I segnali possono apparire chiari per chi è in possesso delle giuste conoscenze pregresse: un’auto elettrica che emette, nondimeno, un suono sibilante superiore ai 100 decibel d’intensità. Lo “scarico” di un flusso d’aria concentrato, tale da emettere una consistente nuvoletta di polvere, dal tramite di un’ampia griglia situata nella parte posteriore del suddetto veicolo. Ma soprattutto, il modo surreale in cui la McMurtry Speirling (“Tempesta” in lingua irlandese) sembra approcciarsi a ciascuna singola curva senza rallentare dell’angusto tragitto in salita del festival più prestigioso del Regno Unito, annualmente capace di accaparrarsi generosi spazi sulle pagine delle riviste di settore e non solo. Grazie al suo scopo di dichiarato di dar spazio ad auto d’epoca ed affermati nomi degli sport motoristici ma anche, talvolta, l’occasione di mettere alla prova nuove piattaforme tecnologiche e tutto ciò che queste comportano in termini di prestazioni, superiori a quanto fosse possibile raggiungere o aspettarsi fino a una trafila di epocali momenti. Poco più lunghi di 40 secondi, in genere, ed invero per la prima volta lo scorso 25 giugno di quasi un intero secondo in meno (39,08 per essere più precisi) nel totale registrato per raggiungere la vetta della celebre collina, dove attraverso le decadi si sono succeduti tra le balle di fieno record progressivamente più notevoli delle diverse scuderie e case automobilistiche. Grazie al merito, stavolta, di una soluzione nota ma mai prima d’ora contestualizzata in questo particolare ambiente: l’utilizzo di una ventola situata sotto l’automobile, tale da creare il vuoto sotto di essa e un conseguente effetto di suzione, mantenendola attaccata al suolo neanche fosse il pesce pilota di una ponderosa balena d’asfalto. Ma forse una tale metafora ancora non rende giustizia alle circostanze, poiché se quest’ultima creatura si sposta in avanti soltanto grazie al movimento di colui o colei che lo trasporta, qui siamo dinnanzi ad un veicolo capace di raggiungere la velocità di 300 Km/h in 9 secondi, grazie alla brevettata batteria a forma di U che abbraccia l’abitacolo e la coppia di motori situati in corrispondenza dell’asse posteriore. Che nel contempo, riesce a mantenere tali ritmi anche mentre segue le serpeggianti angolazioni del percorso stradale, sfruttando a pieno i vantaggi offerti da un sistema in grado di sviluppare i 2.000 Kg di deportanza per appena 1.000 di peso dell’intera automobile; permettendo almeno in linea di principio, in altri termini, di guidarla sul soffitto di una galleria o parcheggi multipiano. Ammesso e non concesso, s’intende, di riuscire a raggiungerlo senza mai permettere al sigillo pneumatico di venire meno, nello spazio di appena un paio di metri quadri situato sotto il corpo posteriore della compatta vettura, complessivamente non più lunga di 3,2 metri. Il che accresce in modo esponenziale l’effetto surrealista delle traiettorie da cartone animato adottate nella run, semplicemente fuori da ogni percezione ragionevole delle leggi della fisica e che appaiono capaci, per qualche attimo, di far aumentare le sollecitazioni laterali dell’ex-pilota di F1 Max Chilton al suo interno fino alla cifra di 3g complessivi, paragonabili a quelli abitualmente percepiti da chiunque decida di affrontare una carriera di pilota militare o acrobatico a bordo di moderni aerei a reazione. Casistica probabilmente non del tutto accidentale, quando si considera la carriera pregressa del fondatore della compagnia costruttrice Sir David Roberts McMurtry, già ingegnere della Bristol Aero Engines nonché progettista della sonda a contatto utilizzata nei motori del più avveniristico e discusso jet di linea, il Concorde…
Punto fermo di notevole importanza, nella comprensione di ciò che può rappresentare il ritorno di un meccanismo come quello della Speirling risulta essere perciò la sua capacità di generare la forza di adesione sempre ed a qualsiasi velocità, indipendentemente dalla velocità a cui si sta muovendo, come avviene per qualsiasi vettura dotata di superfici aerodinamiche, ed invero anche i vigenti giri nel motore, analogamente a quanto garantito nelle precedenti applicazioni della stessa tecnologia. Come nel caso per l’appunto della Chaparral 2J, costruita e usata per il solo campionato del 1970 dell’omonima casa californiana nel campionato Can-Am di resistenza, prima che gli organizzatori cambiassero il regolamento, con l’obiettivo esplicito di escludere un veicolo tanto notevole, e al tempo stesso pericoloso, dalla griglia di partenza. Questo perché un’automobile assistita da una ventola, oppure ben due come nel caso dell’odierna creazione inglese nonostante l’utile contromisura di un filtro d’aria, non può prescindere dal problematico sollevamento di una proverbiale nube di polvere e detriti, puntualmente scagliata in direzione posteriore all’indirizzo degli altri partecipanti alla gara. E questo senza neppure considerare il rischio inerente delle velocità raggiunte, e mantenute anche nelle curve più strette, mediante il mero utilizzo di un singolo sistema motorizzato di aspirazione che può sempre, repentinamente ed inaspettatamente, smettere ad un tratto di funzionare. Causando, almeno idealmente, l’immediato sollevamento in aria e conseguente schianto della vettura contro il pubblico, un’eventualità allontanata dalla Speirling grazie al multiplo livello di ridondanza offerto dalla doppia ventola e la presenza, comunque garantita durante il festival di Goodwood, di una coppia di alettoni di tipo assolutamente convenzionale. D’altra parte assenti nella versione più “pura” del veicolo così come nell’antica Chaparral, poiché originariamente concepita per massimizzare le prestazioni al di fuori di qualsiasi codice o regolamento pregresso, benché della vettura esista anche una versione omologata, capace di trasformare i circa 30-60 minuti di corsa ai ritmi di un circuito, sfruttando a pieno il rapporto virtualmente 1:1 di peso e potenza (1.000 Kg per 1.000 cavalli) in oltre 350 miglia di autonomia su strada. Purché ci si rassegni al singolo sedile a bordo del guidatore. Un ottimo risultato, senza alcun dubbio, per la startup che sogna un giorno di competere all’interno dello spazio occupato al giorno d’oggi in solitudine dalle sportive di fascia alta della Tesla statunitense.
L’effetto suolo negli sport motoristici è del resto una risorsa particolarmente valida, sebbene conduttiva a diverse problematiche difficili da superare. Tra cui non soltanto la sopra citata propensione a sollevare copiose quantità di materiale indesiderato lungo il tragitto, ma l’innalzamento del livello di know-how tecnologico necessario per restare competitivi, oltre al mantenimento in curva di velocità talmente alte da incrementare sensibilmente il pericolo della gara. Il che ne rende ogni futura o eventuale applicazione perfettamente a suo agio soltanto nel superamento di cifre o tempi da record all’interno di sentieri predeterminati, come questo appartenuto fino a poco tempo fa all’altrettanto elettrica Volkswagen I.D. R, un mostro debuttato al Pikes Peak International Hill Climb del 24 giugno 2018, prima di far registrare i 39,9 secondi sulla stessa tratta appena migliorata da quest’ultimo, straordinario cavallo da guerra irlandese. La tempesta che avanza, prolungando il proprio roboante grido di battaglia, mentre il pubblico ne segue i rapidi progressi, indiscutibilmente superiori nelle curve a quanto mai era successo prima di quel momento. Dimostrando, d’altra parte, una predisposizione del tutto priva di precedenti a gareggiare all’interno dei grandi tunnel capovolti che tanto frequentemente appaiono nelle versioni futuri di variopinti campionati motoristici di fantasia. E chi può dire quanti giorni ancora manchino, affinché il tipo di tragitti ipotizzati da F-Zero inizino ad essere chiamati una profetica realtà?