L’ascesa e inevitabile demolizione del primo grattacielo nella storia del Giappone moderno

Alto sullo sfondo notturno e sfolgorante, tra i fuochi d’artificio, le deflagrazioni dirompenti e grida di combattimento della popolare serie anime ambientata nel secolo della modernizzazione di Kimetsu no Yaiba (鬼滅の刃 – Demon Slayer) l’edificio più importante in quel periodo del quartiere Asakusa di Tokyo potrebbe passare facilmente inosservato ad occhi occidentali. Siamo dopo tutto sul finire del XIX secolo, in un’epoca di pochi anni successivi alla costruzione della Torre Eiffel, entro il concludersi della quale almeno 34 grattacieli avrebbero visto spalancare le proprie porte, entro i confini degli Stati Uniti d’America. Mentre l’Europa avrebbe continuato agevolmente a difendersi nel mantenimento dei propri record, grazie alla forma ben più antica ed altrettanto solida delle possenti cattedrali. Da questo lato del Pacifico tuttavia, dove l’espressione architettonica dell’uomo era stata lungamente condizionata dai sommovimenti tellurici e l’assenza di tecnologie avanzate, per lunghi secoli il primato era spettato a fortificazioni militari come il castello di Himeji, risalente al 1333 nella sua forma primitiva ma che non avrebbe comunque mai superato i 46,4 metri. Questo almeno finché tramite l’importazione in massa di idee e prospettive occidentali successivamente alla grande apertura del 1853, permettendo l’ampliamento istituzionale di un processo già in corso da generazioni, a partire dalle regioni commercialmente più rilevanti degli antichi feudi di Satsuma e Chōshū non iniziò a diffondersi nelle principali metropoli un nuovo stile architettonico, definito Wayō Se’chū Kenchiku (和洋折衷建築 – Architettura Eclettica Giapponese-Occidentale) che vedeva esasperato l’incombente sincretismo tra i due contrapposti schemi di valori estetici e funzionali. Dando luogo ad edifici come l’hotel Fujiya di Hakone o l’ospedale Saisekan della prefettura di Yamagata (entrambi del 1878) per non parlare delle innumerevoli ville e residenze private, costruite con tetti ed una forma delle facciate prettamente distintivi ma una struttura fondamentale, collocazione delle finestre o elementi accessori quali torrette ed abbaini prelevate direttamente da un manuale d’architettura italiano, francese o tedesco. Un approccio alla questione che non poté fare a meno di riflettersi nella rinnovata capitale, secondo i crismi amministrativi istituiti a partire dalla Restaurazione Meiji (1868) e che avevano portato al diffondersi di una nuova e vincente metodologia: il coinvolgimento di consiglieri occidentali, coinvolti nei progetti del governo e (generosamente) stipendiati in maniera alle proprie esperienze pregresse. Con alcune significative eccezioni, sulla base di un principio di meritocrazia, che gradualmente vide prevalere una visione pienamente oggettiva degli effettivi risultati raggiunti nel nuovo territorio d’azione. Un principio che ebbe origine, sotto certi punti di vista, proprio con la figura dell’ingegnere autodidatta di Edinburgo William Kinnimond Burton (1859-1899) invitato nel 1887 dal consiglio di stato dell’oligarchia nipponica sulla base delle sue pubblicazioni sulla storia dell’economia asiatica, nonché la breve ma riuscita esperienza presso la compagnia idraulica della Brown Brothers & Co compiuta al posto di un percorso di laurea. Evento a seguito del quale, inquadrato come giovane professore presso la Tokyo Imperial University, avrebbe dato il proprio importante contributo all’implementazione di nuovi sistemi sanitari e di smaltimento delle acque assieme al collega Nagai Kyuichiro, prima nelle grandi città e successivamente nelle zone rurali della nuova acquisizione coloniale dell’isola di Formosa, entrata a far parte dell’Impero a seguito della guerra sino-giapponese conclusasi nel 1985. Ma prima di raggiungere questa fase finale della sua vita, durata purtroppo soli 43 anni per la contrazione di una di quelle stesse malattie che tanto aveva fatto per debellare, il suo curriculum già notevolmente variegato avrebbe visto comparire anche una qualifica del tutto inaspettata: quella di architetto e costruttore di grattacieli.

La vista dai quattro lati del grattacielo ci è giunta grazie alle numerose fotografie scattate prima della sua distruzione, essendo stata inoltre ricostruita in rendering di varia precisione e natura, incluso questo scenario del videogame dedicato alla serie manga ed anime, Demon Slayer. Di certo, all’epoca, esso doveva costituire una fermata pressoché obbligata per i turisti della capitale.

Il nome della torre era dunque Ryōunkaku (凌雲閣 – Padiglione che Sorpassa le Nubi) e la sua altezza pari a 68,58 metri. Completata nel 1890 a seguito di un periodo di edificazione durato circa un anno, essa fu concepita come punto d’attrazione per il principale quartiere popolare di Tokyo, famoso per le sue case del sakè, giardini, luoghi d’intrattenimento e case chiuse. Tanto che un allusione elegante per andare a prostitute nella zona di Asakusa sarebbe diventata, di lì a poco, “Andare all’ombra dei 12 piani”. Quelli appartenenti per l’appunto a questa torre ottagonale, lievemente rastremata e sormontata da due gradoni e un tetto a punta, vagamente simile alla versione sovradimensionata di un faro navale. Nato da un’idea del ricco mercante Shoshichi Fukuhara, originario delle città di Nagaoka, ma con diversi finanziatori entrati a far parte del progetto tramite la creazione della Ryounkaku Co., Ltd, il notevole edificio aveva il chiaro obiettivo di assurgere immediatamente alla qualifica di struttura creata dall’uomo più alta di tutto il Giappone, nonché una chiara dimostrazione, a chiunque ne venisse a conoscenza, del rapido processo di modernizzazione vissuto da questo paese. In tal senso, nelle comunicazioni ufficiali ed articoli di giornale, si cominciò ben presto a definirlo come la “Torre Eiffel” di questi lidi, sull’esempio del celebre punto di riferimento francese costruito soltanto l’anno prima a Parigi. Una qualifica che sarebbe toccata, immancabilmente, quasi 70 dopo all’ormai iconica forma paraboloide della Tokyo Tower. Ciononostante frutto di un know-how tecnico in rapida evoluzione, anche con l’aiuto tutt’altro che impreparato di W. K. Burton, il grattacielo ante-litteram vide la sua struttura portante costruita inizialmente nel solo materiale edilizio che le compagnie locali potessero dire di conoscere abbastanza a fondo: il legno. Usato per un’intelaiatura portante ed esteticamente unica, progressivamente ricoperta in base ai crismi dell’Architettura Eclettica da una più avveniristica facciata di mattoni rossi, che non si sarebbe trovata totalmente fuori posto all’interno di una grande città statunitense ed europea. Il carattere prettamente rappresentativo dell’edificio tuttavia sarebbe emerso, oltre che dalle lanterne e manifesti pubblicitari appesi in seguito alle sue pareti, nelle numerose rappresentazioni sulle stampe e pitture del “mondo fluttuante” Ukyo-e (浮世絵) o le successive cartoline illustrate di Asakusa Rokku meisho dei periodi Meiji e Taisho, apparendo anche nei cortometraggi cinematografici realizzati dai corrispondenti dell’innovativa compagnia dei fratelli Lumiere. Il tutto a partire da una straordinaria cerimonia d’inaugurazione tenutasi l’11 novembre del 1890, dopo essere stata rimandata di un giorno per l’assenza di alcune figure di spicco, durante cui venne accesso e utilizzato il primo ascensore elettrico nella storia del Giappone. Un elemento, è importante sottolinearlo, alla cui inclusione Burton si era opposto con veemenza, data l’assenza dello stesso nei primi piani redatti per la costruzione dell’edificio.
Ciò detto, il Ryōunkaku ebbe la capacità di dimostrarsi ragionevolmente solido per tutta la durata del suo periodo d’utilizzo, durante cui venne impiegato come centro commerciale con merci in vendita all’interno di ben 46 negozi, uno spazio espositivo per mostre all’ottavo e nono piano e spazi panoramici, con tanto di telescopi, dal decimo al dodicesimo. Nel 1891, con l’interruzione del servizio dell’ascensore per problemi tecnici, fotografie delle geisha più famose del quartiere Asakusa vennero disposte lungo le scale del palazzo, al fine d’incentivare la salita ai nuovi visitatori. Nel 1894, a seguito di un terremoto piuttosto intenso nell’area, significative opere di rinforzo con travi metalliche vennero apportate al fine di garantire il superamento di ogni eventuale imprevisto futuro, garantendo in linea di principio la sopravvivenza verso la posterità dell’affascinante attrazione cittadina. Ma le apparenze, come sappiamo fin troppo bene, possono frequentemente ingannare…

Monumenti imperterriti ed inalienabili, fino alla devastazione implacabile del passaggio delle Ere. Qualche volta lenta e graduale, certe altre, pressoché istantanea ed irrecuperabile. Lasciando solamente le macerie delle proprie svettanti aspirazioni future.

Il fatto è che per quanto si possa essere preparati, simulando nella propria mente una pluralità di scenari possibili, può sempre capitare qualcosa che esula dalle circostanze giudicate ragionevoli dalla maggioranza, portando a conseguenze difficili da prevedere. O assolutamente tragiche, come nel caso del Grande Terremoto del Kanto del 1923, un disastro di magnitudine di 7.9 che costò il primo settembre del 1923 la vita ad una quantità stimata tra le 100.000 e 140.000 persone. Dodici delle quali si trovavano, secondo una stima, nei piani superiori del Ryōunkaku, che vide crollare immediatamente una buona metà della sua struttura sopraelevata. Fu l’inizio di un periodo di miseria, privazioni e violenze reciproche, con la convinzione irragionevole che gli immigrati coreani avessero avvelenato i pozzi della città (la cui acqua era diventata imbevibile a causa d’infiltrazioni geologiche di materiale) durante cui le forze di soccorso dovettero, tuttavia, affrontare anche un insolito problema. Questo poiché il grattacielo costruito con l’aiuto dell’ingegnere d’Edinburgo continuava ad essere, persino allora, l’edificio più alto di tutta Tokyo. Fu quindi necessario coinvolgere un intero distaccamento del 7° Battaglione d’Ingegneria, armato di una quantità ingente di esplosivi, al fine di abbattere del tutto la beneamata attrazione del quartiere, nel corso di un febbrile 22 settembre di quell’anno, occasione che attirò una folla di curiosi malinconici e persone ansiose di veder sparire un alto pezzo della loro storia recente. Fu così la fine di un’epoca ma da un certo punto di vista, anche l’inizio di un’altra. Nonché la riconferma per l’ennesima volta dell’importanza del concetto dell’impermanenza nella cultura e filosofia dei giapponesi, abituati a dare un merito al valore delle azioni, piuttosto che l’eredità tangibili dei propri predecessori. Ecco forse la ragione per cui, nonostante l’ammirazione desumibile dall’inclusione in multiple creazioni d’ingegno contemporanee, il Ryōunkaku non sarebbe stato più ricostruito. Lasciando il posto ad una percezione della città di Tokyo sempre più vasta e avveniristica, ma soprattutto aderente alle norme anti-sismiche di maggior severità note allo stato attuale della storia umana. E non è affatto difficile capirne la ragione.

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