Quella mattina sul finire di luglio del 1836, la morte era nell’aria e i tre ragazzi non più grandi di 14 anni erano determinati a trarne un qualche tipo di giovamento. Così John, George ed Oliver (nomi di fantasia) si lasciarono alle spalle le propaggini esterne della loro città natìa, Edimburgo, per addentrarsi nella regione verde nota con il nome di Holyrood Park, uno dei tanti spazi ad uso pubblico nominalmente appartenenti alla famiglia reale. Ciascuno di loro aveva una mazza ricavata da un ramo di pino, laboriosamente levigato e appesantito con un sasso legato sulla sommità. Ed Oliver portava anche, inserito nella cinta, un lungo coltellaccio da macellaio prelevato dalla cucina dei suoi genitori. “Gliela faremo vedere, a quei dannati… Conigli.” Affermò costui. O lepri, che dir si voglia: poiché non era insolito a quei tempi, ed invero risultava addirittura un’usanza mediamente diffusa, che la dieta del popolo venisse integrata con la risultanza di battute di caccia informali, concettualmente non dissimili da quelle condotte secoli, o millenni a questa parte. Dopo qualche altro minuto trascorso nella spensierata, fu quindi il momento per John di dare il proprio contributo alla conversazione: “Ecco ragazzi, ci siamo quasi. Il figlio del calzolaio mi ha spiegato dove ha visto l’ingresso di una tana piuttosto interessante, sull’altro lato della rupe leonina. Come vi dicevo, dovremo arrampicarci.” Quella presenza estremamente familiare nel paesaggio antistante la città, la roccia vulcanica di Arthur’s Seat (il Seggio di Artù) che veniva citata nel poema elegiaco del sesto secolo Y Godolin come la fortezza principale del popolo dei Gododdin. Ed in tempi non così distanti, la presunta località ove sorse l’alto castello di Camelot, appartenuta al grande condottiero bretone che fu capace di unificare i popoli dell’Alto Medioevo e scacciare via il male del nostro mondo. Non che tutto questo interessasse particolarmente ai nostri tre giovani eroi, che raggiunte le irte pendici del rilievo, si legarono le armi primitive dietro la schiena. Ed un piede ed una mano alla volta, cominciarono a dirigersi verso la vetta della collina. Ora le cronache del tempo, o per esser più precisi i quotidiani pubblicati contestualmente al racconto, spiegarono che uno degli improvvisati cacciatori fu più lesto degli altri, ritrovandosi a tastare per pur caso quella che sembrava tanto essere una roccia preminente nella scoscesa parete del paesaggio. Potremmo dire che sia trattato di George. Sporgenza la quale, per sua sfortuna, cedette causando la sua rovinosa caduta a terra. Non da una posizione sufficientemente in alto da arrecargli un significativo infortunio, tanto che rapidamente tentò subito un secondo approccio. Soltanto per trovarsi di fronte, una volta ritornato fino al punto dell’incidente, a qualcosa di assolutamente inusitato: “John, Oliver, venite a vedere! Qui c’è un buco e qualcosa all’interno. Credo siano… Scatole di legno.” La sua prima impressione, tuttavia, si sarebbe molto presto dimostrata errata. Dentro il cupo pertugio ricavato dalla mano dell’uomo (o della donna) risiedevano 17 bare poste ordinatamente in due file da 8, con il resto di uno. La loro misura non superava gli 8-10 cm sul lato più lungo, ed erano state decorate con pregevoli fregi di stagno, simili a stemmi ed emblemi.
Lo svolgersi degli eventi, a questo punto, avrebbe preso una piega sconveniente: colpiti in modo abbastanza superficiale dal ritrovamento, i tre giovani raccolsero comunque gli strani oggetti attentamente sigillati, ed al termine di una battuta di caccia non particolarmente fortunata ai danni dei lagomorfi di Scozia, s’incolparono a vicenda, finendo per lanciarsi vicendevolmente con crudele accanimento alcuni dei fragili reperti in legno. Soltanto quando uno di questi si spaccò, aprendosi, avrebbero scoperto l’insospettabile verità: la presenza al suo interno di una minuscola figura antropomorfa del defunto, vestita di tutto punto con blusa quadrettata e pantaloni. Dopo un tale sinistro evento le fonti divergono, benché la sostanza consista di una serie di passaggi largamente acclarati. Meditando in merito all’opportunità che avessero per le mani qualcosa di prezioso, John, Oliver e George decisero di provare a vendere gli occulti reperti. E mettendo in mostra il proprio contegno più distinto e civilizzato, si recarono presso il negozio di Robert Frazier, gioielliere di Edwards Street. Che acquistò le bare a poco prezzo, mettendole in mostra nel suo piccolo museo privato…
Passate di mano più volte tra collezionisti privati nel corso degli ultimi due secoli, calate di numero in base al conteggio originario ed infine donate nella quantità residua di 8 al Museo Nazionale di Scozia da una certa Christina Couper di Dumfriesshire, questi misteriosi oggetti sono stati posti al centro di una letterale tempesta di teorie ed ipotesi dal vario grado di probabilità. Chi le aveva costruite, e perché? Ma soprattutto, qual era il significato dell’occulto rituale a seguito del quale erano state poste sotto l’emergente forma paesaggistica della roccia di Arthur’s Seat? Ad accrescere ulteriormente la stranezza dell’intera faccenda, i segni di usura e dovuti all’umidità delle bare e delle statuette superstiti si mostra molto variabile, inducendo il sospetto che possano essere state seppellite a più riprese attraverso un periodo di diversi anni, nonostante sembrino tutte costruite dalla stessa mano o al massimo due persone distinte. Il particolare metodo di fabbricazione dei pupazzi in legno, l’abilità d’intaglio mostrata nella creazione delle casse nonostante il mancato impiego di attrezzatura specifica ed il tipo di cuciture impiegato nel tessuto di cotone dei loro abiti, identifica quindi un periodo non molto più antico della stessa epoca del ritrovamento, sebbene nessun tipo di analisi dendrologica sia mai stata condotta sui fragili reperti. Il che non ha impedito, prevedibilmente, l’attribuzione in linea di principio a un qualche tipo di maleficio o malvagia opera stregonesca, riconducibile alla lunga storia in materia collegata alla popolazione edimburghese, che condusse una quantità stimata di 4.000-6.000 processi per attività magiche proibite soltanto tra il XVI ed il XIX secolo. La prima analisi con un qualche tipo di base filologica e storiografica sarebbe quindi giunta soltanto verso la metà degli anni ’90, grazie ad uno studio scientifico pubblicato da Simpson e Menefee, rispettivamente uno storico dell’Università di Edimburgo e l’associato della facoltà di legge dell’Università della Virginia statunitense. I quali, rifacendosi alla tradizione tipica delle isole britanniche di seppellire l’effigie di coloro che morivano in mare, pensarono di rintracciare eventuali disastri o stragi relative agli anni di più probabile provenienza delle bambole, arrivando ad una singolare quanto confutabile conclusione: che queste dovessero in qualche modo rappresentare le esattamente 17 vittime dei serial killer William Burke e William Hare attivi tra il 1827 ed il 1828, famosi per aver ucciso individui poveri e disagiati della popolazione cittadina, soltanto per venderne i cadaveri alla facoltà di medicina, perennemente in cerca di soggetti per i propri studi ed esperimenti anatomici istituzionalizzati. Una prassi tanto diffusa, e ben pagata, che in epoca vittoriana diventò l’abitudine dei parenti far proteggere le bare dei propri cari mediante l’impiego di apposite gabbie o scatole di cemento, chiamate per l’appunto mortsafe. Ciò che i due studiosi avevano ipotizzato dunque è che gli stessi assassini avessero in qualche modo deciso di commemorare le proprie vittime in un impeto di pentimento, o che possa essere stato qualcuno di strettamente collegato a loro, come il controverso medico e professore Robert Knox che fu il loro cliente principale, prima di trovarsi la carriera rovinata quando emerse pubblicamente l’orribile verità nascosta dietro alle sue lezioni. Va tuttavia notato come tutte le personalità coinvolte furono arrestate poco dopo l’esecuzione del 17° omicidio, rendendo nei fatti molto difficile recarsi nel pertugio per nascondervi la bambola corrispondente. Oltre al fatto che la maggior parte delle vittime della spietata coppia furono delle donne, mentre gli abiti delle bambole parrebbero identificarle univocamente tutte come individui di sesso maschile.
Un’altra interessante idea sarebbe giunta quindi da Jeff Nisbet, grafico di professione originario di Edimburgo emigrato negli Stati Uniti all’età di soli 11 anni, che a partire nel 2013 ha iniziato a diffondere su Internet lo schema della sua possibile spiegazione. Che le piccole bare e il loro contenuto fossero, effettivamente, l’opera di protesta di alcuni dei ribelli rimasti coinvolti nella cosiddetta guerra radicale del 1820, lo sciopero sfociato in ribellione degli artigiani di Scozia sfruttati fino all’osso e ribellatosi alle logiche spietate della Rivoluzione Industriale, sfociata in un’acceso conflitto armato con morti, pene capitali e deportazioni. Nonché un grande numero di prigionieri, che vennero messi ai lavori forzati proprio a ridosso della collina di Arthur’s Seat, in quella che sarebbe rimasta nota per svariate decadi col nome di Radical Road. E non è forse possibile immaginare, tra un turno e l’altro, alcuni creativi si sfogano segretamente deponendo l’effigie dei propri compagni caduti per la causa, lontano dallo sguardo dei loro padroni?
Alta e irraggiungibile, fatta eccezione per lo sguardo, la collina arturiana custodisce quindi ancora il suo mistero. Nonostante i molti tentativi condotti per raggiungere il remoto nocciolo della questione, sopra cui è cresciuto il muschio impenetrabile delle generazioni. Ma forse il punto principale è proprio che taluni bisogni sono insiti nella natura stessa dell’uomo (e della donna) favorendo certi crismi comportamentali rimasti del tutto invariati.
Come l’elogio delle maestose gesta di coloro che ci hanno lasciato, in maniera analoga a quanto fatto nell’antico poema di Y Godolin, scritto forse dai più antichi eroi dei britanni, quando si riferiscono al loro fiero condottiero Clydno Eiddin, primo sovrano di Edinburgo che li guidava dalla cima della sua fortezza dal nome quasi impronunciabile:
Nutriva i corvi dall’altezza dei suoi bastioni
Benché non fosse Artù
Tra i potenti delle battaglie
Dinnanzi a tutti, come una barriera [sorgeva] Gwawrddur