In un’ideale elenco dei felini più riconoscibili del mondo, le possibili forme e metodologie di sviluppo dei suddetti animali non parrebbe variare in modo particolarmente significativo. Giacché ogni gatto a questo mondo, possiede artigli, orecchie triangolari ed erette, una coda smilza (sebbene la lunghezza possa variare) il muso relativamente piatto e una schiena che s’inarca per esprimere la propria inclinazione comportamentale. Osserviamo nel complesso, di contro, la questione tassonomica della singola tribù sudamericana dei cerdocionini: undici specie, suddivise in tre generi, non meno diversificate di quanto potrebbe esserlo un concorso canino. Con due zorros – la volpe andina e quella mangiatrice di granchi, che si affiancano all’anomalo ed affascinante crisocione o “lupo dalla criniera” la bestia elegante a metà tra un levriero e il Pokémon Suicune, meno la propensione a lanciare magici dardi ghiacciati all’indirizzo dei propri feroci rivali. A connotare ulteriormente l’eterogenea famiglia, nel frattempo, è possibile individuare la presenza del più prossimo parente di una simile creatura, che potremmo definire in una singola espressione come all’estremo opposto delle possibilità canine; basso e tarchiato, come un bulldog dal peso approssimativo di 7-8 Kg, ma del tutto autosufficiente nel suo rapporto con l’ecologia selvatica del cosiddetto bush. Una definizione usata in questo caso per riferirsi, contrariamente all’abitudine, all’umida boscaglia e le distese cespugliose del Costa Rica, la Bolivia, Brasile e Paraguay. Dove sussistono le multiple popolazioni, ormai in regime disgiunto e frammentario, di un animale che ormai può essere soltanto definito come raro nell’intero areale, per l’implacabile riduzione del suo areale e la sostanziale ostilità di chi è incline a trarre il proprio sostentamento dai contesti rurali. Questo perché lo Speothos venaticus alias bush dog, suddiviso in tre sole sottospecie molto simili tra loro, è quello che può esser definito in senso pratico il perfetto super-carnivoro, quel tipo di predatore che assale e fagocita ogni cosa più piccola o debole di lui… E molte altre, potendo sfruttare la quasi del tutto infallibile collaborazione del branco. Tutto ciò nonostante l’aspetto placido che tende a suggerire un’inclinazione poco aggressiva, impressione d’altra parte almeno parzialmente valida per quanto concerne i rapporti coi suoi simili e l’occasionale mano degli umani, durante il soggiorno all’interno degli zoo e simili circostanze di condivisione dei propri giorni. E a tal punto, in effetti, questo canide risulta specializzato nel consumo pressoché esclusivo di carne da essere uno dei soli tre rappresentanti della sua vasta famiglia, assieme al cane selvatico africano e il dhole indiano, a possedere il “tacco tranciante” (trenchant heel) una specializzazione del primo molare inferiore fatta per strappare le parti più coriacee di una carcassa. A patto di avere abbastanza tempo, e relativa tranquillità, dal potersi mettere a farlo…
Lo speoto, che è solito costruire le proprie tane in piccole buche lasciate dagli armadilli o direttamente dentro il cavo degli alberi, trascorre dunque i propri giorni in branchi territoriali costituiti in media da 10-12 esemplari, guidati da una coppia alpha e una precisa gerarchia distinta tra i due sessi. Senza frequenti battaglie, bensì la logica dettata dall’anzianità, i nuovi nati vengono comunque mantenuti all’interno del gruppo, ricevendo in questo modo la tutela e protezione che deriva dalla collaborazione comunitaria. Il cui risultato può essere osservato chiaramente nel momento in cui la piccola comunità s’industria nella caccia, prendendo di mira in genere piccole prede come lucertole o mammiferi, ma anche l’occasionale preda di notevole imponenza e non indifferente propensione all’autodifesa. Come un capibara, il cinghiale locale noto come pècaro o l’uccello terricolo rhea, un reiforme dalla conformazione simile a quella di uno struzzo. In almeno un caso eccezionale, il gruppo degli speoti è stato osservare assaltare e abbattere persino un tapiro dal peso approssimativo di 250 Kg. Mentre di assoluto interesse è il loro metodo di cattura delle prede anfibie, per inseguire le quali i cacciatori sono soliti dividersi in parti uguali, per inseguirlo al tempo stesso dalla terra ferma e in acqua, grazie alla formidabile abilità nel nuoto e l’insolito possesso di piedi palmati. Un’ulteriore dimostrazione, se necessaria, del forte spirito gregario di questo cerdocionino, caratterizzato dalla vocalizzazione squittente simile a un guaito, che utilizza pressoché costantemente per mantenersi in contatto coi suoi compagni tra i tronchi opachi della foresta. Fino al raggiungimento del periodo degli accoppiamenti, possibile durante l’intero corso dell’anno e con date caratteristicamente difficili da prevedere, a seguito del quale la madre alpha metterà al mondo 3-6 cuccioli, dopo un periodo di gestazione tra i 65 ed i 70 giorni. Completata la gestazione con il trascorrere di almeno 8 settimane, i nuovi nati entreranno a pieno titolo tra i membri produttivi del branco, contribuendo a perpetrarlo tramite l’impegno nella caccia e la protezione del territorio. Soltanto alla nuova coppia alpha, dopo il concludersi del passaggio generazionale, sarà tuttavia concesso di mettere al mondo una prole, tramite l’impiego di ormoni capaci d’interdire l’ingresso nel periodo fertile alle proprie compagne di scorribande. Ulteriori nome attribuito a questa specie, rispettivamente nei paesi di lingua portoghese e spagnola, sono quelli di cachorro-vinagre o perro vinagre, ovvero “cane dell’aceto” per il suo caratteristico e distintivo odore, potenzialmente rinforzato dall’abitudine di urinarsi vicendevolmente addosso durante le attività di marcatura del territorio. Un comportamento potenzialmente raro in cattività, visto come simile caratteristica venga raramente riferita dai guardiani degli zoo e coloro che si recano occasionalmente a visitarli.
Cani come questi, d’altra parte, sono e continueranno ad essere sempre più rari. Costituendo la letterale piramide ecologica di un sistema strettamente interconnesso, in cui soltanto una struttura complessa di relazioni tra le specie permette ai carnivori specializzati di prosperare. E questo senza neppure entrare nel merito dei numerosi acri di foreste trasformati annualmente in coltivazioni intensive di risorse economicamente redditizie, o l’effetto devastante avuto su questi abitanti del bush dalle malattie canine a loro trasmesse sui pericolosi confini degli ambienti urbani. Qualsiasi possibile minaccia esterna, in questo modo, acquisisce il peso ineluttabile del fato, annullando il vantaggio di sopravvivenza acquisito dagli speoti attraverso i plurimi millenni di una travagliata evoluzione. Quell’automatizzata via d’accesso, in ogni possibile circostanza, alla diversificazione ed il fascino imperituro degli esseri viventi. Che tuttavia non sembra in grado di competere, nello schema immaginifico dell’uomo contemporaneo, con lo sfolgorante richiamo del progresso ed il profitto, anche a discapito di chi abbaiava prima.