posizione grazie all’utilizzo di spessori circolari. Al di sopra di un’apposita trave perpendicolare al senso di marcia, anch’essa integrata nel grande sistema circolatorio del fluido ad altissima pressione tramite una coppia di ulteriori cilindri pronti a tendersi nel senso desiderato. Al fine di operare l’opportuna traslazione, un centimetro alla volta, necessaria ad “agganciare” nuovamente il treno alle due linee che potranno riportarlo a destinazione. Un’operazione che naturalmente richiede più tempo, necessitando in questo caso l’intervento su un vagone alla volta. Ma che riduce notevolmente il frastuono e cosa ancor più importante non causa nessun tipo di danni alle infrastrutture ferroviarie. Il che costituisce, caso vuole, la ragione per cui l’utilizzo delle rampe ad aggancio risulta essere severamente vietata in numerose giurisdizioni dei diversi paesi.
Il che ci porta, nella nostra progressione ideale degli eventi, all’ipotesi logisticamente più complessa, di un deragliamento culminante con la catastrofica deriva di multiple carrozze, possibilmente adagiatosi su un fianco o in posizione totalmente inversa. E come si potrebbe procedere, in tal caso, se non tramite l’impiego di una o più gru per carichi pesanti? Una soluzione forse dispendiosa e certamente non velocissima, ma cionondimeno adattabile ad una quantità di casistiche particolarmente varia. Potendo essere implementata, al giorno d’oggi, tramite diversi approcci tra cui mezzi da cantiere capaci di marciare su strada, o tramite gli stessi binari oggetto dell’incidente. Tanto che nei fatti, a parte i casi in cui l’operazione debba essere effettuata in luoghi particolarmente remoti o irraggiungibili, si tende ormai a preferire questo tipo di soluzione piuttosto che quelle fin qui delineate. Ma chi può dire fino a che punto, questa preferenza possa derivare dal bisogno organizzativo di limitare l’impatto di eventuali errori umani ulteriori. Che poi sarebbe anche il sinonimo di poca fiducia, nei confronti delle nuove categorie professionali. Ma il significato e la profonda verità degli ardui momenti, non è forse la diretta derivazione del preciso metodo finalizzato al conseguimento di… Un qualcosa? Portare un cambiamento positivo nel mondo? Difficile immaginare luoghi migliori per un treno, in tal senso, che la doppia strada metallica della propria funzionale inferenza. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta via ferrata e aspra e forte, che nel deragliar subisce la Natura!