Al 78° minuto il centravanti del TJ Tatran, dribblando sulla parte sinistra del campo, si avvicinava minacciosamente alla porta della squadra che giocava fuori casa. Avendo faticosamente oltrepassato la ferrea difesa dei vorkunesi, per quella che doveva essere al massimo la terza… O quarta volta dall’inizio della partita, egli sapeva che questa poteva benissimo essere l’ultima occasione di riportare il match in pareggio, evitando una sconfitta che i ragazzi gli avrebbero rinfacciato questa sera al bar del club e per molte altre occasioni a venire. Mentre il portiere avversario seguiva pedissequamente ogni suo movimento, il suo ultimo terzino rimasto sulla strada del Cannone di Balog si preparò a intromettere il suo corpo lungo l’ipotetica traiettoria del pallone, flettendo le ginocchia per il salto poderoso della tipica strategia difensiva detta “alla Slovacca”. Così il leggendario pezzo d’artiglieria umano, valutando i pro e i contro, prese un’improvvisa decisione: avrebbe passato la torcia dell’onore al suo affidabile centrocampista, con un traversone calibrato attentamente per cadere qualche metro all’area di rigore della porta nemica. Vibrato il colpo, la parabola iniziò a salire e in base a una triangolazione per lo più acclarata, lo stesso fecero le grida emozionate di un pubblico di tifosi magari numericamente ridotto, eppur tanto eccezionalmente affiatato. Giusto mentre il piede del centrocampista stava per deviare l’energia notevole del colpo nello specchio dell’obiettivo, il fischio dell’arbitro riempì improvvisamente l’aria calda del pomeriggio. Era… Fallo? Fuorigioco? Cosa diamine stava succedendo? Molti dei presenti, s’immobilizzarono immediatamente. Un secondo suono sibilante, molto più forte, risuonò da oltre il cancello principale del campo di gioco. Che come in un film di Harry Potter, si spalancò in maniera del tutto automatica, lasciando che la grande bestia stagliasse il suo profilo di metallo contro l’erba verde delle meritate speranze (di vittoria). Accidenti, un treno a vapore! Serpeggiò il pensiero tra i presenti, in un raro caso di sincronicità perfettamente coordinata, mentre il colpo vibrato dal giocatore del TJ Tatran, più che vagamente perplesso dall’estemporanea contingenza, finiva per scagliare il pallone a perdersi nella nube di fumo bianco generato dal fiabesco convoglio della Čiernohronská železnica, giunto sulla scena in un momento particolarmente inappropriato. Rimbalzando contro la caldaia ferrosa della locomotiva, tuttavia, il pallone sembrò essere guidato dalla mano di un qualche tipo di Essere Supremo. Quando rimbalzando ad esattamente 45 gradi, ritornò verso il centro dell’area di gioco e saettando fulmineo sopra il suolo, impostò la straordinaria traiettoria necessaria per passare in mezzo alle gambe semi-aperte del portiere vorkunese. Ogni voce tacque, in un momento destinato a rimanere ben cristallizzato nella mente e gli occhi dei presenti.
Verso l’epoca dei pionieri americani, quando gli ampi spazi di un remoto continente parevano una letterale sfida al manifesto desiderio di conquista dell’uomo, sussisteva largamente la diffusa convinzione che il passaggio del treno fosse un momento ritualistico in grado di trasformare interamente il significato e il senso di un’intera vallata. “Se ci faccio passare i binari, diventa mio” pensavano tra se e se i facoltosi industriali del XVIII e XIX, mentre utilizzavano a tal fine luoghi incontaminati, riserve naturali, tradizionali villaggi indiani. Rocce preistoriche venivano tranquillamente traforate, con tutto l’entusiasmo di moderni saccheggiatori longobardi o le orde mongole di Cinggis Khan. E che dire, invece, del caso diametralmente opposto? Quello vissuto, ad esempio, da un piccolo paese della regione di Veporské vrchy, nel bel mezzo dei Monti Metalliferi (Rudohorie) dove alla chiusura di uno snodo ferroviario, la brava gente del popolo pensò bene di riutilizzare un punto di transito dell’antica strada ferrata al fine di giocare le proprie partite di calcio. Finché la caduta di un regime, e l’inizio dell’epoca contemporanea, non portò a un’assoluta marcia indietro sull’originale idea di partenza…
Il caso del campo/piccolo stadio di calcio di Cierny Balog, occasionalmente ricorrente sugli hub mediatici di Internet e particolarmente popolare presso i portali di aggregazione di video virali, trae in effetti la sua origine dall’esperimento politico e sociale non del tutto riuscito della Repubblica Socialista Slovacca (1969-1990). Quando nel tentativo di modernizzare un certo numero d’imprese tradizionali, i conduttori delle vecchie industrie minerarie e del legname dell’intera regione dell’Alto Hron vennero fortemente incoraggiati a traferire la propria manodopera nei grandi poli produttivi della nuova federazione Cecoslovacca, lasciando declinare l’utilizzo multi-generazionale di un’ampia e significativa serie d’infrastrutture. Prima tra tutte l’importante Čiernohronská o ferrovia di montagna a scartamento ridotto, un sistema ramificato capace di estendersi per il gran totale di 131,98 Km al termine della seconda guerra mondiale con un’impressionante quantità di locomotive, molte delle quali costruite ad hoc dalla prestigiosa compagnia di bandiera della ČKD (Českomoravská Kolben-Daněk) allo stesso tempo costruttrice di motociclette, carri armati usati anche dai tedeschi e tram per l’utilizzo urbano. Nulla di precedente, tuttavia, ai suoi notevoli motori ferroviari a vapore, riconoscibili per un’estetica impeccabile e l’eleganza degli schemi cromatici impiegati al fine di caratterizzarli, con l’iconico contrasto ricercato tra i colori nero, bianco e rosso. Nulla di particolarmente, d’altra parte, nel momento in cui l’asse dei trasporti locali venne spostato altrove, mentre il potenziamento della rete stradale rendeva possibile per gli abitanti del posto affidarsi ai propri autoveicoli piuttosto che al servizio passeggeri ettometrico fornito dalla ferrovia. Così che nel 1982 le linee ancora operative, comunque superiori ai 90 Km, vennero repentinamente chiuse senza alcuna possibilità di appello, il che permise almeno in parte di reclamare spazi un tempo deputati al loro transito indisturbato. Luoghi come l’appezzamento di terreno quadrangolare, che sarebbe diventato di lì a poco lo stadio di casa della squadra di calcio locale, con comprensibile approvazione della brava gente di Cierny Balog. Un compromesso possibilmente pacifico al termine dell’intera vicenda, se non che parte dei macchinisti, gli altri ferrovieri le loro famiglie, si affrettarono a formare pressoché immediatamente un’associazione per la tutela e salvaguardia di quanto stava per andare perduto, mantenendo vivo nella memoria il ricordo di un sistema logistico pittoresco quanto utile, nonché particolarmente raro per le proprie qualità paesaggistiche nell’intero contesto europeo. Successivamente alla caduta del regime comunista, a questo punto, non ci fu nulla di più naturale per la nuova giunta governativa democraticamente eletta che ripristinare taluni dei cambiamenti effettuati nel periodo appena trascorso, tra cui dare inizio ad un programma di recupero, quanto meno parziale, della Čiernohronská železnica. A partire da una tratta relativamente breve e dall’alto potenziale turistico, dislocata tra il nuovo museo della stazione cittadina e quello a cielo aperto della dolina di Vydrovo, all’interno dei boschi sovrastati da un notevole castello per proteggersi dagli agguerriti banditi che si affollavano un tempo nell’oscuro paesaggio locale. Peccato soltanto che il suddetto tragitto, riaperto nel 1992, necessitasse di passare esattamente tra gli spalti e il campo di gioco del TJ Tatran, lasciando soltanto due possibili soluzioni: rinunciare all’una, oppure l’altra cosa tanto amata dalla gente di lì. Se non che al lancio della moneta fatale, qualcosa di assolutamente raro ebbe modo di verificarsi: il pezzo di conio, in modo degno di esser scritto nelle cronache di un leggendario, cadde a quanto pare di taglio. E così ebbe modo di fermarsi, in trepidante attesa di qualcuno che potesse dar soddisfazione al suo suggerimento.
Far passare il treno dentro uno stadio è in effetti una di quelle soluzioni che appaiono del tutto impercorribili finché a qualcuno non viene l’idea, del tutto incidentale, di provare a mettere in pratica l’idea. Ed il tutto funziona in modo estremamente pratico, quando nelle ore di mancato utilizzo agonistico degli spazi, tutto quello che il macchinista deve fare è inviare un segnale alle porte automatizzate dello stadio, facendo il suo passaggio a gran velocità da un lato all’altro della piccola arena cittadina. Questione che diventa immediatamente più complessa, potrete ben immaginarlo, quando le corse aumentano di numero in estate, così come il susseguirsi dei confronti messi in calendario tra le agguerrite squadre della 3. Liga.
Ed il risultato, per quanto improbabile, avete avuto modo di vederlo coi vostri stessi occhi: la partita viene messa in pausa, il gran pitone dalle molte ruote si avvicenda con incedere notevolmente rallentato (auspicabilmente) mentre l’arbitro ha tutto il tempo di elaborare una posizione da imporre ai giocatori al termine del contrattempo, al fine di non cancellare gli ipotetici vantaggi guadagnati da una delle due parti poco prima del fischio fatale. Questione non sempre semplice e che possiamo immaginare dare luogo a non pochi fraintendimenti o disquisizioni tra i diretti interessati. Per cui ogni caduta, ciascuna mossa poco ortodossa, viene sottoposta a settimane di scrutini a posteriori, fatta eccezione per il tipo di spintone altamente indesiderabile o del tutto accidentale, che potrebbe scagliare un ipotetico malcapitato sul tragitto dei binari in pieno spartan style, poco prima che questi ultimi ritornino a servire per lo scopo a cui erano stati originariamente deputati. Una ragione certamente valida, tra le tante, per introdurre una breve pausa nella partita. Benché potesse risultare niente meno che perfetta per un finale sportivo ad effetto e l’interruzione della ripetitività procedurale, in un videogioco.