L’isola da sogno dove le colline paiono costruite con la cioccolata

Un toponimo dal tono singolare è spesso l’espressione delle aspirazioni popolari o il corpus leggendario di un antico insediamento abitato, piuttosto che la letterale descrizione del luogo che è stato creato a rappresentare. Nessuno si aspetta, tanto per cominciare, di trovare il re dei metalli preziosi sulle pendici dei Colli d’Oro, incontrare animali defunti lungo le strade di Strangolagalli o Affogalasino né fare strane quanto memorabili esperienze lungo le pendici del Tumbledown Dick Head, montagna nello stato americano del Maine. In certi casi particolarmente interessanti, allo stesso tempo, un termine di tale tipo può derivare dall’intento descrittivo o in qualche modo intellettuale ispirato dall’aspetto del paesaggio ivi tangibile, evocando ad esempio il suo colore: vedi Monte Bianco, Rosa, Giallo (nel Montana) o la Hongshan (let. M. Rosso) del territorio cinese. Vi sono d’alta parte soltanto pochi luoghi al mondo, in cui la perfetta unità di meriti esteriori ed un profondo significato metaforico s’incontrano per dare luogo alla definizione prototipica perfetta, come nel caso filippino delle Mga Bungtod sa Tsokolate/Tsokolateng Burol, universalmente note con la traduzione letterale della stessa chiara espressione in lingua cebuana o tagalog. Poiché non è semplicemente possibile, tentare in alcun modo di soprassedere all’originale quanto significativa somiglianza delle coniche strutture preminenti presso l’isola e provincia di Bohol, parte centro-meridionale dell’arcipelago, con un’ordinata distesa a dimensioni maggiorate del tipico cioccolatino cilindrico e bulboso, noto su scala internazionale con il termine di “bacio” o “kiss“. Tanto che non sembrerebbe totalmente irragionevole pensare, da un punto di vista prettamente locale, che l’originale ditta cui viene attribuita l’invenzione di tale forma, la Hershey statunitense, possa aver trovato ispirazione proprio presso questi lidi remoti, al termine di un viaggio di meditazione e scoperta. Un’impressione ulteriormente accresciuta verso il termine della stagione secca, quando l’erba che ricopre le circa 1.260/1.776 insolite formazioni geologiche inizia a mutare la propria tonalità verso un marrone corposo, ancor più simile alla forma lavorata del popolare seme commestibile della pianta del cacao. Ecco come nasce, a questo punto, la leggenda di quella che potremmo annoverare a pieno titolo tra le principali attrazioni della regione, se non l’intero paese, raffigurata in innumerevoli cartoline, gadget e persino un dolce tradizionale a base di sesamo, considerato il perfetto pasabulong (dono da riportare ai propri amici o conoscenti al ritorno dal proprio itinerario di scoperta). E non che i locali sembrino aver mancato di apprezzare questo aspetto d’unicità ed attrazione quasi magnetica, con il primo decreto atto a proteggere la conservazione dell’intera regione risalente al 1994, come punto di partenza per la sua graduale trasformazione in vera e propria trappola per turisti, dove intere schiere delle corriere decorate jeepney, create a partire da mezzi militari americani per costituire i principali mezzi di trasporto pubblico nell’entroterra delle Filippine, si fermano al capolinea scarrozzando letterali migliaia di stranieri ogni giorno. Permettendogli d’intraprendere l’ultimo tratto di 214 scalini fino al punto d’osservazione più elevato, da cui scrutare un’immagine potenzialmente destinata a rimanere profondamente impressa nel repertorio fotografico della loro immaginazione…

Implicitamente funzionali all’elaborazione delle solite teorie su presunte civiltà perdute, magari coadiuvate dall’aiuto extraterrestre, le colline di Bohol possono essere identificate facilmente come un fenomeno naturale in forza della loro numerosa quantità ed estensione. Chi avrebbe mai potuto dedicarsi alla costruzione di qualcosa di tanto gigantesco, d’altronde, e perché?

Le colline di cioccolata rappresentano il singolare prodotto di condizioni geologiche con un solo esempio paragonabile nel mondo, situato presso l’isola indonesiana di Java e identificato come cockpit a torre, sebbene riconosciuto dal senso comune come molto meno regolare ed esteticamente affascinante. In una congiuntura di fattori che la scienza, per quanto possibile, sta ancora tentando di confermare. Per quanto concerne l’effettiva terminologia di settore, ci troviamo perciò di fronte ad un ripetuto esempio del mogote o colle solitario, prodotto carsico di un qualche tipo di estrusione di calcare, possibilmente dovuta alla presenza di un sostrato non permeabile successivamente abbassatosi attraverso il passaggio dei millenni per l’effetto dei sommovimenti tellurici del pianeta Terra. Così dislocato, in maniera ricorsiva, da giungere a richiamare alla mente il fenomeno tipicamente est-europeo dell’uvala, una depressione chiusa all’interno della quale plurime formazioni rocciose hanno resistito alle intemperie rimanendo preminenti sopra il livello mediano del terreno circostante. La forma tipicamente ovoidale e gibbosa delle colline di cioccolata, coerentemente, lascia pensare alla presenza pregressa di un qualche tipo di barriera corallina, disgregatosi in un’epoca pregressa per dare i natali ad aggregazioni equidistanti di materia fossilizzata, gli scheletri polverizzati alla base del minerale calcite. Un approccio esplicativo che in effetti non sembrerebbe aver soddisfatto la comunità scientifica nel suo complesso, con diversi teorici fuori dal corso principale pronti a denunciare una possibile origine vulcanica per la distesa di distintive gibbosità erbose, possibilmente risultante da un’eruzione cataclismica di molto antecedente all’insediamento di comunità umane sull’isola di Bohol.
Un dubbio di fondo sulla genesi che trova inaspettata corrispondenza anche nell’ambito più prettamente folkloristico strettamente interconnesso alla location, fondato su una serie di miti dalla datazione incerta tanto eterogenei quanto divergenti nella spiegazione fornita a supporto di un così singolare paesaggio. Vedi la vicenda più frequentemente citata, di due antichi giganti che prima del trascorrere di molti eoni avrebbero iniziato a combattersi lanciandosi dei ponderosi macigni, per poi dimenticare le proprie divergenze e trasferirsi altrove, senza avere la premura di rimuovere i detriti risultanti a beneficio delle future generazioni. Mentre in altre narrazioni tale origine sarebbe di natura molto più romantica, traendo i natali dalle lacrime versate da un diverso dio titanico, per l’amore tristemente non corrisposto da parte della propria mera spasimante mortale. Ma in un’altra versione sarebbe stata proprio lei, scappando dalle attenzioni del gigante, a gettare in terra un anello magico, capace di far sorgere i colli di cioccolata al fine di rallentarne l’inseguimento. Però l’approccio più curioso, nel suo prosaico tentativo di trovare una causa, si trova nella storia del gigantesco carabao selvatico (una sottospecie locale del bufalo) che avrebbe infastidito gli agricoltori del vicino villaggio di Carmen per un tempo eccessivamente lungo, portando gli abitanti al piano di giocargli un tiro mancino: costituire di proposito dei cumuli di cibo andato a male, che la vorace bestia si sarebbe affrettata a fagocitare come da sua pregressa ed acclarata abitudine. Soltanto per soffrire il giorno successivo di un disturbo dei suoi quatto stomaci e il resto dell’apparato digerente, le cui conseguenze defecatorie potremmo ammirare tutt’ora. I che naturalmente contribuisce a privare le colline di gran parte del loro fascino allegorico, almeno per coloro che dovessero basarsi su questa particolare interpretazione dell’evidenza.

L’Associazione per la Conservazione delle Colline di Cioccolata si occupa ormai da diverse generazioni di far conoscere ed incrementare il fascino di questo luogo per chi sceglie di visitarlo. Il che include, tra le altre cose, la costruzione del centro visitatori informale e l’apposizione dell’immancabile placca esplicativa bronzea, ricompensa enciclopedica per chi percorre fino in cima la scalinata.

Dal punto di vista legislativo, nonostante i molti tentativi di donargli uno status protetto, le Mga Bungtod sa Tsokolate restano relegate ad una zona grigia, anche in forza dello loro estensione notevole in percentuale rispetto all’intera isola di Bohol, rinomata per le sue significative attività di estrazione mineraria. La facilità di estrarre risorse utili alla costruzione da siffatte formazioni, molte delle quali situate in territori privati, ne ha fatto inoltre un facile bersaglio attraverso le decadi per l’appiattimento e trasformazione in più redditizie strutture, sebbene a discapito del fascino impareggiabile di questi luoghi unici al mondo. Numerose leggi e proclami amministrativi non hanno tuttavia impedito, nel corso degli anni, che circa 2.000 Km quadrati del territorio fossero classificati come sacrificabili, con istantanea reazione negativa della popolazione ed in almeno un caso, l’intervento della NPA (New People’s Army) il braccio armato del partito d’ispirazione maoista nelle isole delle Filippine. Fino all’inclusione, a partire dal 2006, tra le proposte nazionali alla nomina come patrimonio universale dell’UNESCO, una qualifica che potrebbe contribuire alla conservazione delle colline a beneficio delle future generazioni.
Per la costituzione d’innumerevoli possibili iterazioni memetiche e foto autoprodotte per i propri profili in stile social network, a condivisibile conferma che non tutto il male vien per nuocere. E tal volta la passione per le immagini interessanti, anche trasportate fuori dal loro contesto e prive di adeguate trattazioni esplicative, può guidare verso vie proficue l’imprevedibile cultura dell’era Post-Moderna. Assieme a nuove, magnifiche opportunità di scoperta.

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