Un popolo di abili costruttori, sulle sponde del fiume che costituisce la fonte della loro ricchezza. Un’intensa attività agricola, in una terra maggiormente fertile di quanto si potrebbe essere indotti a pensare. Un governo centralizzato, sotto l’egida di un sovrano dal potere pressoché assoluto. Un complesso culto dei morti, inclusivo di sacrifici e sepolture di massa all’interno di tombe dalla forma piramidale. La più grande delle quali, situata sulla piazza principale dell’insediamento, presenta una pianta quadrata più estesa di quella della grande piramide di Cheope, maggiore di tutto l’Egitto. Già perché non siamo nella terra dei Faraoni, e a dire il vero neanche presso uno dei grandi imperi monumentali dell’adiacente area mesoamericana, bensì a una distanza relativamente contenuta dal territorio dei Grandi Laghi, dove quelli che furono chiamati “indiani” incontrarono i coloni provenienti dall’Europa organizzati in una confederazione di tribù nota come Illiniwek, da cui avrebbe preso il nome l’attuale stato dell’Illinois. La cui popolazione, attorno al XV e XVI secolo, risultava ben distribuita nelle terre dell’intera regione, tranne per quanto riguardava un’area che sarebbe stata chiamata dagli archeologi il “quadrante abbandonato”, grosso modo corrispondente alla città di St. Louis. Un punto dall’alto valore logistico a dire il vero, vista la vicinanza alle sponde del possente Mississippi e nel contempo, vaste pianure caratterizzate da un clima mite ed accogliente. Pianure notoriamente caratterizzate, guarda caso, da massicce collinette dalla forma trapezoidale, a intervalli equidistanti dalla sospetta regolarità geometrica e un’origine geologicamente difficile o impossibile da definire. Perché qualcuno si degnasse di notarle e interrogarsi sulla loro natura, dopo il sistematico sterminio e ghettizzazione dei popoli nativi conseguente dall’insediamento dei portatori di malattie letali quali l’influenza ed il raffreddore, sarebbe stato necessario aspettare quindi fino al 1811, occasione in cui l’avvocato ed archeologo amatoriale Henry Brackenridge scrisse un resoconto dettagliato ed alcune ipotesi sull’argomento. Di quella che avrebbe potuto costituire già sulla base dei dati da lui raccolti, una probabile città di 30.000/40.000 abitanti dell’estensione di almeno 4.000 acri risalente ad un periodo attorno all’anno 1.000 d.C, facendone effettivamente non soltanto il più popoloso centro cittadino dell’epoca al di sopra del Rio Negro (superato soltanto in seguito dall’iper-densa capitale azteca di Tenochtitlán) ma un esempio di aggregazione abitativa pari o superiore alle città di Londra e Parigi nella stessa epoca in cui raggiunse l’apice della sua influenza. Con una significativa, importantissima differenza: il fatto di appartenere sotto ogni punto di vista all’Età tecnologica della Pietra, nonché un popolo che aveva perfezionato attraverso i secoli lo strumento della trasmissione orale. Al punto di non aver lasciato alcun tipo di testimonianza scritta relativa alla propria cultura, i propri meccanismi sociali, le proprie aspirazioni. Tanto che del misterioso sito non avremmo mai potuto conoscere neanche il nome, motivando l’adozione da parte di Brackenridge e successori dell’appellativo per lo più arbitrario di Cahokia, dal nome della singola tribù maggiormente prossima a questi luoghi nell’epoca del primo contatto con la confederazione degli Illiniwek. Quando ormai l’omonimo centro era disabitato da generazioni, a fronte di un rapido abbandono situato cronologicamente attorno all’anno 1350, per ragioni che restano tutt’ora largamente indeterminate. Non che tale evento pregresso sarebbe dispiaciuto in alcuna misura ai detentori del presunto destino manifesto, fermamente intenzionati a trarre il massimo beneficio da una “terra incontaminata” fatta eccezione per i fori delle tende di tribù nomadiche, nell’opinione delle moltitudini del tutto incapaci di costituire alcun tipo di duratura civiltà materiale…
Eppure Cahokia, per quanto ci è possibile desumere mediante l’uso dei nostri stessi occhi coadiuvati dalla logica, al suo apice dev’essere stata un qualcosa di letteralmente spropositato, gremito di persone in un modo superiore a quanto avremmo potuto ritenere possibile, in assenza di sistemi fognari e di smaltimento dei rifiuti conformi a standard funzionali tipici dell’Era Moderna. Tanto che non è affatto improbabile il possesso, da parte di queste genti appartenenti alla non meglio definita “Cultura del Mississippi” di conoscenze tecnologiche successivamente andate perdute, e di cui purtroppo non abbiamo ancora trovato la prova tangibile capace di dirimere l’annoso mistero. Molte ma non tutte, vedi quella necessaria a costruire i circa 90 terrapieni a tronco piramidale, il più alto dei quali in grado di raggiungere i 30 metri d’altezza e venire ribattezzato nel 1735 come Tumulo dei Monaci, per la costruzione sulla sommità di un convento da parte di un intraprendente gruppo di missionari francesi. Probabile sito di residenza, in base alle speculazioni effettuate dagli studiosi, del Capo Supremo che sovrintendeva all’amministrazione di questa potente nazione, probabilmente il detentore allo stesso tempo di un qualche tipo di supremo potere religioso. Così come i suoi più prestigiosi sottoposti, ciascuno dei quali possessore di una casa simile al di sopra di uno degli altri cumuli costruiti negli immediati dintorni. Ciascuno dei quali costituito internamente da un nucleo di argilla, protetta da uno strato di terra e sabbia reso impermeabile, per prevenire l’infiltrazione distruttiva di quantità eccessive d’acqua piovana. Altri tumuli, nel frattempo, possedevano una funzione di tipo completamente diverso, come esemplificato da quello identificato con il numero 72, il cui scavo avrebbe rivelato la tomba di un uomo particolarmente influente, al punto di essere passato all’altro mondo accompagnato da 20.000 conchiglie poste nella configurazione di un falco con le ali aperte. Ed ulteriori 250 scheletri successivamente aggiunti al sito di sepoltura, almeno il 65% dei quali vittime probabili di un qualche tipo di rituale sacrificale. Fortemente dediti al culto religioso ed animistico della Natura, secondo cui ogni luogo possedeva uno spirito più antico e potente di qualsiasi essere umano, gli uomini e donne di Cahokia furono tuttavia anche i possessori di un’avanzata cultura materialistica e commerciale, come dimostrato dai reperti ritrovati tutto attorno al gigantesco sito, inclusivi di punte di freccia ed altri manufatti provenienti dai remoti recessi dell’antico territorio nordamericano. Tanto che un’ipotesi piuttosto accreditata avrebbe individuato la principale fonte di ricchezza locale nella produzione di attrezzi agricoli di pietra ed altri strumenti, da una classe d’artigiani specializzati che acquistavano le materie prime trasportate lungo il corso del fiume. Di epoca probabilmente successiva, d’altra parte, fu trovato successivamente agli anni 2000 un vero e proprio laboratorio di lavorazione del rame, con i suoi manufatti ribattuti utilizzati probabilmente in varie tipologie di rituali. Così come quelli compiuti nelle piazze antistanti ai tumuli principali, tra cui possedeva un ruolo di primo piano l’antico gioco del chunkey o tchung-kee, consistente nel lancio di giavellotti il più possibile vicino a un disco di pietra precedentemente fatto scivolare via lontano in direzione dell’orizzonte. Di una rilevanza culturale pari o superiore risulta essere, nel frattempo, il ritrovamento non distante dal Tumulo dei Monaci di alcuni tronchi sepolti e i relativi fori in cui dovevano esser stati posti in posizione verticale, in quella che lo scopritore Warren Wittry non esitò a definire negli anni Sessanta come Woodhenge, per analogia con il famoso monumento preistorico delle isole inglesi. Un luogo dalla funzione potenzialmente simile, di agire come una sorta di calendario o meridiana necessaria a tenere traccia del trascorrere dei mesi ed anni, in qualità di ausilio per la classe agricola ma anche quella sacerdotale.
Che Cahokia, nonostante la sua posizione di assoluto primo piano per un periodo di circa tre secoli, sia rimasta improvvisamente priva di abitanti attorno alla metà del XIV secolo, resta quindi uno dei misteri maggiormente duraturi dell’archeologia nordamericana. Lasciando per lo più confutate le ipotesi relative a epidemie, catastrofi e disordini civili, data l’assenza dei chiari segni che dovrebbero essere rimasti a seguito di simili eventi, fatta eccezione per una bassa ma estesa recinzione lignea più volte ricostruita verso la fine del periodo di declino. Così che l’idea maggiormente probabile, ad oggi, resta quella che ne farebbe come la prima vittima in assoluto del mutamento climatico dall’epoca del nostro Medioevo, quando un cambiamento delle condizioni ambientali in questa particolare regione americana, progressivamente maggiormente fredda ed erratica nelle proprie precipitazioni, avrebbe potuto portare la brava gente del Mississippi a spostarsi coi propri attrezzi agricoli presso località maggiormente conformi alle proprie esigenze. Forse sull’ordine inderogabile dello stesso Capo detentore del potere assoluto.
Ciò detto, ben poco possiamo accampare a sostegno di questa o altre ipotesi, dato l’arrivo delle genti d’Europa, e con esse del metodo scientifico, soltanto molti anni dopo il concludersi dell’evento. Ed ancor più sarebbero stati necessari, come dicevamo, affinché qualcuno scegliesse d’interessarsi ad esso. D’altra parte, se si avesse iniziato ad affermare che gli indiani d’America sapevano costruire grandi centri abitati permanenti, sarebbe stato ancora possibile affermare che non avevano diritto al possesso di alcuna terra? Nell’opinione di molti di coloro che gestivano la narrativa, fu appropriato nel XIX ed inizio del XX secolo far passare l’esistenza di Cahokia sotto silenzio, tanto che per lungo tempo furono in molti, persino in America, a non avere alcun tipo di notizia in merito alla sua esistenza. Una situazione che sarebbe cambiata solamente negli anni ’50 e ’60 durante la presidenza di Eisenhower, quando un nuovo piano di miglioramento della rete stradale statunitense si sarebbe accompagnato a ingenti fondi, maggiori a quelli mai stanziati prima d’allora, per l’approfondimento e scavo dei siti archeologici disseminati lungo il passaggio della via. Con il risultato, per molti versi surreali, del principale punto di riferimento dell’intera cultura preistorica del Mississippi oggi attraverso nel centro esatto da una spaziosa e rapida strada interstatale, completa di cartelloni pubblicitari a una quantità trascurabile di metri dalle tombe degli antichi sovrani e i loro sciamani. Un controsenso, se vogliamo, così drammaticamente rappresentativo dell’ideale del sogno americano e il suo rapporto spesso conflittuale con la storia, soprattutto quando appartenente a popoli di etnie e storie culturali drammaticamente diverse. Eppure sarebbe lecito affermare, al giorno d’oggi, che Cahokia ha perso fino all’ultima scintilla della propria antica influenza?