Il respiro spaventoso degli alberi nel mezzo dell’instabile foresta canadese

L’essenza e l’entità degli alberi, in un caotico complesso che ricopre ancora spazi più considerevoli di quanto siamo indotti a ricordare, condiziona l’estensione delle prospettive umane. Se oggi o domani, per un qualsiasi tipo di ragione immaginabile, tutti gli arbusti della Terra avessero ragione di ribellarsi, la nostra fine non sarebbe poi così diversa da quella di Macbeth o Saruman, personaggi letterari destinati a rendere terribilmente esplicito l’innato timore collettivo nei confronti del frondoso e radicato mondo parallelo al nostro. Un groviglio di città, un dedalo di strade interconnesse, radicate, collettivamente sovrapposte. Di creature molto lente ma che sembrano pur sempre possedere un piano, sussurrato tra le fronde grazie allo strumento che traduce un simile linguaggio, il vento che sia agita negli strati superiori della foresta. Mi pare logico e del tutto ragionevole, tuttavia, affermare che qui si sta decisamente esagerando: in un giorno in apparenza come tutti gli altri, digitalizzato in verticale grazie all’uso della fotocamera nel proprio smartphone, in cui l’utente noto semplicemente come Tonie si ritrovò a fare un’escursione nella proverbiale selva oscura durante il 2019, ché la diritta via era smarrita. Preambolo di quanto a dire il vero, forse, anche un’abitante della Columbia Inglese sarebbe stato mai davvero incline ad aspettarsi: come un sommuoversi sinuoso, della terra stessa sotto i propri piedi, l’arcana oscillazione del paesaggio assecondata dall’ondeggiamento degli alberi stessi. Ritmico ed orribilmente ricorsivo, avanti e indietro, sopra/sotto, avanti e indietro. In altri termini una logica approssimazione, di ciò che avrebbe luogo ad essere nel caso di una grande bestia lungamente sopita, il dragone verde pronto a ritornare tra i coscienti per poter dare un approfondito sguardo a quello che è successo nel tempo intercorso. Il preambolo palese, nel nostro problematico caso, a possibili rivalse non del tutto prevedibili o in qualsivoglia modo opportune.
Il che giustifica di per se, almeno in parte, l’evidente assenza di giudizio messa in mostra dal vasto pubblico dei soliti commentatori, pronti a dare il “merito” di tale contingenza ad ogni sorta d’improbabile intervento sovrannaturale, o ad ogni modo collegato a eventi fuori dalla percezione logica del nostro mondo prevedibilmente terreno. Parallelamente a quanto fatto da una schiera di persone maggiormente ragionevoli, pronte a citare l’evenienza della liquefazione parziale del sottosuolo, dovuta al crearsi di uno strato di fango a seguito d’ingenti piogge che in effetti, nel caso specifico, hanno ben poco a che vedere con l’assurda esperienza. Un approccio che risulta essere perciò, nonostante le migliori intenzioni, altrettanto errato. Il che ci conduce senza ulteriori indugi o tribolazioni, all’apertura luminosa nell’impenetrabile muraglia dei preconcetti acquisiti, al fine di poter scovare negli archivi internettiani la perfetta giustificazione pratica fornita a suo tempo dal Weather Network di Oakville, Ontario. Qualcosa di molto più semplice, ed al tempo stesso logico, di quanto il senso comune avrebbe potuto riuscire ad elaborare nelle floride regioni della mente…

Lo Scudo Canadese costituisce un ambiente geologico sostanzialmente differente dal suolo carsico di buona parte d’Europa. Frutto di reazioni chimiche rallentate dal clima gelido che non prevengono, contrariamente a quanto si potrebbe credere, il formarsi dell’occasionale caverna.

Spiegazione che, sarà a questo punto opportuno specificarlo, ci riporta indietro di almeno 538,8 milioni di anni al termine dell’Era Precambriana, quando l’aspetto e disposizione dei continenti terrestri era significativamente diverso da quello attuale dei nostri giorni. Sotto molteplici aspetti ma non tutti, con particolare occhio di riguardo a una distesa ininterrotta di solida pietra, attualmente nota come altopiano laurenziano, risultante dallo scontro e conseguente sovrapposizione di diversi strati di crosta terrestre e bacini sedimentari risalente al secondo grande eone dei processi geologici, l’Archeano. Il momento in cui per la prima e significativa volta, una percentuale rilevante della futura America settentrionale si sarebbe ritrovata al di sopra del livello degli oceani, nella regione grosso modo riconducibile geometricamente a Stati Uniti e Canada, così come avrebbero iniziato ad suddividere gli spazi quelle piccole ed insignificanti creature umane, ancora ben lontani dal palesarsi. Ed è così che in chiari termini, ancora adesso si presenta l’altrimenti detto Scudo Canadese, l’essenziale esempio di uno strato impenetrabile di rocce ignee e metamorfiche, parzialmente responsabile, assieme alla vasta e densa foresta boreale, dell’inabilità di buona parte di quel paese, dove la maggior parte delle persone hanno scelto di stabilirsi lungo il profilo meridionale dei Grandi Laghi. Questo perché, al di sotto di uno strato relativamente sottile di terreno fertile, tutto quello che si trova al di sotto del suolo in questione è una massa unica e indivisa, molto dispendiosa da modificare al fine di disporvi fondamenta o qualsiasi altro tipo di struttura progettata dall’odierna civiltà industrializzata. Non così, d’altronde, per il caso ponderosamente adattabile dei più alti alberi delle coerenti circostanze, naturalmente in grado di aggrapparsi al suolo con precise strategie perfezionate da millenni d’evoluzione. Un approccio concretamente riferibile alle loro già citate radici, capaci in caso di necessità di estendersi anche in senso orizzontale, piuttosto che diagonalmente verso le profondità di un sottosuolo di tipo più convenzionale. Metodologia capace di condurre, nel caso del bosco mistico del Sacre-Coeur ripreso dal nostro amico Tonie e mostrato in apertura della breve trattazione in oggetto, alla creazione di un tappetto solido ed ininterrotto d’intricate circostanze, ricoperte da uno strato di muschio capace di coprire ogni risultante intercapedine e creare l’illusione impenetrabile di un “suolo” compatto.
Preparando lo scenario per l’effetto avuto dal potente vento di quel giorno fatidico, durante cui l’oscillazione della canopia soprastante ha finito per trasferirsi ai tronchi ed in modo altrettanto inesorabile a quella parte dell’albero che normalmente esula dalla coscienza di noialtri, il suo corpo sotterraneo di estrusioni tentacolari e vermiformi. Un balzo chiaro ed innegabile, alla radice stessa del problema, eppure non l’idea proficua che potrebbe metaforicamente giungere a derivarne…

Un caso simile di movimentazione del suolo era stato già mostrato nel 2015 in un video della regione dell’Apple River, in Nuova Scotia. Simili situazioni hanno una pericolosità inerente inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare: l’unico caso in cui gli alberi saldamente abbarbicati tra di loro potranno cadere, in fatti, sarebbe l’effettivo spezzarsi dei loro tronchi.

Siamo d’altra parte, in maniera opinabile ma non del tutto soggettiva, dinnanzi alla più chiara rappresentazione visuale del concetto spesso descritto, nella semplice espressione di “polmone terrestre”. Un ruolo prevalentemente attribuito, nella fantasia collettiva, all’ancor più grande foresta meridionale dell’Amazzonia, capace di superare coi suoi 5 milioni e mezzo di chilometri persino il vasto spazio geografico occupato dagli alberi canadesi. Che di suo conto non fallisce nel difendersi, vista un’estensione pari o leggermente superiore alla totalità di Ecuador, Texas, Giappone, Francia, Germania e Messico, corrispondendo a una percentuale rilevante di tutta l’anidride carbonica convertita in ossigeno al di sotto dei limiti dell’atmosfera terrestre. E questo senza nemmeno considerare la sua notevole biodiversità, largamente esemplificata dalle migliaia di specie di uccelli e mammiferi che non potranno fare a meno di risentire, negli anni e decadi a venire, di ogni strategia scarsamente sostenibile messa in atto nella gestione delle risorse implicite di quel territorio. Vedi il caso della raccolta di legname istituzionalizzata, per cui l’utilizzo di rotazioni a lungo termine non conta verso il totale di alberi abbattuti a norma di legge, semplicemente poiché gli viene presumibilmente dato il tempo di crescere nuovamente, nella stessa maniera degli ancestrali incendi boschivi. Ciò senza considerare come il problema fondamentale non sia la distruzione di determinati esseri, bensì la riduzione dei loro corpi stolidi e relative sostanze nutritive dal grande flusso. Ovvero il rischio dell’effetto domino, per cui la caduta di una parte del totale potrebbe, a un certo punto, favorire lo sradicamento del tutto. Finché non diventerà del tutto inevitabile, sperimentare un doloroso e tardivo risveglio della coscienza.

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