La teoria della Terra vivente, o ipotesi di Gaia elaborata per la prima volta dal fisico James Lovelock negli anni ’70 dello scorso secolo individua un rapporto simbiotico tra tutte le creature a noi note ed il pianeta che le ospita, al punto che se pure quest’ultimo non fosse dotato di un metabolismo, aspirazioni e la capacità della coscienza, non sarebbe in alcun modo erroneo agire sulla base di simili presupposti. Poiché la somiglianza tra il macro e microcosmo, intesi come validi sistemi di riferimento, è ciò che determina il rapporto progressivo tra gli eventi per cui l’assenza di un rispetto reciproco tra i rispettivi demiurghi tende a causare, prima o poi, vasti e irrisolvibili problemi. Ed ecco quindi l’essenziale punto di partenza, di una Cerca che potremmo definire quella più importante dei tempi odierni: se la Grande Madre contiene in se il principio generativo di un cuore pulsante, quali sono infatti i suoi organi di acquisizione della conoscenza? Dove sarebbero situati i padiglioni auricolari e cosa ancora più importante, dove i bulbi saettanti che acquisiscono e rischiarano la tenebra dell’Universo? Quesito in linea di principio privo di significato quanto interrogarsi sul peso di una pupilla, almeno finché non capita inoltrandosi al di là dei semplici confini quotidiani, entro il profondo sottosuolo, di trovarlo fisicamente e guardarlo dritto e con la massima attenzione. Quell’occhio vasto e immoto, immerso nell’indifferenza nei confronti dei traguardi raggiunti da molteplici millenni di travagli e peregrinazioni delle nostre civiltà indivise.
Una creatura abnorme e ormai da lungo, troppo tempo sopita. Oppure forse… Morta, nel qual caso potremmo sentirci al tempo stesso inquieti ed in qualche modo tranquillizzati all’idea del nostro domani. Nel momento che si estende all’infinito, di comprendere il destino che s’irradia in onde opprimenti da un tale Polo, o Nesso indubitabile delle circostanze. Per come appare nei pochi, misteriosi filmati girati in Sua presenza, in quella che è stata ormai da tempo identificata come una miniera di carbone in Lancashire, dal nome folkloristico di Sala dei Giganti. Quel tipo di estesi varchi tra le rocce scavati a partire dalla metà del XIX secolo in tutta l’Inghilterra, come fondamentali ausili all’ottenimento di carburante per la più importante e duratura delle Rivoluzioni, fondata sullo sferragliare incessante dei meccanismi. Ove sorse un’industria che non può conoscere riposo, così come era essenzialmente vietato ricercarne ai minatori incaricati di trovare, estrarre e processare il residuo fossile delle antiche foreste dell’era del Carbonifero (358-289 milioni di anni fa) affinché si potesse bruciarlo con enfatico entusiasmo nelle camere ferrose di caldaie al rumoroso principio dell’Era Moderna.
Mediante l’applicazione di procedure che oggi saremmo inclini a definire primitive, come lo scavo di lunghi tunnel orizzontali attraverso percorsi più friabili di grossi ammassi d’arenaria ed altre rocce metamorfiche di formazione relativamente recente. Capaci d’integrare i presupposti d’anomalie visibili, destinate a esacerbarsi nel trascorrere dei lunghi anni d’abbandono ed incuria…
Qualunque siano i presupposti generativi dell’Occhio, i quali restano allo stato attuale piuttosto incerti, resta chiaro il fatto che la mano umana debba aver avuto un qualche ruolo primario nel metterlo in evidenza, se non addirittura crearlo. Essendo questo situato in un punto dell’antica colliery o cava di carbone in cui il soffitto appare parzialmente crollato, avendo indotto la roccia a significativi ed apprezzabili mutamenti. Siamo a tal proposito davanti a una struttura dalla forma grosso modo circolare, con striature di colori differenti atte a denunciare la presenza di depositi precedentemente occulti, portati avanti e fatti comparire dallo spostamento di un’involucro esterno. Per il tipo di processo d’erosione geologicamente definito sferoidale o “a cipolla” in cui un nucleo centrale o woolsack viene sottoposto ad alterazioni chimiche, a seguito delle quali i propri strati esterni si fessurano lungo le linee tracciate dai cosiddetti anelli di Liesegang, generalmente situati tra le zone ricche e quelle povere del minerale ferro. Un processo all’origine di molte formazioni celebri, tra cui le rocce di Externsteine nella foresta di Teutoburgo, le corestones di Musina in Sudafrica o quelle di Estaca de Bares, regione della Galizia in Spagna. Tutti luoghi, d’altronde, in cui il motore principale all’origine di tale mutamento può essere sicuramente rintracciato negli agenti atmosferici, naturalmente assenti in maniera pressoché inevitabile all’interno di una miniera di questa natura. Il che permette d’individuare, come principale causa probabile per la formazione di questo soffitto, le sollecitazioni indotte dai profondi mutamenti dello scavo originario, potenzialmente coadiuvate dal trascorrere di un certo numero di generazioni. Fino all’emersione apprezzabile di quello che potrebbe altrettanto essere, nell’opinione dei commentatori online, un ammasso di granito o d’ardesia, pietre altrettanto note per le affascinanti striature disegnate dalle impurità che possono ospitare al loro interno.
Figure purtroppo prive di preparazione specifica, le quali rappresentano le uniche fonti disponibili per quanto concerne l’Occhio, in assenza di osservazioni o studi scientifici redatti sull’argomento. Complice anche l’effettiva posizione largamente incerta della miniera in questione, notoriamente tenuta segreta dagli abitanti del posto per la poca sicurezza di questo luogo, che altrimenti finirebbe per attrarre l’attenzione di dozzine di curiosi potenzialmente inclini a mettersi in situazioni di pericolo, soltanto per scattare l’essenziale foto da pubblicare sui propri profili online. Benché sia possibile reperire online un set di coordinate (che non replicherò) capace di situare questa convergenza di linee del destino tra le due città di Liverpool e Manchester, nell’entroterra ai margini di una foresta di medie dimensioni. Ma chi può dire se sia proprio questa, in ultima analisi, la verità…
Occhi nelle tenebre, occhi nelle profondità del mondo sono elementi fondamentali nello schema del fantastico collettivo, ovvero l’elaborazione di un punto d’incontro per l’agile fantasia dell’odierno consorzio creativo. Che compaiono all’interno di un complesso e articolato leggendario, fino alle sue espressioni più moderne: come dimenticare, ad esempio, la scena del risveglio dei draghi sopiti nel film catastrofico Reign of Fire, esemplificata proprio dalla riapertura lungamente paventata di un’antica palpebra trasformatosi in mostruosa botola sul confine di un vasto tunnel. O ancora la reliquia sovrannaturale ed imponente, usata come portale dimensionale da una setta di esseri di pietra nella serie di videogame Dishonored, chiamati gli Envisioned proprio per la loro capacità acquisita di scrutare e muoversi liberamente tra i mondi… Grazie alla prolungata esposizione al potere immutabile di quello sguardo, s’intende.
Poiché non può esistere riposo, per l’enorme gruppo di creature che siamo soliti individuare sulla schiena di qualcosa di più grande. Il cui nome e intento originario resta, persino adesso, largamente indefinibile e per noi eternamente ignoto.