La pelle morbida e sensibile alla luce della cosiddetta salamandra infernale

Situata negli spazi interstiziali tra le pietre, in mezzo alle acque turbinanti di molti dei fiumi e torrenti rapidi degli Stati Uniti Occidentali, la creatura nota scientificamente come Cryptobranchus alleganiensis ha avuto nel folklore e nel dialogo informale una vasta pluralità di appellativi: lucertola lasagna, diavolo del fango, cane d’acqua, grampus, tritone d’acqua leveriano, alligatore di Allegheny (questi ultimi due mutuati da studiosi del settore). Quello che più di ogni altro si è affermato nel corso degli ultimi due secoli, a partire dalla prima classificazione del 1803, è l’anglofono hellbender, che significa “[salamandra] destinata a far ritorno all’Erebo”, luogo sepolto e popolato dalle anime dei dannati. Un’associazione d’idee potenzialmente giustificabile, almeno dinnanzi all’opinione pubblica, dall’aspetto non molto raccomandabile del grosso anfibio pieghettato, lungo fino a 74 cm dal muso aguzzo fino alla punta della sua coda. Laddove storie si erano moltiplicate, sin dall’epoca remota delle colonie, in merito a pescatori che nelle ore dell’alba e del tramonto si erano trovati a estrarre involontariamente dalle acque il misterioso drago strisciante, subendone un conseguente destino infausto o un qualche tipo d’avvelenamento dovuto al suo morso. Un dettaglio, quest’ultimo, frutto della semplice immaginazione, vista l’assoluta assenza di tossine nella biologia di questo animale, totalmente incapace di nuocere all’uomo. Il che non significa che siamo innanzi a una creatura pacifica, vista la sua natura di efficace ed implacabile predatore, cacciatore notturno di ampie schiere di gamberetti, pesciolini, larve ed esemplari adulti d’insetti. Continuamente catturati mentre si sposta nuotando controcorrente, la bocca a forma di spatola completamente aperta per riuscire a trangugiarne la maggior quantità possibile. Questo grazie principalmente all’utilizzo del proprio senso dell’olfatto eccezionalmente sviluppato, piuttosto che i piccoli occhi poco funzionali, quasi del tutto incapaci di formare immagini e quasi unicamente sensibili alla direzione della luce solare. Un’inclinazione, quest’ultima, più che altro utile a difendersi massimizzando le già significative capacità mimetiche dell’animale, in grado di sparire totalmente nel suo ambiente ogni qual volta ne percepisca l’esigenza, nonostante le dimensioni tutt’altro che trascurabili del suo corpo. Aiutandosi, a tal fine, con l’ulteriore percezione ambientale di particolari organi sensoriali: da una parte la linea laterale, un sistema sul proprio profilo sensibile alle vibrazioni e del tutto simile a quello posseduti da una vasta quantità di pesci, coadiuvata nel presente caso da una prerogativa molto più distintiva della nostra cara salamandra americana. Sto parlando nello specifico della sua capacità di percepire, letteralmente, eventuali fonti di luce dalla superficie pelle stessa, potendo così determinare quanto la pietra elettiva stia effettivamente funzionando al fine di coprire interamente il suo piatto corpo. E non si contano letteralmente i casi, in cui la coda dell’animale sia stata disposta con precisione assoluta mediante tale tipologia d’informazioni, al fine di sparire letteralmente sotto la geometria del suo legittimo fondale d’appartenenza…

L’atteggiamento protettivo di questo maschio all’interno di una buca artificiale per le uova costituisce l’unico impegno parentale delle salamandre nei confronti dei nascituri. Benché sia difficile capire se ciò derivi, almeno in parte, dal desiderio di preservare una preziosa dispensa occasionale piuttosto che amore disinteressato.

Creatura dalla biologia interessante, anche al di fuori del suo insolito stile di vita, la salamandra infernale costituisce di gran lunga il più grande anfibio degli Stati Uniti, essendo raggiunto per il peso unicamente da esemplari non nativi dell’onnipresente e ben più problematico rospo delle canne. Mentre l’hellbender, di suo conto, viene percepito oggi giorno come una presenza desiderabile, proprio perché indicativo dell’assoluta qualità dell’acqua ove compaia in quantità di più di qualche sparuto esemplare. Questo perché analogamente alle altre ancor più imponenti salamandre, inclusa quella del Giappone da 1,5 metri e della Cina Meridionale da 1,8, la nostra amica del presente discorso acquisisce il necessario ossigeno non tramite branchie filtranti, bensì la superficie stessa della sua pelle a pieghe, vagamente simile a quella di un cane di razza Shar Pei (fatta eccezione, s’intende, per la generosa quantità di muco utilizzato per proteggersi dai parassiti e dalle abrasioni). Il che significa in altri termini che al compiersi della metamorfosi che apre il sentiero verso l’età adulta, l’animale perde totalmente l’apparato di respirazione esterno da lui posseduto fino all’anno e mezzo di vita, ottenendo al suo posto soltanto due piccoli fori privi di funzioni apparenti. Una prerogativa fenotipica potenzialmente derivante dal bisogno d’insinuarsi nei pertugi, senza rischiare l’accidentale danneggiamento di parti fondamentali della propria anatomia respiratoria. Il che d’altronde sarebbe sembrato senz’altro una buona idea, prima che il progressivo diffondersi di sostanze inquinanti compromettesse buona parte dei corsi d’acqua sufficientemente rapidi ad ossigenare la permeabile epidermide della salamandra. Tanto comune e diffusa, almeno fino alla metà del secolo scorso e nell’opinione degli studiosi, da trovarsi disseminata praticamente “sotto ogni roccia” fino all’attuale inversione di tendenza e progressiva scomparsa da molti stati. Che pur implementando, uno dopo l’altro, specifiche misure normative al fine di proteggerne la popolazione, non sono riusciti a preservarne i numeri in continuo calo per una serie di concause impossibili da controllare. Fino alla situazione maggiormente problematica della sottospecie dei monti degli Ozark (C. a. alleganiensis) oggi a rischio formale d’estinzione con una stima di soli 590 esemplari rimasti allo stato brado.
Impossibile non menzionare, inoltre, il metodo con cui queste notevoli creature effettuano la primaria mansione riproduttiva, in un periodo concentrato tra i mesi di agosto e novembre, quando i maschi s’impegnano nello scavo di profonde buchette discoidali, simili a degli antri con l’unico ingresso in contrapposizione al flusso della corrente. Spazio all’interno del quale s’impegneranno ad attirare e intrappolare la propria consorte di turno, che dovrà affrettarsi a deporre una quantità di fino a 150-200 uova in lunghi cordoni, presto fecondati da lui tramite metodologia esterna, prima di essere scacciata via senza eccessive cerimonie. Questo perché ciascuna femmina in età riproduttiva visiterà più di una tana nel corso di una singola stagione, offrendo l’opportunità a ciascun singolo aspirante genitore di poter continuare l’accumulo della futura prole dei nascituri. Un passaggio considerato importante anche per la propensione, tipica di queste salamandre, a mangiare una parte delle uova deposte, prima ancora che i loro occupanti possano avere l’occasione di sperimentare l’esperienza della vita. Un’abitudine, quest’ultima, decisamente “infernale”…

Molti sono i programmi in atto parallelamente di conservazione e liberazione delle hellbender negli Stati Uniti, come questo messo in pratica dal Dipartimento della Pesca e Fauna del Kentucky. Risulta difficile al giorno d’oggi, tuttavia, immaginare un futuro particolarmente roseo per questa specie, visto il progressivo peggioramento delle condizioni ambientali ed il problema incombente del riscaldamento terrestre.

Abitanti in una certa misura carismatiche dei loro esclusivi ambienti di provenienza, le salamandre hellbender hanno visto nel corso degli anni moltiplicarsi le effettive iniziative finalizzate ad agevolarne per quanto possibile la sopravvivenza. Di cui quella maggiormente ripetuta, a causa della comprovata efficacia, è senz’altro il tentativo di farla riprodurre in cattività, riducendo la predazione cannibale delle uova ad opera degli stessi genitori, oltre alla pressione proveniente da pesci, varie tipologie di rettili e tartarughe. Anche perché una volta adulte, in funzione delle loro dimensioni notevoli ma anche le particolari doti d’autodifesa, inclusive della capacità di secernere un fluido repellente dall’epidermide, queste abitanti dei fiumi hanno ben pochi nemici da cui guardarsi. Fatta eccezione, s’intende, per quello maggiormente onnipresente ed implacabile. Colui che ancora scarica, nell’effettiva e diffusa indifferenza delle autorità, le proprie scorie chimiche all’interno dei fiumi. Agevolando l’effettiva manifestazione dell’Oltretomba, tra i vetusti territori un tempo appartenuti alle cose vivide e nuotatrici. Dietro la ricerca sempre inconsolabile del misurabile, innegabilmente ingrato favore del dio Mammona.

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