Una Terra ancora giovane, in cui il problema dell’intelligenza non aveva ancora consumato le considerevoli risorse in grado di rappresentare un potenziale inespresso. E gli animali vertebrati, che rappresentavano una minoranza, non godevano di alcuna posizione di preminenza. Così che già intorno ai 400-390 milioni di anni a questa parte, soltanto due categorie di pesci erano in grado di resistere alla fame degli artropodi, forme di vita primordiali che parevano possedere la chiave dei mari, gli ostracodermi privi di mascella e gli gnatostomi, entrambe categorie biologiche non troppo imponenti ma capaci di evolvere la propria forma di corazza particolarmente coriacea e resistente. Il che avrebbe costituito, per un lungo periodo, la principale garanzia difensiva in un ambiente caratterizzato da una ferrea e ininterrotta competizione per la sopravvivenza. Eppure nulla dura per sempre, ed è così che a questi tonni in senso latente già forniti di una scatoletta, la natura avrebbe finito per contrapporre la sua più fedele versione di un apriscatole gigante. Se guardate attentamente, riuscirete a vederlo in agguato tra la sabbia: 12 segmenti più il telson, pinna orizzontale simile a quella di un’aragosta. Ma se è vero che il più apprezzato dei crostacei odierni riesce a crescere per l’intero corso della sua lunga vita, potendo idealmente raggiungere un peso massimo di circa 8 Kg, per sfidare in stazza la qui presente creatura ella avrebbe dovuto sopravvivere attraverso il ciclo d’incalcolabili generazioni. In quanto il Jaekelopterus degli euripteridi, mostro non-marino effettivamente esistito, rivaleggia nelle dimensioni un coccodrillo di grandezza media. 2,5 metri, distribuiti in una forma appiattita e chitinosa, i piccoli occhi situati al centro di una cupola bombata, poco sopra una boccuccia dotata d’impressionanti zanne perforatrici. E due cheliceri capaci di cooperare con le grandi chele situate ai lati, per il fine di agguantare, sminuzzare, trangugiare ogni creatura incline a frapporsi sul suo cammino. Tanto che in base alle speculazioni correnti, riteniamo questa creatura possa aver costituito il super-predatore più vorace dei suoi tempi, capace di occupare una collocazione ecologica paragonabile a quella del grande squalo bianco. Con la sostanziale, imprescindibile differenza di essere probabilmente appartenuto, in base agli ambienti di ritrovamento, ad acque dolci come fiumi, laghi o persino paludi, da cui sarebbe emerso in modo occasionale per prendere boccate d’aria grazie ai suoi versatili polmoni a libro. Costituendo l’approssimazione ante-litteram, di un vero e proprio terrore della Laguna Nera…
La scoperta e primo approfondimento scientifico del Jaekelopterus vengono dunque fatti risalire al paleontologo tedesco Otto Jaekel, che nel 1914 ne ritrovò resti fossili all’interno di un sostrato fluviale in Renania. Rendendosi ben presto conto di come la creatura dotata di simili chele dovesse raggiungere dimensioni considerevolmente superiori a quelle dell’artropode maggiore ritrovato fino a quel momento, il millepiedi di fino a 50 cm Arthropleura (Meyer, 1854) con cui condivideva alcune caratteristiche fisiche fondamentali. Entrambi resi possibili dalla maggiore concentrazione dell’ossigeno nell’atmosfera dei loro distanti giorni, questi contrapposti esempi di mega-fauna primordiale erano comunque condizionati dalla stessa forza gravitazionale odierna. Il che aveva richiesto all’evoluzione, nella composizione fisica della loro corazza, soluzioni di alleggerimento significative utili a diminuire il dispendio di energie e risorse necessarie ad effettuare il passaggio da una fase all’altra dei rispettivi cicli vitali. In qualità di chelicerato assai probabilmente antesignano degli odierni limuli ed aracnidi dalla coda a frusta, piuttosto che i sopracitati crostacei con cui dimostrano in effetti ben pochi punti di contatto, gli euripteridi o scorpioni di mare si sviluppavano attraverso una serie di fasi culminanti con la sostituzione della cuticola, ed un conseguente periodo di vulnerabilità la cui durata resta per noi necessariamente difficile da determinare. Così come sono state avanzati, negli anni, dubbi sull’effettiva imponenza delle varietà più imponenti, possibilmente stimata in base all’idea fuorviante che la dimensione relativa tra le chele ed il resto del corpo restasse proporzionale nel corso dell’intera vita dell’animale. Mentre decisamente più sicure risultano essere le considerazioni relative alla sua collocazione ecologica, in forza non soltanto dei fenotipi aggressivi di cui appare fornito, ma anche dei segni di morsi ritrovati sui fossili dei pesci coévi, presumibilmente masticati e parzialmente masticati dai loro mostruosi persecutori. Una particolare dote di questi terrificanti cacciatori, a tal proposito, era il possesso di una coppia di occhi frontali particolarmente sofisticati, formati da composti di cellule fotoricettrici affini a quelle dei limuli odierni, che li rendevano capaci di scrutare i dettagli a distanza non trascurabile ed individuare facilmente i contorni. Il che, unito alla loro probabile velocità nel nuoto e le potenti chele prensili, doveva rendere particolarmente arduo sfuggire ai loro agguati o veri e propri assalti frontali. Il Jaekelopterus d’altronde, nonostante il suo nome comune, non possedeva a quanto ci è dato comprendere alcun tipo di veleno, con la parte del corpo appuntita sotto la coda, così simile a un pungiglione, facente funzioni di mero ovopositore negli esemplari di sesso femminile. Dopo tutto, difficilmente si sarebbe potuto affermare che ne avrebbe avuto bisogno.
Come sovvertimento delle tipiche nozioni in merito a creature prive di uno scheletro di sostegno, gli scorpioni di mare (o per essere più precisi, acqua dolce) rappresentano una letterale finestra verso mondi o ambienti alternativi, in cui i rapporti di forza tra i diversi phylum potrebbero risultare drasticamente invertite. Ed è difficile non crearsi nella mente l’inquietante visione di un oceano in cui dovessero tutt’ora esistere, costituendo un pericolo imprescindibile per qualsivoglia essere dei nostri giorni, incluso non a caso l’uomo stesso. Ragion per cui dovremmo ringraziare, almeno in parte, il noto susseguirsi d’eventi biologicamente catastrofici verificatosi attorno ai 372 milioni di anni prima dell’epoca corrente, comunemente noto come grande estinzione del tardo Devoniano. Una tragica fine di quanto si era costruito fino a quel momento. Ma anche la costituzione di una tabula sgombra sopra cui tentare nuovamente, ripartendo da zero.
E chi può dire come si presenteranno, un giorno, mondi alternativi in cui nulla di simile abbia mai gravato sul pregresso dei rispettivi regni primordiali. Vi riesce possibile immaginare l’incontro, auspicabilmente pacifico, con grossi artropodi in posizione eretta che siano stati anche in grado di sviluppare l’intelligenza?