L’abile artigiano coreano taglia e leviga la lastra di paulonia un lato alla volta, dandogli una forma allungata che solleva nella mente immagini di skateboard pronti a scendere lungo il vertiginoso mezzo tubo di Tony Hawk. Ma al momento in cui starebbe per aggiungere le ruote, mani esperte incollano piuttosto delle sponde a quella forma lievemente concava o convessa (dipende, come si dice, dai punti di vista) e quindi forano, inchiavardano, sistemano il coperchio sull’estremità finale. La vera parte surreale giunge tuttavia nell’ultimo capitolo, quando presa una dozzina di corde, accuratamente le annoda e tende fino all’altra estremità, non prima di disporvi al di sotto un’intrigante serie di piccoli attrezzi realizzati con lo stesso legno. Quindi, annodando elegantemente il complesso groviglio risultante, inizia soavemente a pizzicare…
Alla corte ancestrale della dinastia Zhou, durata approssimativamente 700 anni tra il XII e III secolo a.C, i rituali che sancivano il potere passavano frequentemente per il ritmico vibrato dell’arte della musica creata da professionisti di due strumenti. Da una parte, il trillo rimbombante del bianzhong (编钟) complesso marchingegno con campane sovrapposte di bronzo, percosse alternativamente tramite l’impiego di multiple bacchette utilizzate allo stesso tempo. E dall’altra, la melodia riconoscibile del se (瑟) un’imponente cassa di risonanza in legno sollevata da terra come un’asse da stiro, sopra cui venivano laboriosamente tese una quantità variabile tra 25 e 50 corde di seta intrecciata, tenute sollevate mediante l’utilizzo di un pari numero di ponticelli grazie all’insegnamento del Dio della creazione Fuxi, artefice della Terra assieme a sua sorella Nuwa. Tralasciando momentaneamente il primo di questi strumenti, di cui abbiamo già parlato precedentemente in questi lidi, possiamo dunque affermare senza ombra di dubbio come nei letterali millenni a venire sia stato più che altro il secondo a generare un lascito duraturo nel tempo anche al di fuori di contesti specialistici e religiosi, grazie alla naturale predisposizione ad un processo che permette ad ogni cosa di adattarsi al mutevole contesto delle Ere: l’Evoluzione. Così scrutando il novero degli strumenti a corda dell’Asia Orientale, possiamo scorgere appoggiati al muro della conoscenza una pluralità di adattamenti ai contesti culturali più diversi, giunti fino a quei paesi grazie all’interscambio culturale e dei commerci. Attrezzi come lo yatga mongolo, il đàn tranh vietnamita, il kacapi giavanese… Non senza passare come tramite, s’intende, per i cambiamenti indotti nei contesti culturali più prossimi alla regalìa fondamentale della più antica e duratura dinastia del Regno di Mezzo, tra cui per l’appunto la versione coreana del gayageum (가야금). Giacché si narra del modo in cui presso la più vasta ed influente delle nazioni limitrofe, almeno verso la fine del periodo degli Stati Combattenti (453-221 a.C.) al termine del quale una Cina ormai divisa sarebbe stata nuovamente forgiata sotto l’egida del “primo” imperatore Qin Shi Huang, l’unico cordofono dal nome di una sola sillaba avesse già dato i natali a due derivazioni chiaramente distinte. La più importante delle quali collegata strettamente alla figura di Confucio, che poche generazioni prima aveva già lasciato il proprio segno indelebile nel sistema culturale e dei valori dei suoi numerosissimi connazionali mentre accompagnava le proprie lezioni strimpellando da seduto un oggetto vagamente misterioso. L’apparato musicale dall’alto livello di prestigio e complessità d’impiego, destinato a passare alla storia con il nome di guqin (古琴) ma poco udibile a causa dell’assenza di ponticelli. Più complessa l’origine semi-mitica, e teoricamente molto più antica, del guzheng (古筝) a 21-25 corde, la quale non risulta essere meno curiosa ed improbabile di quella di un dono divino, almeno dal punto di vista di un comune osservatore occidentale…
Giacché si dice che questa versione del se fosse stata creata accidentalmente da niente meno che l’Imperatore Giallo in persona, vissuto verso la metà del terzo millennio a.C. Quando stanco di sentir suonare ogni giorno le stesse melodie sopra l’asse imponente e inamovibile del se, ordinò che questo fosse spezzato a metà. Il che avrebbe portato alla creazione di due strumenti di sole 24 corde ciascuno, a loro volta suddivisi successivamente in quattro da 12 per l’opera di due fratelli vissuti nel breve periodo della dinastia Qin (221-206 a.C.) creando l’ancor più portatile zheng. Le due alternative quindi, altamente prestigiosa e culturale, contro universalmente apprezzabile a vantaggio di ogni possibile fascia della popolazione, convissero in parallelo per numerosi secoli, occupando ambiti d’impiego e contesti radicalmente diversi. Questo perché il guqin confuciano, a causa del proprio livello di sonorità piuttosto basso, non poteva essere impiegato nelle orchestre, trovando la sua collocazione all’interno degli studi dei filosofi e letterati, che lo utilizzavano notoriamente al fine di concentrarsi. Dotato di sole sette corde poste immediatamente a ridosso della cassa di risonanza, realizzate alternativamente con seta o sottili fili di rame lavorato, il guqin fu in grado nondimeno di guadagnarsi un proprio ruolo di prestigio incomparabile, trovandosi associato a un’alta quantità di personaggi fondamentali nella formazione successiva della cultura cinese. Tra cui sarebbe difficile dimenticare, per gli amanti della cultura popolare contemporanea, quella del grande stratega Zhuge Liang, che ne fece un uso militare nel corso dell’altra epoca turbolenta dei Tre Regni (220-280 d.C.) in almeno una storica occasione: la famosa casistica della strategia del forte vuoto, da lui impiegata con successo contro il rivale Sima Yi per la difesa della città di Xicheng. Quando quest’ultimo, giungendo alla testa di un esercito molto più grande, trovò le porte spalancate e Zhuge in persona che suonava il suo guqing sopra le mura dell’insediamento, in apparente paziente attesa che gli aggressori facessero il proprio ingresso. Il che portò Sima Yi, anch’egli un accorto praticante di tattica e stratagemmi, a sospettare la probabile presenza di una trappola, battendo strategicamente in ritirata.
Altrettanto marziale, nel frattempo, risulta essere una versione alternativa sull’origine dell’alternativo strumento fin dall’epoca di Qin Shi Huang, che secondo alcune fonti avrebbe tratto i natali dall’adattamento di una non meglio definita “arma” (forse uno scudo?) grazie all’opera e inventiva del generale Meng Tian (250-210 a.C.) tra i più importanti ufficiali incaricati di costruire la Grande Muraglia assieme al padre Meng Wu. Che gli amanti di manga ed anime potranno forse ricordare con il nome di Mou Ten, uno dei tre giovani protagonisti della serie Kingdom riconoscibile per i capelli lunghi fino alle spalle e l’inseparabile changpao di colore rosa, usato per identificarlo come un letterato, lontano dal background maggiormente rigoroso e marziale dei suoi compagni. Uno scenario plausibile, sebbene confutato dalla menzione di qualcosa di simile al guzheng all’interno degli annali antecedenti all’unificazione ad opera del regno dei Qin, ovvero prima che Meng Tian potesse guadagnarsi la sua meritata fama tramite il trionfo in numerose battaglie. Il che si applica, del resto, anche alla presunta invenzione per sua mano del primo pennello calligrafico della Cina. Ma chi può dire veramente che una figura importante per la storia militare e la politica non finisca inevitabilmente, nel corso della propria breve vita su questa Terra, per acquisire molti meriti dei suoi contemporanei? Ogni volta che si dice “Durante il regno di…” Oppure, “Grazie al periodo di pace e introspezione inserito a forza nella grande sinfonia dei secoli…”
In Corea e Giappone d’altra parte, il prototipico cordofono cinese avrebbe richiesto ancora molti anni per riuscire ad affermarsi, con la versione peninsulare rintracciabile per la prima volta nel testo storico del 1146 Samguksagi, in cui si fa menzione di un compositore chiamato a corte per scrivere pezzi da suonare con lo strumento. L’introduzione su larga scala e adattamento nell’arcipelago ancor più a Oriente è invece ancora successiva, databile al XVI secolo sebbene le cetre cinesi fossero a quel punto conosciute e utilizzate dalla classe colta da almeno tre o quattrocento anni. Giacché non è probabile, né ragionevole, pensare che uno strumento musicale frutto di un particolare contesto d’utilizzo e tradizione d’insegnamento possa essere adattato alle esigenze di un popolo culturalmente distinto, senza una significativa ed importante serie d’adattamenti. In tal senso, sia il gayageum che il koto sono più corti e leggeri del guzheng, con un numero di corde significativamente inferiori: 12 nel caso del primo e 13 del secondo. Trovando un significativo tratto di distinzione nel fatto di essere per questo privi dell’alto scranno o piedi retraibili della versione cinese, essendo direttamente tenuti sulle ginocchia o appoggiati a terra per essere suonati in modo maggiormente informale. Sebbene sia comunque possibile tenerli sollevati ed impiegare una sedia, come notoriamente fatto soprattutto in Corea del Nord, dove spesso vengono costruiti con l’apporto di un paio di pratiche gambe retraibili che poggiano al suolo.
Tutti metodi egualmente funzionali nel creare note in varie circostanze, le quali soprattutto negli ultimi anni di digitalizzazione hanno iniziato a includere la produzione di pezzi moderni e sigle riconoscibili dal mondo dell’intrattenimento popolare contemporaneo. Rimettendo finalmente in moto il già citato, fondamentale e imprescindibile, processo tecnologico dell’Evoluzione.