Scintille nella tenebra del rendering tridimensionale, un ammasso di materia che in maniera procedurale sorge a bloccare l’unica e fondamentale fonte di ogni lucore cosmico incombente. Una sfera, se vogliamo, delle dimensioni approssimative di Marte; ma lanciata dalle forze cosmiche degli inconoscibili primordi all’interno di un’orbita erratica, soprattutto intersecantisi rispetto a quella disegnata dal nostro pianeta preferito nell’intero novero del catalogo interstellare, sulla base di fattori collaterali, come il ruolo di ospitare l’intera genìa pensante. Così sempre più grande, sempre più vicino, a questa Terra ricoperta di materia lavica fino ai remoti recessi del suo nucleo più profondo, come se costituisse la versione sottodimensionata di uno dei giganti inabitabili situati al di là della catena asteroidale… Essa era Theia, come sappiamo ormai da tempo, il nome della Titana che in base al canone mitologico greco avrebbe dato i natali, tra gli altri, alla pallida dea lunare Selene. In maniera compatibile con la nuova simulazione sperimentale che stiamo osservando, opera di scienziati dell’Ames Research Center attrezzati coi migliori strumenti informatici a disposizione, sebbene appaiano alcuni distinguo degni d’esser sottolineati. Mentre l’oggetto fuori dal contesto si disgrega e inizia a liquefarsi, una volta trovatosi al di sotto del limite di Roche (orbita più bassa possibile) del proto-pianeta più grande, formando un letterale arco di materia simile ai lapilli prodotti dall’occasionale brillamento di una stella. Abbastanza grande, sufficientemente pesante, da collassare autonomamente nel giro di un tempo “X” finendo per formare dai residui risultanti un terzo corpo, più piccolo di quello originale. Destinato a rimanere in quella stessa posizione, per gli svariati miliardi di anni a venire. Ma è la natura e durata di quel periodo “X”, secondo il nuovo schema digitalizzato, ad aver introdotto lo scorso aprile significanti spunti d’analisi ulteriori. Potendo aver coperto a quanto pare appena il tempo di due giorni ed una notte, un tempo comparabile ed invero persino inferiore alla Genesi secondo il credo della principale religione d’Occidente.
Da lì a quello che possiamo vedere oggi: un pianeta e il suo satellite, sospesi fin da tempo immemore nel terzo “spazio” delle orbite all’interno del Sistema Solare. Nella configurazione rara e totalmente casuale che permette al maggiore dei due corpi, in maniera certa e largamente acclarata, di essere arrivato ad ospitare la vita. Certo, almeno di quello possiamo esserne certi: altrimenti chi sarebbe, persino adesso, a interrogarsi sulla natura e l’ineffabile sostanza stessa dell’Universo? Con quel tipo di curiosità e desiderio di scoperta che ci ha fatto sollevare, gradualmente, un’importante serie d’interrogativi. Il primo relativo a come e perché, esattamente, l’accoppiata Terra/Luna presenti una disparità di dimensioni così poco pronunciata, con la seconda pari a circa il 30% della controparte, laddove la stragrande maggioranza dei satelliti astrali a noi noti raggiungono raramente il 10, 15% al massimo del loro corpo di riferimento. Per non parlare della straordinaria “coincidenza” che vede l’oggetto in questione ruotare su se stesso alla stesso ritmo della sua rivoluzione, creando essenzialmente il fenomeno persistente della cosiddetta faccia nascosta della Luna. In quella rara modalità cinetica che costituisce il moto “di minor dispendio energetico”. Certo, come no! Ma minore rispetto a cosa? Tra i primi a tentare di analizzare la questione di fondo mediante gli avanzati strumenti scientifici del mondo Moderno figura in effetti niente meno che Charles Darwin, il quale utilizzando l’analisi matematica riuscì a dimostrare come il corpo che tutt’ora agisce come un catarifrangente nel corso delle ore notturne, fin dall’epoca della sua remota formazione, si fosse gradualmente allontanato di una quantità difficilmente misurabile di chilometri nel suo complesso. Permettendogli di fare il passo ulteriore andando a ipotizzare che potesse essersi separato in qualche epoca pregressa per via della forza centrifuga rotativa. Se non eventi d’entità e portata inconoscibili, fino alla possibilità di ricorrere a strumenti d’elaborazione MOLTO più potenti della semplice mente umana…
L’idea alla base del nuovo lavoro teorico di Jacob Kegerreis e colleghi, così notevolmente esposto all’inizio di questo articolo, verte sulla possibilità che l’evento di cui sopra possa essersi verificato con un ritmo molto più serrato di quanto pensato dagli studiosi fino alla primavera scorsa. A partire dalla storica conferenza del 1984 tenutasi alle Hawaii, in cui gli astrofisici Bill Hartmann, Roger Phillips e Jeff Taylor convinsero una buona parte dei propri colleghi dell’affascinante possibilità del grande impatto, mediante una serie di fattori a supporto particolarmente difficili da confutare. Vedi la piccolezza del nucleo ferroso della Luna, che potrebbe per l’appunto essersi “fuso” nel momento dell’urto con la Terra primordiale andando a contribuire alla massa del proprio antesignano, lasciando la sfera dal mantello polveroso ma insostanziale che ancora oggi abbiamo modo e ragione di ammirare nelle ore successive al tramonto. Fattore coadiuvato dall’angolazione e traiettoria ellittica dell’orbita risultante, almeno in parte riconducibile a quella che sarebbe risultata dall’impatto tra i due giganti. È nel dipanarsi della successiva concatenazione di cause ed effetti, tuttavia, che l’innovativo modello di Kegerreis si discosta dalle giustificazioni normalmente adottate ai margini di un simile discorso analitico retroattivo. Poiché senza ricorrere alla lungamente teorizzata formazione di un disco di detriti noto come Synestia (dal nome di Hestia, Dea greca del focolare) gradualmente soggetto alla concrescenza gravitazionale fino alla formazione dell’amata “figlia”, il calcolo dei supercomputer della Nasa vede quel processo verificarsi ad una velocità che potremmo definire in termini astronomici mostruosamente veloce. Così da dare forma al nuovo equlibrio sistematico al termine del breve periodo fin qui discusso. Un approccio valido e produttivo, anche per la maniera in cui giustifica la relativa somiglianza degli isotopi d’ossigeno presenti nei campioni di roccia lunare sottoposti a spettrometria, che pareva allontanare la probabilità di formazione per l’impatto catartico di Theia a vantaggio di un processo di formazione comune, a meno che il mescolamento dei rispettivi detriti fosse avvenuto in maniera vigorosa ed ultra-rapida, portando alla sovrapposizione dei letterali singoli elementi. Niente di progressivo e graduale figura, dunque, nel prospetto visuale a supporto della nuova tesi, quanto piuttosto l’esplosivo dipanarsi di una serie di eventi. Capace di creare la Luna in maniera pressoché istantanea per il piacere nostro e dell’eventuale demiurgo cosmico che preme i pulsanti del grande flipper dell’Esistenza. Contribuendo in forza di una serie di ancor più straordinarie coincidenze, a quella particolare concomitanza di fattori che oggi i biologi considerano produttivi ai fini dello sviluppo di forme di vita complesse sul pianeta Terra.
Ed è tutta una dimostrazione, a conti fatti, della maniera in cui i processi cosmici possano essere straordinariamente lenti tranne quanto sono, per ragioni di contesto, mostruosamente veloci. Sulla base di forze che agiscono, in base alla natura iterativa della fisica in qualsiasi punto della sua scala d’applicazione, in maniera paragonabile a quella di una spropositata partita a biliardo. Dove tutto potrà anche avvenire in base a una specifica ragione (fare punti) ma è condizionato di suo conto dall’incombenza degli stessi e imprescindibili fattori di condizionamento. Altrimenti come potremmo mai riuscire a spiegare, nelle parole di un famoso autore fantascientifico, nonché la più utile guida di viaggio interstellare, l’universo, la vita e tutto quanto…