Nel primo terzo del XIX secolo si presentò finalmente occasione, durante la navigazione del brigantino britannico Magnet impegnato nella caccia delle foche, di posare l’occhio su una terra emersa precedentemente non segnata su alcun mappa. Questo piccolo arcipelago ancora privo di nome, citato nel diario di bordo del capitano Peter Kemp, era situato a metà strada tra le isole Kerguelen e l’Antartico, potendo costituire effettivamente un importante punto di sosta e rifornimento sulla strada di uno dei nuovi territori di caccia più vasti e redditizi dell’interno meridione terrestre. “L’approdo risulta essere abbastanza semplice” scrisse, “e la posizione delle isole evidente anche al di sotto della linea dell’orizzonte, grazie al sorvolo di un particolare tipo dell’uccello di mare che si è soliti chiamare shag” Seguiva descrizione del volatile in questione, facilmente riconoscibile per una serie di caratteristiche piuttosto distintive: “Bianco e nero, come un pinguino, dell’altezza approssimativa di una settantina di centimetri. Un ciuffo sulla testa, il becco giallo e sopra di esso, due sporgenti sfere di colore arancione, più o meno dove dovrebbero trovarsi le sue narici.” Ciò che l’esperto lupo di mare aveva visto in quel frangente, e come lui avrebbe avuto modo d’incontrare per secondo il collega John Heard ma soltanto a una distanza temporale di oltre due decadi, era la popolazione locale del cosiddetto cormorano dagli occhi blu “imperiale” o Leucocarbo nivalis la cui suddivisione tassonomica risulta ancora oggi tra le più complesse e discusse dell’intero mondo animale. Per la somiglianza notevole con la specie sudamericana L. atriceps, ma anche una vasta serie di volatili inseriti originariamente dal grande ornitologo Charles L. Bonaparte nel genere Phalacrocorax, famiglia dei phalacrocoracidae, prima che un pluri-decennale tentativo di riflettere le linee evolutive lo facesse suddividere ulteriormente in un diverso genere, secondo alcuni quasi monotipico e diviso in un numerose sottospecie indistinte. Sebbene come spesso capiti, la continuativa presa di coscienza della diffusione frammentaria di questi uccelli possa mantenere un valore prezioso, al fine di preservarne le singole popolazioni situate, alternativamente, dalla costa della Patagonia fino a quella che sarebbe diventata per l’appunto, ispirandosi al nome del suo secondo “scopritore”, l’isola di Heard. Tutti accomunati tra le altre cose da uno sguardo niente meno che magnetico, grazie alla colorazione blu cobalto delle loro iridi, probabilmente utilizzate come strumento di seduzione. Nel corso della breve ma sinuosa danza effettuata con il lungo collo, primariamente tra ottobre e novembre di ogni anno, al fine di trovare una compagna all’interno della gremita colonia, con cui fare l’esperienza di costruire il nido e mettere su famiglia. Una dimora necessariamente costruita in terra, per l’assenza di efficienti arbusti a queste latitudini, benché dotata di un prestigio e presupposti abitativi chiaramente superiori alla media di simili uccelli. Essendo la dimostrazione di come gli esseri biologici, talvolta, amino ispirarsi alla geologia terrestre…
Ciò che apparve presto chiaro, fin dalla temporanea colonizzazione dell’isola di Heard ed i vicini scogli di McDonald, con particolare concentrazione degli spregiudicati cacciatori di pinnipedi all’interno di scomode casette sulla stretta di terra nota come Oil Barrel Point, è che l’incombente vulcano di Mawson Peak, con la sua elevazione di 2.745 metri, rappresentava la singola montagna più elevata dell’intera placca continentale australiana. Ma il suo cratere spalancato ed ormai privo di una camera magmamatica da molti milioni di anni non era l’unico dell’isola, essendo stato effettivamente ripreso in migliaia, se non decine di migliaia di riproduzioni dal diametro di circa mezzo metro, costruite con estrema precisone equidistante dai pennuti volatili bianchi e neri dell’angusta regione. Nidi ben diversi, e molto più efficienti, delle semplici buche per terra scavate dai coabitanti pinguini gentoo, reali e ciuffodorato, con una ragione molto pratica e facilmente desumibile tramite l’osservazione di queste creature: la maniera in cui i nuovi nati, generalmente in quantità tra 3 e 5, vengono al mondo privi di un piumaggio sufficientemente folto a proteggerli dalla temperatura gelida di questi lidi, necessitando di essere accuditi per alcune settimane particolarmente intense da almeno uno o entrambi i genitori, all’interno di una camera termicamente isolata con il tetto costruito in piume soffici ed il pavimento di alghe o altri detriti marini. Materiali faticosamente raccolti lungo le spiagge e spesso oggetti di spregiudicato ladrocinio da parte degli starnazzanti membri della stessa specie, pronti a trarre un valido risparmio d’energie da un singolo momento di distrazione dei propri vicini. Fino al raggiungimento di un ragionevole grado d’indipendenza attorno a gennaio-marzo, evento a seguito del quale i giovani cormorani inizieranno a spingersi sui confini del mare, per mettere in pratica le tecniche di pesca che gli permetteranno di sopravvivere come adulti.
Grandi tuffatori capaci di spingersi fino a 25 metri di profondità, toccando spesso il fondale, tutti i cormorani occhi-blu risultano essere prevalentemente animali piscivori, con una dieta sensibilmente più variegata ed adattabile degli altri membri della stessa specie. Perciò inclusiva di crostacei, cobepodi, policheti, gastropodi e persino polipi, pur essendo composta principalmente di pesci delle specie Notothenia, Helcogrammoides e Merluccius, che cacciano in massa tramite la strategia coordinata delle cosiddette “zattere” composte da decine di predatori, per catturarli direttamente con l’affilato becco trangugiandoli immediatamente o in alternativa, riportandoli a turno in superficie. Con il significativo ed importante vantaggio situazionale di risiedere, nel caso della popolazione di Heard, all’interno di un territorio protetto dalla fine degli anni ’90, in cui la competizione diretta da parte di pescherecci umani risulta essere severamente vietata. Un approccio certamente imprescindibile per la protezione di uno letterale santuario per decine di diverse specie d’uccelli tra cui alcune possibilmente endemiche, a seconda che si riconosca l’unicità di casi come la popolazione locale di cormorani imperiali. Volatori tra l’altro non propriamente abilissimi e per questo tutt’altro che migratori, esponendone la quasi totalità ad un potenziale rischio d’estinzione repentina per eventi come catastrofi naturali o l’occorrenza di drammatiche epidemie. Laddove il tipico nemico di questi uccelli, il ratto nero sceso dalle navi transitate da queste parti, fortunatamente non parrebbe aver avuto modo di costituire una spietata popolazione locale, probabilmente a causa delle temperature troppo rigide, spesso poco al di sopra dello zero per l’intero periodo dell’anno. Un buon modo, sebbene non sempre applicabile, impiegato dalla natura in questo caso per riuscire a proteggere l’unicità di un simile remoto punto d’approdo.
Stravaganti nell’aspetto, distintivi e riconoscibili, i cormorani dagli occhi blu e i vistosi caruncoli arancioni hanno costituito per lunghi anni una questione scientifica di difficile risoluzione. Al punto che persino oggi, non sono in molti ad aver elaborato ipotesi effettive sulla maniera in cui specie tanto simili abbiano potuto diffondersi attraverso masse emerse così distanti, pur essendo tanto sedentari da costituire con il proprio avvistamento il chiaro segno di trovarsi in prossimità di un potenziale luogo d’approdo e conseguente ristoro.
Fin dall’epoca in cui la natura veniva ancora considerata unicamente come una possibile fonte di guadagno, tramite la caccia non del tutto sostenibile alle balene, foche, leoni marini ma anche la più prosaica raccolta del guano, di cui i cormorani furono per lungo tempo alcuni dei principali produttivi. Il materiale “perfetto” per assistere l’agricoltura almeno fino all’invenzione nel 1909 del fondamentale processo di Fritz Haber, per l’isolamento dell’ammoniaca dal nitrogeno contenuto nell’atmosfera. L’origine, da quel fatidico momento, di ogni valido fertilizzante futuro. E la conseguente scomparsa dell’alone di sacra segretezza mantenuto attorno a particolari specie volatili ed i loro rispettivi territori d’appartenenza. Una problematica fase di… Transizione, in cui forse siamo ancora intrappolati. Nell’attesa che l’amore disinteressato per la bellezza ed armonia del nostro mondo emerga a fare la sua parte, finalmente, nel moderare i gesti e le diverse scelte dell’ingombrante epopea moderna.