Il viaggiatore temporale mise piede fuori dalla capsula, trovando come si aspettava il suo compagno e corrispondente medievale accampato lì vicino ad aspettarlo. Il cavaliere Guiart sedeva accanto al fuoco, come da istruzioni, la grossa corazza a piastre, l’elmo e la spada lunga appoggiati da una parte. Ciononostante, al boato e il lampo di luce della Macchina, egli non poté fare a meno di balzare in piedi, tintinnando mentre sfoderava in un sol gesto il corto pugnale sempre allacciato alla sua cintura. “Buongiorno anche a te, uomo di latta. Ti ho portato un regalo.” Ora il viaggiatore, sghignazzando sotto i folti baffi bianchi aprì i cordoni della borsa creata per passare inosservata nell’Inghilterra del XII secolo, estraendo uno dei suoi piccoli pacchetti variopinti dal fondo argentato. “Hai messo l’acqua sul fuoco, come ti avevo chiesto?” Abbassando la lama mentre si batteva il petto sull’usbergo concatenato, ora Guiart fece un gesto magniloquente, indicando verso la pentola e il pennacchio di vapore: “Perché lo chiedi, amico? Hai dimenticato di metterti gli occhi-ali? Ah! ah! ah!” Alto, muscoloso, temprato da svariate battaglie, l’uomo non si era ancora abituato a questo strano elfo umano che diceva di venire da un tempo futuro, con i suoi calzoni azzurro scuro, il soprabito attillato e di colori sempre diversi, talvolta uno strano e rigido cappello con parasole. Ma il cibo… Non aveva mai mangiato tanto bene, prima di aver iniziato a fargli da guida per i feudi della contrada. Sbrigati i convenevoli di rito, ed avvicinatosi all’accampamento prima che scendesse totalmente il sole, il viaggiatore si trovò a rispondere alla consueta sequela di domande: “Si, quella è una scrittura di un paese lontano. Sono ideogrammi giapponesi. Si, è un altro pasto pronto. Ma stavolta non proviene da un surgelatore. Questo… Impasto di farina e grano e stato sottoposto ad un processo industriale di… Rimozione dell’acqua contenuta all’interno. E poi preservato all’interno di un involucro di plastica, in un formato corrispondente ad una singola porzione. Ricordi la plastica, giusto?” Ora mentre Guiart sembrava intento a processare la sequela di concetti alieni, lui apri il pacchetto e ne tirò fuori il contenuto. Stringendolo tra il pollice e l’indice, voltò da una parte all’altra il piccolo parallelepipedo spettinato. “Mio coraggioso guerriero, oggi ti presento… il ramen istantaneo!” Mentre pronunciava le fatidiche parole, un suono sordo risuonò vicino al piede sinistro. Un piccolo pacchetto era caduto in terra. “…Ed il suo condimento in polvere, nientemeno.”
Di anacronismi la storia umana ne ha conosciuti parecchi, benché sia opportuno tracciare un’appropriata linea di demarcazione. Tra le cose moderne, trasportate in un contesto antico (come, esattamente?) E l’esatto contrario, perseguendo un’ampia gamma di finalità di tipo e natura eccezionalmente varie. Così benché al giorno d’oggi macellai e naturalisti sommozzatori tra gli squali non siano più soliti chiamarlo “usbergo” essi tutt’ora indossano uno dei tipi d’armatura più utili risalenti alla tecnica ingegneristica del mondo antico. Sostanzialmente niente meno che un “tessuto” creato grazie a letterali migliaia di anelli ribattuti ed uniti tra loro. Capace di deviare il taglio di una lama, ma anche il morso di un pesce carnivoro affamato, restando sufficientemente flessibile da vestire agevolmente un corpo umano. Soltanto nessuno avrebbe probabilmente pensato, al giorno d’oggi, che il processo produttivo di tale implemento potesse ricordare quello di un particolare, conveniente ed onnipresente tipo di pietanza nei supermercati contemporanei…
Un inconfondibile, scricchiolante rumore. Quello prodotto dall’utente di YouTube e CG Trader (un marketplace per i modelli tridimensionali) di “nome” Propsmaker mentre sradica, un anello alla volta, quello che parrebbe proprio essere il contenuto di un tipico pacchetto del singolo cibo più amato dagli universitari fuori sede. Almeno finché al sollevarsi del groviglio, non si notano alcune intriganti differenze: primo, il colore grigio semi-lucido del materiale di cui sembra essere costituito. E secondo, la maniera in cui non sembra affatto frantumarsi, come accadrebbe normalmente, in una pioggia di riccioli e polverina. Ma resta piuttosto unito in un singolo riquadro, che si dispiega da un ripiano sopra l’altro. Come una stoffa consegnata preventivamente nell’officina di un sarto. In un modo che ci rende facile capire quello che stiamo guardando: la risultanza di una drastica semplificazione, in materiale plastico, del processo produttivo di una tipica cotta di maglia. In altri termini il sogno realizzato di qualsivoglia cosplayer, costumista o rievocatore storico, perché permette d’ottenere una ragionevole approssimazione del più complesso componente delle rispettive “uniformi” di lavoro, senza dover ricorrere a complesse e laboriose procedure di congiunzione. Così come fatto all’epoca, ed assai famosamente, per la serie antologica dei film del Signore degli Anelli, la cui maglia di sopravanzo frutto della colossale produzione si trova oggi all’ingresso del museo dell’armeria di Leeds, come un tendone che anticipa il logo e dà il benvenuto ai visitatori. Mentre siamo qui oggi innanzi ad un approccio su scala decisamente minore, valido a produrre una serie plurima di piccoli rettangoli (dalla dimensione variabile in base all’attrezzatura) da cucire successivamente assieme, per ottenere un qualcosa che potrà anche non bloccare il colpo di uno stocco o punta di lancia puntati verso il cuore. Ma può risultare ragionevolmente convincente ad uno sguardo di sfuggita, o l’inquadratura di una telecamera di scena. La stampa in 3D di una matrice di anelli interconnessi non è comunque un processo semplice, tanto che parecchie fonti accessibili online sono pronte a giurare che sia possibile ottenere un buon lavoro soltanto utilizzando macchine molto tecnologiche e costose, idealmente dotate di sistema SLS per la sinterizzazione a laser delle polveri di plastica nella forma desiderata. Ciò detto, in assenza d’indicazioni specifiche in materia, possiamo facilmente immaginare il progetto di Propsmaker come realizzabile anche tramite la fusione del filamento (tecnica FFF) utilizzata dalla maggior parte delle stampanti 3D per uso personale. Questo grazie ad una serie di validi accorgimenti, a partire dalla posizione obliqua dei singoli anelli, al fine di massimizzare la superficie a contatto con la lastra di appoggio. Di sicuro interesse, nonché distinzione dalle alternative reperibili online, anche la presenza delle sponde laterali da rimuovere a lavoro completato, massimizzando in tal modo la stabilità dell’insieme durante il processo di prototipazione. Aspetto niente meno che fondamentale, quando si considera come in stampe di questo tipo un singolo passo falso possa causare una reazione a catena e compromettere completamente la qualità del pezzo finale. Vale la pena di notare, inoltre, come la forma degli anelli non presenti alcuna base allargata, come avviene in molti altri progetti simili, preservando in tal modo l’estetica e precisione storica del pezzo finale. Nessuna particolare indicazione, d’altra parte, viene anticipata in merito alle impostazioni da dare alla stampante, inclusa quella potenzialmente relativa al sollevamento sistematico della testina dopo ciascun singolo passaggio. Consigliata soltanto per i modelli più complessi, visto l’aumento drastico del tempo di completamento del suo lavoro.
Semplici lavori come questo, provenienti dal mondo degli hobbisti, dimostrano d’altronde la portata senza precedenti dell’epoca notevole in cui viviamo. La conseguenza ultima di lunghi anni di perfezionamento ed aumento dell’economia dei meccanismi, fino a permettere ad una persona qualunque di acquisire gli strumenti, scientifici ed ingegneristici, che un tempo avrebbero fatto esclusivamente parte del repertorio di prestigiose istituzioni di ricerca. Luoghi come la NASA, il Caltech di Pasadena o l’Università Tecnologica di Singapore. tGli ultimi due dei quali impegnatosi recentemente, grazie all’opera dei rispettivi ricercatori Chiara Daraio e Wang Yifan, nella creazione di un’innovativa tipologia di cotta di maglia con elementi tetraedrici, capaci di massimizzare i punti di contatto tra di loro non soltanto nel momento della compressione, ma anche quando vengono tirati da due lati contrapposti. Una dote potenzialmente molto utile, al fine di creare dei tessuti molto resistenti in particolari circostanze e con materiali più durevoli della plastica, possibilmente da utilizzare per la protezione personale ma anche in campo strutturale ed architettonico. Poiché si può fare tutto quando si hanno metodi a disposizione della più sofisticata natura. Ed una mente fervida, incline all’immaginazione ma non priva di quel senso pratico fondamentale, che in origine permise ai Celti e agli Etruschi di applicare le proprie tecniche metallurgiche al problema sempre notevole di deviare un colpo di spada. Anche se in molti tendiamo ad associare la cotta di maglia alla successiva epoca medievale: questo perché il processo tecnologico si può dire veramente completo, soltanto quando una maggioranza sufficiente può vedersi garantito l’accesso e l’utilizzo ai benefici che ne derivano. Ed anche questa è una costante di ogni epoca, come l’apprezzamento diventato presto intramontabile per il Chikin Ramen di Momofuku Andō. Che trascende letteralmente la presente epoca, anticipando un probabile approccio nutrizionale nel corso dell’incombente esplorazione interplanetaria.