L’importanza di qualificare determinati luoghi come parte del patrimonio storico di un paese non può essere sopravvalutata, soprattutto in contesti dall’alto fascino turistico, dove ogni singolo metro quadro ha un valore pratico e sostanziale dietro l’adeguato investimento da parte di entità pubbliche o private. Può in effetti far rabbrividire il pensiero che ad Annecy, nel distretto francese dell’Alta Savoia, poco più di cento anni fa sia stato seriamente valutato il progetto per costruire dei bagni termali sopra lo spazio precedentemente occupato da un edificio militarizzato del XII secolo d.C. Ma a difesa degli sviluppatori edilizi locali, sarebbero stati degli OTTIMI bagni termali. O almeno questa era l’idea, finché il 16 febbraio del 1900 il Ministero Francese della Cultura non intervenne in contropiede, inserendo il Palais de l’Isle tra i cataloghi maggiormente inviolabili del suo lungo repertorio di preziose meraviglie. Come struttura triangolare (la forma geometrica perfetta) all’interno di un insediamento che aveva la stessa forma, fin quando successivamente alla fondazione del vicus romano di Boutae, qui venne costituito il più importante crocevia tra le strade per recarsi a Ginevra, a Faverges e ad Aix-les-Bains. Un letterale punto focale dei viaggi nella particolare regione d’Europa dunque, ma anche un centro commerciale di primaria importanza destinato a vedere la propria prosperità e popolazione aumentare esponenzialmente con il trascorrere degli anni. Fino a diventare, non troppo tempo dopo l’anno Mille, la sede operativa della dinastia dei conti di Ginevra, che da qui esercitarono per molte generazioni il proprio potere incontrastato sotto l’autorità inviolabile del Re di Francia. Il che li avrebbe portati, coerentemente, alla costruzione di due importanti roccaforti, rispettivamente al di sopra di un’alta collina e lungo il corso del fiume Thiou, in posizione tale da poter osservare direttamente le invitanti acque del lago di Annecy. In una maniera tanto caratteristica e memorabile che ancora oggi, incredibilmente, non è l’alto castello bensì la più piccola casa non troppo distante dalla sua ombra, che monopolizza ed attrae maggiormente l’attenzione fotografica dei turisti. Questo per più di una singola ragione, a partire dagli immediati dintorni di un centro storico che viene frequentemente paragonato a Venezia, con case antistanti all’acqua e dalle facciate graziosamente variopinte, in mezzo alle quali il Palais spicca come la prua mitologica di una colossale nave di pietra. Ma anche considerata la maniera nella quale, attraverso quasi cinque secoli di storia, questo importante lascito venne sottoposto a progressivi miglioramenti e cambi d’utilizzo primario, giungendo a costituire una cronistoria tangibile dei trascorsi stili architettonici popolari di volta in volta. Vedi quello italianeggiante adottato a partire dal 1401, quando la dinastia dei conti di Ginevra si estinse assieme all’usanza di battere moneta nell’insulare edificio con il suo ultimo rappresentante rimasto privo di eredi, niente meno che l’antipapa con sede ad Avignone Clemente VII, al secolo Roberto, vescovo di Annecy. Così dalla fine di una casata nobile, come spesso avviene, avrebbe tratto vantaggio un’altra. Permettendo a seguire l’ulteriore espansione territoriale dei già influenti Savoia operativi nell’omonima regione, tra cui il conte Giano che ne ricevette ed assegnò l’appannaggio del “piccolo” castello di Annecy alla moglie, Hélène di Lussemburgo. Fu la figlia di quest’ultima dunque, dopo essersi sposata con François de Luxembourg-Martigues, a sovrintendere assieme al marito al completo rinnovamento dell’ormai polverosa zecca risalente all’epoca di Carlo IV, trasformandola in una vera dimora principesca in cui nulla veniva lasciato al caso…
Comunemente paragonato alla forma approssimativa di un fuso, il Palazzo dell’Isola sorge attorno ad una singola dimora quadrangolare di 12 metri di lato, un tempo separata dalla terra ferma con due ponti dotati di possenti portoni di quercia inaccessibili al popolo o potenziali forze d’invasione. Importanti, al piano terra, sono i quattro ambienti dotati di una volta semicircolare, sopra cui si estende la grande sala delle udienze fiancheggiata dalla cosiddetta camera dei Conti, entrambi accessibili mediante l’uso di un’apposita scala a chiocciola ricavata ai margini della struttura. Nel cortile circondato da mura venne quindi edificata anche una cappella, fiancheggiata da un’ulteriore torre di avvistamento fornita di pratica latrina. Degli antichi arredi e tesori custoditi un tempo sotto questi soffitti resta tuttavia ben poco al giorno d’oggi, in forza dei numerosi utilizzi alternativi fatti del castello nel corso dei secoli a venire. A partire dal XVI secolo quando i duchi di Genevois-Nemours, ramo cadetto dei Savoia, decisero di trasformarlo in un tribunale con le annesse carceri, per ospitare le quali ampliarono sensibilmente i già spaziosi sotterranei dell’avìta dimora. Dal 1729 in poi vi sarebbero stati anche istituiti gli uffici del catasto cittadino e un’istituto dalla funzione nebulosa definito Delegazione per la Liberazione dei Diritti Feudali, almeno finché allo scoppio della Rivoluzione nel 1789, la sua funzione di prigione assunse il ruolo preponderante, finendo per ospitare svariati nobili deposti per il furibondo e talvolta sanguinario plebiscito popolare. Utilizzato per tutto il XIX secolo come caserma per le truppe di passaggio, e deposito di munizioni o altro materiale bellico, il palazzo avrebbe saltuariamente assunto il ruolo di scuola per carpentieri, ginnasio e casa di riposo per gli anziani. Finché in bilico tra le due guerre, riacquistato almeno in parte il suo ruolo strategico di struttura facilmente difendibile, fu di nuovo impiegato per ospitare prigionieri di guerra degli avversi schieramenti. Il vecchio tribunale e casa della legge francese diventò quindi uno strumento in mano alle forze d’occupazione, acquisendo una connotazione minacciosa che l’avrebbe reso spiacevole agli occhi degli abitanti di quest’antico insediamento.
All’inizio dell’epoca contemporanea tuttavia, questa città di ormai oltre 100.000 abitanti diventata celebre come “Roma delle Alpi” inizia a rivalutare la sua storia, connotata dai numerosi ordini religiosi che in epoca rinascimentale avevano trovato rifugio tra i suoi confini, costruendo numerose chiese e monumenti. Per non parlare dei suoi due castelli, sottoposti ad un primo restauro a partire dal 1949, con fondi riservati per lo più al maggiore, più volte devastato da incendi ed utilizzato come caserma fino a due anni prima di quella data. Tanto che ritroviamo il pur celebre Palais ancora in pessime condizioni già nell’anno 2016, con le tegole dismesse e le mura macchiate dai lunghi anni d’intemperie e l’inquinamento. Finché finalmente in tale occasione, con uno stanziamento di 1,8 milioni di euro e una chiusura di circa un anno, alle parole seguono finalmente i fatti, restituendoci un castello in condizioni di conservazione pressoché eccellenti.
Una questione di principio, se vogliamo, vista la presenza all’interno oltre al museo della storia di Annecy anche del Ciap (Centre d’interprétation de l’architecture et du patrimoine) dell’intera regione dell’Alta Savoia, sito amministrativo da cui viene tutelato e promosso il considerevole patrimonio artistico dell’intera regione. Di cui questa inconfondibile cittadina, stranamente trascurata dalle cronache internazionali, ha lungamente costituito il capoluogo politico nonché centro culturale di altissima caratura, capace di attirare una quantità di turisti superiore alle aspettative.
Complice anche un evento annuale come il Festival del Cinema Italiano che qui si tiene ogni anno tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, capace di cementare l’associazione di vecchia data che ha fatto di questo comune l’ideale punto di collegamento tra la Francia e la nostra penisola, con il beneplacito delle rispettive dinastie regnanti. E non basterà di certo la fine dell’antico regime, per disunire ciò che era stato un tempo solido, permettendo la perdita d’identità su cui molti un tempo avevano scommesso la propria fortuna e condizione privilegiata. Purché vengano mantenuti i pregiati valori. E tutte quelle strutture che in essi avevano trovato una valida, ma di certo non l’unica ragione d’esistenza.