A quei tempi nei cantieri, nelle fabbriche e all’interno dei centri di smistamento, c’era una figura professionale che soleva mettersi all’opera con largo anticipo, di fino a due ore rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi. Costui era un addetto ai mezzi di trasporto, ma non colui che si sarebbe ritrovato ad impugnare il volante. Bensì l’ingegnere o fuochista, incaricato d’effettuare il pre-riscaldamento di un motore la cui natura, prestazioni ed elevato grado di complessità sarebbero bastati a indurre un senso di spiazzamento dal punto di vista della società contemporanea. Siamo in effetti entro il primo terzo del Novecento quando il mondo dei motori, meno di mezzo secolo dall’invenzione prototipica dell’automobile di Karl Benz, vedeva la sincretistica coesistenza di avversi e discordanti metodologie di spostamento. Da una parte l’originale propulsione elettrica, affiancata dagli innovativi impianti a combustione interna. E accantonato da una parte, come approccio ormai desueto ma cionondimeno affidabile, nonché funzionale a determinate applicazioni professionali, l’insostituibile potenza del vapore convogliato nella stessa macchina che aveva fatto la Rivoluzione. Industriale o d’altro tipo, in quanto utile a cambiare ciò che uomini determinati potessero eleggere come il proprio obiettivo, grazie alla potenza dei dispositivi costruiti al fine d semplificare le cose. E non soltanto lungo il tragitto, sicuro quanto necessariamente circoscritto, delle serpeggianti ferrovie del mondo. Bensì trovandosi a sfruttare, con modalità ogni giorno più efficienti, quel sottile nastro d’asfalto, che tenendo in base ai casi la destra o sinistra, avrebbe assunto di lì a poco le precise caratteristiche di un concetto di “strada”. Lo scenario è dunque l’Inghilterra, ed il marchio coinvolto la Sentinel Waggon Works Ltd. di Shresbury (Shropshire) creata per l’intento imprenditoriale dell’irlandese Stephan Alley ed il suo socio John Alexander MacLellan. Originariamente in quel di Glasgow nel remoto 1876, prima di trasferirsi 40 anni dopo in una località maggiormente strategica per l’industria entro cui sarebbe diventata inizialmente celebre, relativa alla costruzione di locomotive. Ma il mondo cambiava rapidamente in quegli anni e dovendone tenere conto, a quel punto sarebbe stato irragionevole non allargare gli interessi dell’azienda anche all’ambito progressivamente più rilevante dei veicoli stradali, il cui aspetto all’interno di determinati ambiti era sensibilmente diverso da quello degli autocarri a noi più familiari. A partire dal concetto di trattore stradale, una vera e propria locomotiva con tanto di ciminiera, ma dotata di rigide ruote e rudimentali ammortizzatori, creata per spostarsi sull’asfalto verso le opportune destinazioni. Ed a partire da un simile schema progettuale, l’evoluzione dello steam wagon (o waggon) un tipo di apparato veicolare spinto dalla stessa energia dell’acqua fatta evaporare in una caldaia, benché quest’ultima trovasse posto, in modo indubbiamente ingegnoso, al di SOTTO della cabina di guida. Verso l’ottenimento di un camion dall’aspetto assai più pratico e funzionale, nel suo complesso non dissimile da quanto saremmo predisposti ad osservare fuori dal finestrino di un autoveicolo dei nostri giorni. Benché maggiormente incline, per una vasta serie di ragioni, a vibrare…
Questa è la storia di un possente dinosauro da soma e di coloro che, attraverso le generazioni, si sono applicati al fine di mantenerlo in condizioni pienamente operative. Figure come Richard Straughan, letterale celebrità delle famose Fiere del Vapore britanniche, per la maniera in cui è solito giungervi al volante di un magnifico Sentinel DG8 (dove l’otto è il numero delle ruote) con data d’immatricolazione risalente grosso modo all’anno 1928. La cui attraente scritta gialla TARMAC sotto la cabina di comando, nome dell’azienda produttrice di asfalto ed altri materiali da cui era stato inizialmente acquistato (che ancora opera all’interno della francese Lafarge) compare un’infinità di volte su YouTube, impreziosita dalla colorazione nera lucida e perfettamente restaurata dell’autocarro. Il cui elemento maggiormente distintivo, all’interno dell’abitacolo, risulta essere l’ingombrante caldaia pronta ad accogliere carbone, clinker ma anche legname o qualsiasi altra tipologia di combustibile, purché utile a mandare l’acqua sottostante in ebollizione. Affinché l’aumento di pressione capace di risultarne, venendo veicolato in un complesso dedalo di tubi, possa sviluppare l’energia opportuna al fine di far muovere l’intero apparato. Simili mezzi di trasporto, ragionevolmente inclini ad essere considerati un alquanto vetusti già nell’epoca della loro introduzione, mostravano in realtà vantaggi significativi rispetto ai motori a combustione interna coévi. Uno tra tutti, la capacità di generare una coppia notevole, mostrandosi capaci di spostare carichi dal peso significativamente superiori. E ciò senza neppure entrar nel merito del minor costo del carburante, oltre alla relativa facilità di effettuare riparazioni. Almeno dal punto di vista di chi era già da lungo tempo abituato ad usarli. In un settore, al tempo stesso, fortemente specialistico e dove la capacità individuale contava molto, nelle contro-intuitive operazioni necessarie a mantenere a regime il fuoco della caldaia, accelerando giusto il necessario al fine di affrontare le pendenze o tratti rettilinei del tragitto elettivo. Laddove un guidatore inesperto, al termine del proprio turno, poteva ritrovarsi ad aver impiegato più del doppio del carbone rispetto ai suoi colleghi più sicuri al volante. Mentre altri aspetti, coerentemente, rendevano gli autocarri a vapore meno pratici e persino pericolosi; vedi la maniera in cui di tanto in tanto fosse necessario aprire il coperchio inferiore della caldaia, scaricando a terra le ceneri e residui della combustione, possibilmente ben lontano da erba secca o altri ambienti naturalmente predisposti all’incendio. Altro aspetto da considerare, la maniera in cui fossero spesso incapaci di fermarsi con breve preavviso, circostanza in merito alla quale gli ingegneri della Sentinel avevano previsto un pedale per l’interruzione rapida della potenza. Ma non così, nella maggior parte dei casi, la concorrenza. Ciononostante, simili veicoli con la loro capacità di carico, affidabilità e velocità tutt’altro che trascurabile occupavano una nicchia ben precisa ed avrebbero continuato a farlo, almeno fino all’instabile ma industrioso periodo in bilico tra le due guerre mondiali.
Centro nevralgico di tale campo dell’industria, inevitabilmente, la tradizionalista Gran Bretagna, dove ancora oggi permane la maggior quantità di mezzi appartenenti alla categoria ancora capaci di funzionare, come dimostrato regolarmente in popolari ed altrettanto distintivi eventi. In una quantità tale verso l’inizio del terzo decennio, da portare il governo nel ’33 all’emanazione della tassa VED (Vehicle Excise Duty) proporzionata al peso a vuoto di ciascun veicolo, con la finalità dichiarata di far fronte ai crescenti costi di manutenzione stradale. Laddove il vero obiettivo, almeno in parte, comprendeva l’intento di non far passare in secondo piano il trasporto ferroviario, da lungo tempo considerato una componente significativa dell’economia nazionale. Mentre allo stesso tempo, in maniera lenta ma inesorabile, l’efficacia ed efficienza dei motori di concezione più moderna conduceva il mondo ad un sistematico cambiamento del paradigma operativo di riferimento. Così nel giro di una decade, “le macchine presero il nostro posto” come ama ripetere qualcuno a quasi un secolo di distanza, eliminando letteralmente la figura professionale del fuochista addetto a mantenere operativo il motore durante la marcia. Eppure non credo che parecchi, allo stato attuale delle circostanze, sarebbero così entusiasti di tornare ad una simile Età dell’Oro! In un possibile mondo alternativo, in cui il fischio di una sirena poteva accompagnarsi alle monotone indicazioni di un sistema GPS. Chiamato per analogia a diversi ambiti, nel mondo della letteratura contemporanea, Steampunk.