In una delle scene possibili durante il difficile attraversamento dello Stretto, verso la metà esatta di un viaggio che avrebbe portato una delle quattro navi (ma non il suo capitano) a circumnavigare per la prima volta il globo, un equipaggio misto di spagnoli, portoghesi ed italiani avrebbe avuto modo d’individuare luci tenui sul profilo di una costa battuta dai venti incessanti della Patagonia. Difficilmente essi avrebbero potuto immaginare, né ebbero l’intento e la ragione di verificare, l’appartenenza di tali sparpagliati fuochi da campo ad un popolo natìo d’indigeni, gli Yahgan, che così erano inclini a riscaldarsi a notte dato il possesso di una quantità limitata d’indumenti, senza i quali un europeo avrebbe sviluppato i sintomi dell’assideramento poco più di qualche ora dal momento in cui si fosse trovato all’esterno. Mentre navigavano le turbinanti acque di un tratto di mare disseminato di pericoli e muraglie di ghiaccio (ma pur sempre meglio del terribile ed ancora sconosciuto passaggio di Capo Horn) essi scorsero al principio delle ore diurne una scena più immediatamente riconoscibile: alcuni uomini armati di lance ed archi, che correndo sul sentiero parallelo alla costa sembravano inseguire dei piccoli animali rossastri. Quello che si stava dipanando sotto gli occhi degli esploratori pareva, a tutti gli effetti, costituire un chiaro quanto inconcepibile esempio di caccia alla volpe. Soltanto svariati secoli dopo, con la costituzione delle prime missioni religiose ed i commerci intrattenuti con tali genti, i discendenti professionali del grande Magellano avrebbero scoperto il vero nome di quella creatura, chiamata culpem per un prestito dalla lingua mapundungun, termine significate “pazzo” o “follia”. Ciò in quanto il canide in questione, come sua prerogativa di massima, non sembrava temere a sufficienza gli esseri umani, e si lasciava avvicinare senza troppe cerimonie dai cacciatori. Un atteggiamento dai molti svantaggi per una creatura selvatica, ma almeno un singolo, importante punto a favore: ne avrebbe parlato estensivamente per primo il comandante francese Louis-Ferdinand Martial, della spedizione francese in Tierra del Fuego del 1883, descrivendo nei suoi diari il cosiddetto “cane fuegino”, una razza “brutta e simile a una volpe, ma più grande e dai peli lunghi color tenné” tanto a suo agio tra gli insediamenti umani degli Yahgan e dei Selknam, quanto apparentemente priva dell’innata fedeltà ed indole guardiana del migliore amico dell’uomo. Questo nonostante il loro grado di parentela biologica più prossimo al canis lupus ed allo sciacallo che alla ben più somigliante volpe dell’Eurasia, sebbene i culpeo avessero un importante ruolo nello stile di vita tribale degli insediamenti sudamericani: dormire assieme ai loro padroni, tenendoli al caldo e ricevendo in cambio lo stesso vantaggio sulla base di un istinto ereditato dalle incalcolabili generazioni. E l’occasione di andare assieme a caccia dopo l’ora dell’alba, generalmente delle lontre comuni lungo il corso dei rapidi fiumi delle circostanze. Questa integrazione mutualmente produttiva sarebbe tuttavia ben presto destinata a passare in secondo piano, con l’arrivo dei primi coloni occidentali accompagnati da creature come polli e pecore di fattoria. La cui caccia risultava particolarmente facile e soddisfacente per tali creature, portando a un graduale sterminio di qualsiasi gruppo fosse solito addentrarsi oltre i confini dei villaggi che una volta li avevano nutriti…
Dal punto di vista della conformazione fisica il culpeo, altresì definito lare o Lycalopex culpaeus è quindi significativamente più imponente della volpe rossa, con un peso massimo degli esemplari adulti capace di aggirarsi attorno ai 14 Kg e zampe lunghe per inseguire le sue prede nelle vaste distese scarne delle pampas sudamericane. Esso è parte della famiglia dei cerdocionini, nonché il secondo canide nativo del suo continente per grandezza dopo il crisocione (C. brachyurus). Naturalmente incline a nutrirsi di roditori, lagomorfi, rettili, insetti e conigli, questa creatura non disdegna l’occasionale frutto o resti di vegetali, costituendo a tutti gli effetti una creatura carnivora nonché tra i predatori più efficaci del suo ambiente di appartenenza. Più veloce della chilla, il gatto delle pampas o il mustelide grigione (gen. Galictis) ma superato in pericolosità per le sue prede unicamente dal puma, che date le sue dimensioni significativamente maggiori non condivide l’interesse per lo stesso ambito ecologico d’appartenenza. In un areale capace di estendersi per buona parte dell’America Meridionale, dove l’animale risulta essere diversamente diffuso ed in funzione di ciò sottoposto a livelli progressivamente inferiori di tutele: da quella parziale e contraddittoria dell’Argentina, in cui può essere liberamente cacciato soltanto in 6 province su 8, ai permessi concessi soltanto raramente a tale fine entro i confini della nazione peruviano. Una situazione simile a quella cilena, in cui del resto l’uccisione della volpe è concessa unicamente per proteggere la propria fattoria e resta illegale il commercio in qualsiasi forma della sua pelliccia. Un caso singolare, nel contempo, è quello rappresentato dalla frequente cattura abusiva per il mercato degli animali domestici, non tanto per rispondere ad un’effettiva richiesta di tali creature indipendenti e poco addomesticabili, quanto per l’abitudine a venderne i cuccioli come esemplari di cani di razza, un’inganno mantenibile fino a qualche mese di vita, quando l’allungarsi e ingrossarsi della loro coda pelosa inizia a rendere fin troppo chiara la verità. Celebre, a tal proposito, il caso della volpe culpeo di nome Run Run, che sul finire del 2021 è diventata famosa in tutto il Perù dopo essere stata adottata come conseguenza di una truffa simile da un sedicenne di Lima, Ronald Sotelo, la cui madre Maribel fece immediatamente il possibile per chiedere l’aiuto degli enti di protezione animale e la sua restituzione all’ambiente di provenienza. Se non che un ritardo nell’intervento dei suddetti avrebbe portato, ben presto, ad un ritorno allo stato ferale della volpe, che iniziando ad aggirarsi libera nel suo quartiere d’adozione avrebbe ucciso alcuni porcellini d’india domestici, prima di fuggire dando luogo ad una ricerca a tappeto sui confini della capitale. Situazione giudicata finalmente sufficiente, complice l’attenzione delle telecamere, dalla Procura Specializzata per le Questioni Ambientali (FEMA) a risolvere il problema tramite l’impiego di un dardo tranquillante ed il rapido trasporto allo zoo di Huachipa, dove Run Run si trova tutt’ora. Facendo funzione di ambasciatore della propria specie e sollevando finalmente, di fronte all’attenzione del grande pubblico, la complessa questione del ricco patrimonio biodiverso della stragrande maggioranza dei paesi di matrice sudamericana. Un tesoro da custodire a vantaggio del turismo, piuttosto che ignorare ostinatamente alla ricerca di un’impeto industriale ed edilizio che potrebbe costituire un letterale vicolo cieco.
In tutti i casi in cui è stato lasciato a se stesso, senza particolari interferenze di natura antropogenica, il culpeo ha già dimostrato di saper ricostituire la sua popolazione originaria, grazie alla capacità di mettere al mondo tra i due e i tre cuccioli con un periodo di gestazione di 55-60 giorni, con la data di nascita situata tra i mesi di agosto ed ottobre, nel pieno della primavera dell’emisfero australe. Una volta venuti al mondo, quindi, i piccoli maturano rapidamente, con il raggiungimento dell’indipendenza parziale dopo appena sei mesi, e la maturità riproduttiva al volgere dei primi caldi dell’anno successivo. La loro tana viene costruita, preferibilmente, tra le rocce situate in cima ad un’altura, da cui la madre può tenere d’occhio l’avvicinarsi di eventuali pericoli all’orizzonte. Il culpeo è infatti una creatura solitaria al concludersi della stagione degli amori, il che la porta ad un atteggiamento schivo e guardingo, nonostante la sua ingenua reputazione.
Ricordandoci che non tutto quel che sembra volpe è a tutti gli effetti necessariamente tale, questo predatore onnivoro dell’estrema punta meridionale di un continente fu uno dei primi casi utili a notare i meriti della teoria darwiniana dell’evoluzione. Che tende a convergere verso tratti comuni, anche tra popolazioni di creature molto distanti, o differenziarsi tanto significativamente in tutti i casi in cui le circostanze appaiono assai diverse. Come lo stesso Charles avrebbe avuto modo di affermare, durante il viaggio della HMS Beagle, al suo primo contatto con il popolo degli Yahgan, che descrisse “Molto più diverso dall’uomo europeo di quanto possano esserlo gli animali selvatici dei rispettivi ambienti.” E chi può negare che in quel momento, egli stesse riferendosi proprio alla volpe oggetto della nostra breve disquisizione?