Una notizia datata all’inizio della seconda settimana di dicembre, ma che potrebbe risalire a un’epoca lontana: oltre cinque secoli dopo, è successo di nuovo. Lungi dal disperdersi con il trascorrere delle generazioni, quasi un anno dopo che l’odio accumulato in quel particolare sito ha ritrovato l’energia di spezzare la sua prigione e scatenarsi nel mondo, l’orribile possenza della pietra colpisce ancora. Mietendo in un sol colpo otto vittime incolpevoli, dagli zoccoli fessi ed il folto manto peloso, che auspicabilmente non mancheranno a nessuno. Ma mentre ritorniamo a immaginare una vendetta che ricada ai danni di possibili vittime umane, la mente ritorna alla memoria di particolari e imprescindibili contromisure…
Nel settimo anno dell’era Ōei (1401 d.C.) l’imponente monaco Genno Shinsho, accompagnato dai suoi due attendenti facenti parte della setta Shingon presso il tempio di Jingen-ji, fece il suo ingresso nella radura lavica costellata di grandi pietre. Il caratteristico samue blu, veste simbolo del suo ordine, veniva agitato dal vento sotto il più pesante rakusu, composto da 16 strisce di stoffa intessute assieme a preghiere protettive contro gli spiriti maligni, ricadeva rigido sopra le spalle, ricordando in quel particolare contesto all’armatura di un samurai. Adesso che si stava avvicinando all’oggetto maligno della sua missione, una folata si accanì improvvisamente in senso contrario alla marcia, sollevando dal capo il cappello conico di paglia che portava e mandandolo a rotolare ai margini del sentiero. Ma lui del tutto impassibile, rispose soltanto con un gesto imperioso della mano destra, all’indirizzo dell’esponente più giovane del trio ecclesiastico presente in quel fatale mattino d’estate, che rispondendo a precise disposizione si avvicinò al suo fianco, sollevando faticosamente la custodia in legno di pawlonia dentro cui era situata la reliquia più importante del loro tempio. Togliendone il coperchio in un solo fluido movimento, quindi, Genno impugnò quel pesante martello di ferro dalla testa sferica ed il manico d’avorio con un senso del dovere e di profonda aspettativa, mentre concentrava lo sguardo all’indirizzo della Pietra dell’Uccisione. L’ultima esponente di una problematica categoria: quella di oggetti troppo antichi, troppo potenti, troppo carichi di un karma ponderoso e malefico per poter rimanere nello stato corrente… Tanto da richiedere, previa una corretta decisione della comunità locale, l’intervento di particolari figure investite del potere ultraterreno di cambiare le cose. Così avvicinandosi al macigno alto approssimativamente quanto una persona, l’uomo sollevò l’attrezzo benedetto sopra la testa. E dopo alcuni attimi di profonda meditazione all’indirizzo di tutti gli Spiriti Volpe di questa Terra, lo calò rovinosamente nel punto più debole dell’indefesso agglomerato di basalto e granito!
Fu un momento topico, un fragoroso attimo di riscossa. Nei confronti di una problematica particolarmente antica ed indesiderata; avete presente? Quel momento in cui un’antico e immortale demone, venuto dall’India dopo aver gettato scompiglio tra le schiere della dinastia cinese dei Tang, giunge fino al tuo arcipelago e senza alcun tipo di provocazione tenta di avvelenarne l’Imperatore. Il che tende a richiedere, nella maggior parte delle circostanze, l’intervento di figure professionali specializzate…
La storia di Tamamo no Mae (玉藻の前 – la Signora Gioiello Luminoso) risalente al regno dell’Imperatore Konoe (1142-1155) 76° discendente della somma Dea del Sole Amaterasu costituisce una vicenda strettamente intessuta nel folklore e la cultura nipponica, al punto da poter suonare familiare a chiunque abbia un’interesse anche soltanto passeggero nelle rilevanti espressioni moderne di cultura ed intrattenimento. Ruotando attorno alla classica ed abbastanza universale figura di una sconosciuta seducente, che venendo da lontano riesce ad acquisire i favori di qualcuno di molto vicino al sovrano, in questo caso suo padre, iniziando a sussurrare da dietro i paraventi ed acquisendo favori e ricchezze superiori a quelle previste sulla base della sua qualifica ufficiale. Un problema già notevole, per il resto dei burocrati di corte, anche senza aggiungere la storia pregressa di questa particolare signora di uno splendore sovrannaturale, che a posteriori si narra avesse fatto uccidere 1.000 uomini innocenti nel regno di Tianzhu (l’antica India) prima di trasferirsi nell’Estremo Oriente continuando a dare sfogo alle sue malefatte. L’ultima delle quali, in ordine di tempo, prevedeva la lenta uccisione per avvelenamento del sovrano ed il suo genitore ritirato dalla vita pubblica, senza nessuna ragione né provocazione apparente. Questo perché la donna in questione in realtà non era affatto umana, bensì l’espressione trasformata e tangibile di un animale sopravvissuto troppo a lungo, acquisendo poteri magici e una mente orribilmente perversa: in altri termini, una Kyūbi no Kitsune (九尾の狐 – Volpe a Nove Code) il cui numero di appendici indicava, per l’appunto, i secoli trascorsi tra gli uomini sotto mentite spoglie ed il conseguente livello del potere magico accumulato. Abbastanza da poter causare grandi devastazioni ma anche troppo per passare inosservato all’attenzione di una mente allenata. Come quella, per l’appunto, dell’astrologo di corte Abe no Yasuchika, che dopo averne svelato la vera identità, organizzò un agguato per ucciderne la forma mortale assieme ai guerrieri addestrati del suo clan, evento a seguito del quale ella non poté far altro che trasformarsi in una pietra presso la città di Nasu, a Tochigi.
Ora pietre come queste, generalmente, possono essere tranquillamente limitate grazie all’uso di shide (corde sacre annodate) e periodici scongiuri effettuati da un sacerdote shintoista con l’aiuto dell’ōnusa (verga con strali di carta) se non che nei casi di entità più potenti, qualcosa di maligno possa nondimeno continuare ad accadere. E fu a partire da questa particolare presa di coscienza che a partire da quell’epoca, nacque la terribile leggenda della Sesshōseki (殺生石 – letteralmente: pietra di uccisione) capace di avvelenare misteriosamente gli esseri viventi che vi si avvicinavano eccessivamente, senza alcuna possibilità di cura o salvezza, così come lo spirito volpe aveva amato fare quando era ancora in vita. Da che l’idea d’inviare in quel posto, trascorsi un paio di secoli, il santo Genno Shinsho con il suo martello ed una corda più corta, assieme all’incarico di fare a pezzi il terribile ed ingombrante oggetto, missione a seguito della quale la pietra spezzata in tre parti, si narra, avrebbe trovato il modo di separarsi ed inviare le due parti residue in altrettanti luoghi del Giappone, anch’essi caratterizzati dal toponimo di Nasu: nella provincia di Bungo e presso Takada, ad Aizu.
Problema risolto o almeno così poteva sembrare, se non fosse stato per l’episodio capitato lo scorso marzo e dimostratosi capace di attirare l’attenzione internazionale di Internet, oltre a incrementare drasticamente per qualche tempo il turismo presso la città di Nasu. A causa dell’accumulo pregresso d’infiltrazioni idriche, infatti, la pietra maledetta aveva preso l’iniziativa sottilmente inquietante di spezzarsi a metà, rompendo tra l’altro anche la corda esorcizzante che la circondava, un presagio niente meno che terribile soprattutto in considerazione dell’attuale situazione socio-economica della nostra Era. Situazione a seguito della quale, in tutta fretta, l’amministrazione comunale aveva messo in atto un esorcismo condotto alla presenza del prete shintoista del santuario locale e l’immancabile mascotte dalla testa gigante della zona, con tutte le caratteristiche di una volpe dei cartoni animati. Il che non avrebbe cambiato ancora una volta, purtroppo, le cose: poiché il soprannome di questo particolare oggetto, lungi dall’essere una mera affettazione letteraria, è sempre in realtà stato un diretto riferimento all’effettivo ritrovamento, negli anni, di numerose carcasse d’animali quadrupedi come volpi, tanuki (il cane-procione o Nyctereutes procyonoides) lupi o cinghiali, almeno apparentemente avvelenati dall’odio residuo dello spirito volpe intrappolato all’interno. Un vero e proprio Evento Inspiegabile che parrebbe donare verità tangibile alla leggenda, dunque? Non esattamente. Poiché l’intera città di Nasu sorge in prossimità di un vulcano attivo, il monte Chausu e particolarmente note sono le esalazioni di gas mefitico di acido solforoso e idrogeno solforato, che filtrano occasionalmente dal sottosuolo dell’intera regione. Particolarmente attorno, per l’appunto, al macigno residuo della Sesshōseki, recintato preventivamente al fine di evitare drammatici incidenti, benché il divieto sia del tutto ignorato dagli animali. Aggiungete a ciò la problematica di come essi siano necessariamente abituati a respirare in prossimità del suolo assumendo quindi maggiori quantità delle sostanze nocive, una problematica ben nota anche ai Romani che praticavano la famosa sceneggiata della Grotta dei Cani presso i Campi Flegrei (vedi) e comprenderete la ricetta del disastro ricaduto sugli ultimi 8 suini selvatici recentemente caduti vittima della maledizione. Tre adulti e cinque cuccioli, condannati a risvegliare ancora l’arcano terrore mediatico ma semi-serio nei confronti di un oggetto senz’altro dotato d’implicazioni sinistre ed imperiture. Ma la soluzione, a questo punto, può essere soltanto quella di fare ricorso allo strumento odierno della razionalità fondata su circostanziali prove ed evidenze. Poiché non può essere di nuovo esorcizzato, ciò che è stato bandito dalla terra dei viventi anche troppe volte! O quanto meno è ragionevole pensare che nessun tipo di mano o mente umana, indipendentemente dalla rispettiva purezza d’intenti, possa riuscire a sconfiggere il potere illimitato della pluri-caudata Signora. Ed allora non ci resterebbe altro da fare, allo studio nozionistico dei fatti pregressi, che pregare…