All’interno dello spazio cavernoso ed oscuro, un compatto edificio si staglia lugubre nelle pesanti tenebre, in paziente attesa della sua ultima alba. D’un tratto una sirena suona brevemente, dando luogo all’accensione delle due dozzine di astri artificiali che circondano le sue mura. Il surreale condominio di 6 piani, adesso apparso in tutta la sua legnosa magnificenza, blocca soltanto in parte la prospettiva d’insieme di un gruppo di scienziati e supervisori, posizionati al sicuro dietro il vetro spesso parecchi centimetri, un palcoscenico degno di fantascientifici e pericolosi esperimenti con creature mutanti di distanti dimensioni o pianeti. Niente di tutto questo, tuttavia, connota il senso di questi momenti, quando l’evidente capo della congrega preme, con gesto magniloquente, il grande bottone rosso posto innanzi a lui sulla plancia. Con un potentissimo boato, è l’inizio: porte, finestre, mura e pilastri strutturali iniziano il proprio viaggio rapido e costantemente ripetuto, di traslazione laterale, longitudinale e perpendicolare al tempo stesso, che farà tutto il possibile per tentare di ridurlo a un cumulo di macerie. È l’Apocalisse tascabile, in confezione pratica e costantemente pronta da consumare…
Ed alla fine, perché non andare fino in fondo alla questione? Quando si ha la possibilità d’inscenare le possibili conseguenze di un disastro, con obiettivo sperimentale e di perfezionamento delle contromisure, alcuni potrebbero fermarsi alle dinamiche di una situazione su scala ridotta. Dopo tutto le scienze parallele della matematica e della geometria sembrerebbero puntare, di concerto, all’ideale consequenzialità del rapporto tra cause ed effetti, particolarmente per quanto concerne questioni collegate all’ingegneria e la costruzione degli edifici. La relativa imprecisione di un tale assioma, assieme a molti altri, fu tuttavia dimostrata in Giappone durante il verificarsi del grande terremoto dello Hanshin con epicentro a Kobe del 1995. All’incirca 20 secondi di durata, durante cui una buona parte della regione venne scossa con la magnitudine davvero impressionante di 6,9. Abbastanza per radere al suolo una città nella stragrande maggioranza di altri luoghi al mondo, ma che in base alle casistiche pregresse, e grazie alla straordinaria architettura antisismica di questo paese, avrebbe dovuto limitare in buona parte le nefaste conseguenze dell’evento. Limitare a “sole” 6.400 vittime, 40.000 feriti e 240.000 sfollati, una mera frazione di coloro che subirono le peggiori conseguenze del precedente grande disastro tellurico del Kantō, finito per costare la vita a più di 140.000 persone nel 1923. Merito dei perfezionamenti strutturali e dei materiali abitativi, senz’altro, benché l’immediata impressione collettiva in ambiente tecnico fu che il numero potesse essere ulteriormente ridotto, e che in effetti lo sarebbe già stato, se soltanto fosse stato possibile predire accuratamente i pro ed i contro di ciascuna possibile scorciatoia d’assemblaggio e rifinitura edilizia. Lungi dall’essere a capo di un paese incline a perdersi d’animo, soprattutto in materia di disastri naturali, il governo giapponese incaricò quindi l’Agenzia per la Scienza e la Tecnologia d’implementare nuove metodologie di studio e sperimentazione, all’interno di un nuovo organo gemellato definito con l’acronimo di NIED: National Institute for Earth Science and Disaster Resilience. Ma nessuno, in quel drammatico momento, poteva immaginarsi fino a che punto i membri del consiglio dei sapienti si sarebbero inoltrati per raggiungere la propria sacrosanta mission procedurale.
L’implementazione del sistema di simulazione dei terremoti E-Defense viene per la prima volta delineata su scala internazionale da Keiichi Ohtani, Nobuyuki Ogawa e colleghi nel 2003, al Convegno d’Ingegneria dei Terremoti del Pacifico ed in base alle linee guida contenute in un apposito pamphlet di accompagnamento. Descrivendo le caratteristiche di un’utile risorsa sperimentale, posta al servizio non soltanto dello stesso Giappone ma di qualsiasi altro governo o azienda che, dietro il pagamento di un prezzo ragionevole, dovesse decidere di mettere alla prova le proprie soluzioni anti-sismiche dalla più grande funzionalità ed efficienza (così come fatto, nel monumentale test d’apertura, dalla produttrice di forniture edilizie statunitense Strong Ties). Le caratteristiche tecniche dell’installazione, la cui “E” nel nome non vuole indicare, come si potrebbe essere inclini a credere “Earthquake” bensì “Earth” appaiono già in quel momento chiaramente definite: una portata di 1.200 tonnellate per l’edificio da sottoporre al disastro artificiale, con una velocità massima di 200 cm/s direzionabile sia verticalmente di 50 cm che orizzontalmente di un metro, garantendo in questo modo i sei gradi di libertà (6DOF) tanto fondamentali per poter condurre sperimentazioni realmente accurate. Come appreso, per l’appunto, durante il grave terremoto dello Hanshin, quando non fu la semplice potenza dello scuotimento bensì la particolare modulazione delle traslazioni parallele al suolo a mettere in difficoltà la pur ottima architettura resistente ai crolli della città di Kobe. Con parte dei lavori già iniziata nell’anno 2000, la costruzione del dispositivo e il suo edificio di contenimento progredì quindi rapidamente, verso il completamento entro due soli anni dalla conferenza entro il campus del NIED situato nella piccola città di Miki, non troppo distante dalla capitale dell’omonima prefettura. Accanto all’hangar principale, quindi, una seconda struttura avrebbe trovato collocazione, contenente dei motori a gas per una potenza complessiva di 4.300 cavalli, utilizzati per pompare grandi quantità di fluido idraulico nella triplice serie di pistoni che animano il piatto di scuotimento, rispettivamente posizionati di fronte, a lato e sotto la parte operativa del meccanismo. Fondamentale nell’economia ed impiego di questo meccanismo concettualmente e nominalmente paragonabile a un vero e proprio mecha, il robot non sempre antropomorfo che dovrebbe difendere i popoli del pianeta, il sostegno di un’intera e numerosa squadra di operai specializzati, con il compito di assemblare volta per volta le vittime designate per l’importante processo di studio, veri e propri palazzi completi in ogni loro parte strutturalmente significativa. Il canale ufficiale dell’Istituto dunque, un vero e proprio scrigno di spettacolari devastazioni, mostra ogni sorta di prove con palazzi dei materiali più diversi, nonché comparazioni “prima e dopo” relative ai kit di perfezionamento, rapidamente prodotti ed installati nelle zone soggette a maggiore rischio sismico di un paese già notoriamente battuto dai terremoti. Di notevole interesse l’effettiva resistenza dimostrata da strutture in legno come quella utilizzata dalla Strong Ties, coerentemente ai dati lungamente raccolti e già dati per acquisiti in molti diversi paesi al mondo. Vedi la previsione all’interno del codice edilizio di Los Angeles, altra zona potenzialmente soggetta a gravissime devastazioni, per i cosiddetti edifici 2 su 5, in cui l’ultima coppia di piani dovrebbe per l’appunto essere costruita in buona parte mediante il materiale più flessibile che proviene dal reimpiego degli arbusti della nostra Terra. Una Madre per lo più benevola… Fatte le dovute eccezioni?
Convivere sotto il giogo pressoché costante di una devastante fine di ogni cosa non è mai stato facile, né tende oggi ad esserlo per il popolo giapponese. Proprio per questo un’istituzione come quella del NIED, che opera su scala nazionale con numerose altre installazioni di ricerca, sismografi e sensori anti-tsunami, costituisce un’importante risorsa psicologica, funzionale a rassicurare gli abitanti delle gremite città di un simile paese che i rischi possono essere sensibilmente ridotti, a patto di seguire le precise direttive degli enti preposti. Per cui c’è veramente da sorprendersi, per la ben nota e spesso discussa osservanza delle leggi e codici da parte del più remoto arcipelago ad Oriente? Che scaturisce da profonde implicazioni psichiche di società, cultura e religione, ma anche e soprattutto dalla necessità pratica di condividere ed arginare i significativi gradi di corresponsabilità. Giacché nessuno, lo dimostra la logica, vorrebbe essere la causa di gravi conseguenze che mediante metodi precisi potevano essere in parte arginate, se non propriamente accantonate nei più inaccessibili recessi delle possibilità future. Di un destino maggiormente influenzabile dalle nostre scelte operative, di quanto potremmo essere stati indotti a pensare. A patto di basarsi su misurazioni pienamente oggettive, grazie ai meriti del metodo scientifico su cui si fonda, non a caso, la mentalità moderna e contemporanea.