La creazione di un ambiente ideale dovrebbe essere l’obiettivo di qualsiasi architetto operativo nel campo degli edifici professionali, benché l’ottenimento di un simile obiettivo sia condizionata una problematica essenziale: la maniera in cui non sempre ciò che massimizza la produttività coincida sotto ogni punto di vista rilevante con l’esigenza di vivibilità della forza lavoro umana. Un tipo di conflitto incontrato, a quanto si narra nelle pubblicazioni d’accompagnamento, durante la costruzione del primo impianto vietnamita della Jakob Rope Systems, compagnia svizzera produttrice di cordame in acciaio ed altri metalli plasmati alle esigenze dell’architettura e l’assemblaggio di macchinari dall’alto grado di complessità operativa. Un tipo di fabbrica che potremmo definire totalmente “convenzionale” essendo dotata di alte mura in cemento bianco, finestre luminose ed un potente impianto di condizionamento climatico per combattere le temperature particolarmente elevate. Se non che dopo appena un anno dalla sua apertura, la direzione dell’azienda incominciò a rendersi conto di aver commesso tutti i più tipici errori di chi viene a costruire edifici nel territorio dell’Asia Meridionale, creando un spazio totalmente chiuso e dal cattivo ricambio dell’aria in un luogo tropicale e andando così incontro a spese energetiche del tutto fuori dalle aspettative ragionevoli inserite nei propri preventivi di budget. Non al punto tale, tuttavia, da compromettere completamente l’operatività aziendale nel paese, tanto che a partire dall’inizio del 2019 iniziarono a essere redatti i piani per l’apertura di una seconda struttura, costruita questa volta in base a crismi operativi e priorità letteralmente all’opposto. Dal che l’idea di coinvolgere stavolta lo studio architettonico di Berna fondato da Francesco Marchini e Michael Rolli con l’appellativo di Rollimarchini, per una collaborazione con i colleghi locali g8a Architects situati a Saigon/Hoh Chi Min City, al fine di rivoluzionare totalmente i presupposti nell’elaborazione teorica dei propri ambienti futuri. Verso l’ottenimento prima teorico, e quindi pienamente tangibile e visitabile, di un luogo destinato ad essere battezzato con il nome programmatico di Tropenfabrik o “Fabbrica Tropicale” perfettamente racchiuso tra il verde di pareti nella loro essenza distinte dalla generalizzata definizione di tali elementi strutturali basici e concettualmente privi di variazione. Se ancora effettivamente possiamo giungere a definirle tali, essendo effettivamente costituite da una serie di capienti fioriere di metallo, sospese ed attaccate l’una all’altra grazie a un reticolo di funi metalliche create dalla stessa compagnia proprietaria dello stabilimento. Il che non vuole effettivamente costituire una mera pubblicità in essere dei loro prodotti (benché sia ANCHE quello, visto lo spazio riservato nei cataloghi alle soluzioni per il giardinaggio verticale) bensì l’approccio alternativo alla ventilazione in base ai presupposti dei tradizionali palazzi vietnamiti, in cui dev’essere il ciclo stesso delle alte e basse pressioni atmosferiche terrestri a veicolare l’aria fresca nell’interno degli ambienti operativi. Magari coadiuvato, in casi estremi come questa imponente struttura multipiano, da poderosi ventilatori situati in punti strategici, finalizzati ad eliminare ogni potenziale residuo di aria appesantita dal calore generato dai macchinari. Un approccio certamente alternativo, ma indubitabilmente superiore, al raggiungimento degli standard ottemperati in linea di principio dal primo, fallimentare edificio della compagnia…
Il che ci porta per l’appunto al contenuto delle suddette fioriere, che come potrete senz’altro aver apprezzato dalle foto appare costituito da una vasta selezione di piante locali dalle fogge e caratteristiche più diverse, capaci di donare un’estetica certamente distintiva alle facciate della fabbrica di funi, ma anche contribuire grandemente al riciclo e miglioramento atmosferico dei suoi spazi interni. Mai realmente separati da ogni singola folata d’aria proveniente dal passaggio dei veicoli nell’ampia strada di scorrimento antistante, né il battente apporto della pioggia che precipita dal cielo indifferentemente azzurro dei tropici d’Oriente. Eppure, questo è il punto maggiormente interessante, sempre in quantità gestibile e comunque non lesiva nei confronti delle attività ivi svolte, dimostrando a pieno titolo l’antica e comprovata saggezza di questo tipo di soluzioni tradizionali, anche quando applicate ad una logica di scala dalle dimensioni decisamente più significative. Apparirà a questo punto chiaro, d’altra parte, il nostro trovarci nel presente caso innanzi ad un tipo di soluzione infrastrutturale pienamente dedita ai crismi dell’assoluta sostenibilità energetica, come ulteriormente favorito dagli ampi pannelli solari che si trovano sopra l’intero tetto circostante il cortile centrale, a sua volta riempito di spazi verdi con piante ad alto fusto, prati e spazi di ogni tipo finalizzati allo svago e pausa relax dei dipendenti. Al punto da permettere l’inclusione all’interno del materiale di presentazione del progetto, dallo stile stranamente simile a quello di un ufficio idilliaco ed idealizzato dei distretti tecnologici della California, di entusiastiche partite a pallavolo e notazioni sulla “tradizionale ora della siesta” che viene presentata, non senza una sorta di benevola tolleranza coloniale, come “del tutto irrinunciabile per la gente di qui”.
Ma il punto e la logica della Tropenfabrik non appare in alcun modo rigida né fuori luogo all’interno del contesto architettonico di Saigon, dove le facciate o intere balconate ricoperte di verde sono diventate un must, sia andando incontro ai gusti del mercato di fascia alta locale che come risposta all’aumento drastico della quantità di polveri sottili presenti nell’atmosfera, in questa comunità di oltre 8 milioni di abitanti e continuamente in crescita, che rischia di sfidare entro le prossime decadi la densità demografica e il GDP delle più vaste megalopoli della Cina. Lasciando effettivamente indietro tutti quegli apporti contributivi messi in atto dai costruttori che vengono da fuori, tentando di applicare logiche e modalità operative importate assieme a preconcetti non propriamente appropriati alle circostanze. Tanto che i traguardi raggiunti dalla Rollimarchini e g8a con la loro ultima produzione gli sono valsi nel corso degli ultimi anni diversi riconoscimenti sia nazionali che internazionali, tra cui il premio come migliori architetti da parte del concorso vietnamita Kết quả Ashui e la nomination per il premio finale del pubblico nel novero del prestigioso Arc Architectuur Award della testata olandese De Architect, tra i più ambiti a livello europeo. Con un grande ritorno d’investimento a livello di marketing, oltre a quello del mero benessere dei dipendenti, per il futuro dell’azienda committente.
L’idea di sfruttare facciate verdi per abbellire le costruzioni e far fronte alle emissioni di anidride carbonica non è d’altra parte del tutto nuova, trovando le proprie più remote origini all’interno del Mondo Antico, potenzialmente a partire dalla vicenda riportata nella Bibbia secondo cui sarebbe stato lo stesso Noè, al concludersi del diluvio universale, a scoprire le viti rampicanti che avevano iniziato a ripopolare gli spazi vivibili di una Terra purificata. Ma non ci sarebbe voluto molto perché la vegetazione entrasse nuovamente in conflitto, ed occasionale sovrapposizione, con il prodotto abitabile dei bisogni umani, applicato alle circostanze di volta in volta disponibili nelle diversificate occorrenze. Perché, dunque, esimersi dal trarre vantaggio da ciò che la natura ha sempre teso ad ottimizzare, proprio in quanto soluzione pratica di molti dei nostri stessi problemi? La risposta, come tanto spesso capita, è un prezioso seme nascosto all’interno dell’interrogativo di partenza. E che richiede soltanto uno spazio adeguato, al fine crescere e raggiungere l’altezza necessaria per l’auspicabile fioritura finale.