L’uomo gira freneticamente l’ingombrante manovella in senso orario, nell’evidente attesa che possa verificarsi l’Evento. E non c’è neanche il tempo di provare a interrogarsi sulla probabile natura di quest’ultimo, prima che i nostri occhi vadano a posarsi sull’imponente scheletro di un parallelepipedo da 13 tonnellate posizionato almeno in apparenza in equilibrio sul fiume Lea, instradato sul passaggio di specifiche rotaie ondulatorie. Per l’oggetto che un poco alla volta, con un suono simile a quello di una pendola del nonno, si appresta a ricevere il fondamentale dono dell’obliquità. Benché a quel punto non si fermi, per marciare con fermezza fino al mezzo giro dei 180 gradi. Facendo conseguentemente risalire, prima da una parte e infine sulla sommità distante, il battistrada che poteva conseguire dall’unico lato chiuso dell’insolito costrutto di metallo e legno di quercia. Un vero e proprio ponte inglese, sotto qualsivoglia specchio dell’analisi s’intenda scrutarlo.
Verso la fine del XIX secolo la maggiore isola del Regno aveva organizzato i suoi trasporti sulla base di due metodologie ben collaudate. Le persone che viaggiavano, nella maggior parte dei casi, in carrozza lungo strade mantenute in buone condizioni dallo Stato, mentre le merci e i carichi pesanti, sulla base di un’usanza mutuata dal continente, tendevano a imboccare la via dei canali e corsi d’acqua fluviali, a bordo di chiatte lunghe trainate il più delle volte mediante l’utilizzo di affidabili motrici altrettanto inclini all’occasionale nitrito. Ciò che tendeva a capitare tuttavia, come avviene ancora con gli attuali mezzi di spostamento, è che i due tipi potessero trovarsi, in attimi diversi, ad affrontare una geometrica criticità condivisa: l’incrocio liminale tra la parte solida e quella liquida del territorio esistente. Entrambi temporaneamente inclini ad aspettar dando la precedenza, eppur coscienti della problematica inerentemente limitante: che se qualcosa non fosse cambiato nell’assemblaggio del punto di transito condiviso, tale tempo si sarebbe esteso fino all’eternità… Da qui l’idea, tipicamente apprezzata dagli ingegneri di epoca vittoriana, di far muovere il ponte. Ed è la storia di questo particolare approccio tecnologico in Gran Bretagna a costituire, per chi ha voglia d’approfondirlo, un formidabile catalogo di approcci alternativi, capaci di ruotare, sollevarsi, essere spostati o messi da parte. Con motori, motrici, carrelli o ruote di criceto umane. Ragion per cui colpisce in una misura ancor maggiore, il fatto che l’ultima opera firmata dall’architetto Thomas Randall-Page, in questo caso coadiuvato da un nutrito gruppo di consulenti e progettisti, rappresenti l’ambiziosa esplorazione di un potenziale approccio del tutto alternativo. Qualcosa che nessuno in altre circostanze, avrebbe mai potuto dimostrare di saper portare fino alla tangibile realizzazione latente…
Ma è la remota genesi e l’effettivo spunto d’origine dell’insolita infrastruttura, che colpiscono in modo particolare chiunque sembri intenzionato ad approfondire la sua storia. Con un possibile riferimento alla complessa equazione elaborata e presentata nel 1990 dalla Wolfram Research a Redwood, in California, per la metodologia d’interazione tra una ruota quadrata ed una strada ondulatoria, capace di garantire in condizioni ottimali il moto lineare ed uniforme della bicicletta costruita per sfruttare entrambi. Nient’altro che il possibile antefatto, se vogliamo, del concetto messo chiaramente in mostra dal Rolling Bridge al centro della nostra trattazione, costruito a partire dal 2019 con una campagna di finanziamenti online, contestualizzata nell’ottica per il progetto di riqualifica e miglioramento dei moli di Cory, storico punto d’approdo occidentale della città londinese situato presso il principale affluente del Tamigi. Le cui particolari guide costruite in acciaio corten dall’aspetto anticato, come buona parte del resto della struttura semovente fatta eccezione per le guide in materiale ligneo, costituiscono in maniera pratica la versione lineare di una ruota d’ingranaggio, entra il cui sentiero obbligato viene indotto a muoversi l’oggetto principale del meccanismo. Il quadratico oggetto rotante dal lato di 5,5 metri, se così vogliamo definirlo, entro cui è collocato e può essere conseguentemente invertito il punto di passaggio pedonale che raggiunge di suo conto l’effettiva misura dei 7 metri, con uno sforzo ridotto grazie alla presenza di contrappesi all’altro lato della sua visibile forma.
Il tutto con un metodo indubbiamente scalabile e funzionale, sebbene qui l’intento risulti essere, come per molte altre opere facenti parte del progetto urbanistico circostante, quello di costituire un punto di riferimento artistico ed attraente. Ragion per cui Randall-Page, figura d’architetto attento all’impronta carbonica ed interessato all’interazione umana tra gli utilizzatori futuri delle proprie opere, ha previsto nel caso specifico soltanto l’utilizzo della forza muscolare per arrotolare i rispettivi cavi di traino situati a entrambi i lati del tragitto d’inversione, con un tempo necessario ad eseguire il compito, a causa del riduttore di forza, raramente inferiore ai 20 minuti complessivi. Facilmente riducibile mediante l’utilizzo di un motore automatico, sebbene qui l’intento paia essere piuttosto quello di stupire gli spettatori presenti ad ogni apertura, comunque effettuate al massimo un paio volte al giorno visto il numero oggettivamente limitato d’imbarcazioni ancora interessate ad approdare al molo di Cory. Il che non dovrebbe certo ridurre i meriti connessi ai molti rinnovamenti implementati nel corso degli ultimi anni dalla Pup Architects per conto della Gasworks Dock Partnership, inclusivi di centro visitatori, giardini e gli studi di diversi artisti. Per non parlare dell’incombente marchingegno metallico, senza dubbio il primo di una nuova categoria, che sia mai stato utilizzato per attraversare un qualunque corso d’acqua, naturale o meno.
Con uno studio di fattibilità originariamente pensato per richiedere al pubblico del web la cifra complessiva di 196.000 sterline, effettivamente portato a compimento quattro anni fa con un totale raccolto pari ad 83.000, la realizzazione del ponte ha quindi finito per richiedere diversi anni alla Cake Industries, l’azienda metalmeccanica incaricata di produrre materialmente l’innovativo sistema infrastrutturale di attraversamento. Dimostrando come presto, bene ed economicamente siano davvero i rispettivi vertici di un triangolo capaci di scambiarsi a vicenda, soprattutto quando persiste un saliente obiettivo di riferimento al termine della proverbiale via dei mattoni gialli. Capace di valere, in questo caso, il prestigioso riconoscimento al team del Bridge Award annuale, destinato alla miglior creazione in questo antico e imprescindibile settore dei trasporti intra-fluviali. Il punto di transito, e l’essenziale metafora, di una costellazione di possibili approcci filosofici all’esistenza. A coronamento dei quali, grazie all’architetto Randall-Page, potremo da oggi aggiungere una nuova proverbiale terminologia di sintesi. Come ti senti dopo una serata trascorsa al pub? Ribaltato, quanto un ponte… Capovolto, neanche fossi un battistrada londinese degli anni duemilaventi. E se faccio altri due metri, tutto ciò che si trova in corso di attraversamento, finirà nelle acque turbinanti di un improvvido destino! L’interscante via scorrevole al di sotto del piano stradale urbano.