Durante i lunghi e travagliati mesi del Covid, lo sport è stato per molti l’àncora di salvezza e il vento che soffiava nel mare in bonaccia, l’approdo sempre disponibile nel mezzo della tempesta. Eppure per quanto la pratica di un qualche tipo di attività fisica o allenamento, oltre a una distrazione, potesse costituire anche il pretesto per varcare l’uscio di casa nel periodo storico più grigio e flemmatico delle ultime sei decadi (almeno) esse venivano declinate ripetutamente in una singola modalità operativa: quella della prassi solitaria, auto-regolata e individuale, di se stessi e i propri limiti, le personali aspirazioni di quei momenti. In un mondo in cui la vicinanza tra gli umani può essere considerata un pericolo, e la società stessa sembrava aver deciso in tal senso, non c’era più semplicemente spazio per quasi alcun tipo di comparazione, amichevole o meno, tra le personali capacità e i risultati di un così completo percorso personale attinente alle attività fisiche, o d’altra natura. Terminata finalmente la forzata pausa di ogni manifestazione, festa, concerto e raduno, il mondo è entrato quindi in una nuova fase; in cui l’economia fatica ancora a riprendersi, il turismo è lento a ritornare (complice anche la tragica situazione in Ucraina) ma una cosa, per lo meno, appare più che mai tornata alle condizioni ideali di un tempo. Dopo tutto, chi vorrebbe continuare a vivere tra quattro mura rigide e troppo spesse, fatta eccezione per brevi momenti di svago, come le ore d’aria per i prigionieri di un invalicabile castello?
Lo YouTuber/Tikotker/Instagramer Yuki (alias Yuki do it) che qui siamo chiamati a conoscere è in effetti un assiduo praticante di quel particolare tipo di attività su ruote che prende il nome internazionale di Longboarding, come derivazione diretta della prassi associata negli anni ’50 ai surfisti hawaiani, ogni qualvolta le onde latitavano o esageravano la propria potenza, trasportando il desiderio di spostarsi sopra un’asse semovente fino alle strade di quell’arcipelago distante. Quando i desideri collegati ma in conflitto, di poter saltare giù nelle piscine delle abitazioni e risalire all’altro lato, piuttosto che lanciarsi rapidi per le discese di quei luoghi, portò alla creazione rispettivamente dello skateboard di fino a 55 centimetri di lunghezza e qualcosa di… Più esteso. Inerentemente associato per definizione alla rischiosa disciplina del downhill e che soltanto molti anni dopo sarebbe stato sdoganato da un simile settore, per la sua naturale utilità nel mettere in pratica un diverso approccio all’utilizzo di quel particolare mezzo espressivo: la cosiddetta “danza” su terreno pianeggiante e ininterrotto, una deviazione e (nell’opinione di alcuni) assoluta sovversione del pre-esistente metodo acrobatico freestyle, per il perfezionamento di un ritmo che giustifica se stesso senza significativi rischi per la persona. Strano, imperdonabile, letteralmente inimmaginabile nel mondo “duro e puro” delle quattro ruote sotto-tavola, almeno fino al diffondersi preponderante di un breve segmento virale datato al 2016, scaricato direttamente dal profilo social dell’artista coreana e ripreso da innumerevoli testate pseudo-giornalistiche su scala pressoché globale. La scena, a ritmo di musica, in cui l’artista coreana Hyo Joo effettua una serie di curve concatenate nell’approccio gergalmente definito come carving, mentre posiziona in rapida sequenza i propri piedi sopra un longboard dalle dimensioni particolarmente significative. Avanti, indietro ed una piroetta dopo l’altra, fino alla realizzazione di quella che può essere soltanto definita come la più interessante e inaspettata delle coreografie…
Se pure la danza del Longboarding era perciò associata primariamente all’Estremo Oriente, ed in modo particolare alla parte meridionale della penisola coreana, tale condizione non sarebbe da quel significativo momento durata ancora molto a lungo. Con un tripudio di tutorial, articoli e guide all’acquisto, per portare in questo ambito gremite schiere di aspiranti e appassionati in quantità sempre maggiore, massimamente interessati a realizzare il proprio contributo a un mondo di cui fino a poco prima, neppure conoscevano l’esistenza. Il che non può certo sorprendere, quando si considerano gli aspetti cardine di tale disciplina il cui scalino d’ingresso parrebbe presentarsi tutt’altro che ripido, previa una preparazione fisica adeguata e possibilmente presa in prestito da altri sport come il pattinaggio, ma soprattutto manca il costante rischio d’infortunio associato alle altre specialità basate su comparabili mezzi di trasporto. Per una sorta di ritorno alle origini che potrebbe sorprendere coloro che sono maggiormente addentro al settore, vista la maniera in cui la danza della tavola nelle sue accezioni più post-moderne e contemporanee sia effettivamente collegata all’attività di due sportivi statunitensi pubblicamente attivi a partire dal 2008, noti come il duo degli Adam per la loro accidentale omonimia. Adam Colton e Stokowski dunque, sfruttando la propria perizia sulle tavole e l’eccezionale equilibrio, furono i primi dimostrare come la semplice applicazione di principi del ballo inerentemente collegato a circostanze prive di uno spostamento su ruote potesse costituire una via d’accesso a nuove metodologie espressive in grado di cambiare dal basso il paradigma precedentemente dato per acquisito. Il tutto accompagnato da un’intento goliardico e scherzoso, con l’interpretazione di buffi personaggi come cavernicoli estremamente determinati a stabilire un canone di comunicazione gestuale o nerborute dame in abito da sera rosa fuchsia, in surreali corteggiamenti rotolanti sullo sfondo del teatro scorrevole delle villette a schiera di quei luoghi variabilmente ameni. Soltanto negli anni più recenti, e probabilmente dopo il successo virale del già citato ed antologico video dimostrativo di Hyo Joo, la danza del longboarding si è progressivamente trasformata in una tecnica espressiva prevalentemente collegata al mondo femminile, in un ambito sportivo, quello derivante dal prototipico street surfing di oltre un mezzo secolo a questa parte, un tempo collegato in modo imprescindibile alla prototipica necessità degli uomini di dare prova della propria forza e sprezzo del pericolo. Forse proprio per questo, attirandosi critiche straordinariamente veementi e del tutto impreviste, da parte di coloro che considerano simili attività come una perversione di tutto quello che il movimento su una tavola “dovrebbe essere” secondo crismi provenienti non si sa esattamente da dove.
L’acquisizione di un canone e di un repertorio di passi di danza, processi ancora largamente in corso per la relativa novità di questo sport, hanno perciò portato al progressivo sdoganamento di questa sorta di contro-cultura di secondo livello, costruita sulla base di coloro che volevano “sfasciare le convenzioni” nell’epoca radical degli anni ’80 e ’90, ma che ora sembrano difendere a spada tratta l’inflessibile posizione del proprio stesso purismo intrappolato nella proverbiale quanto anacronistica lacrima di cristallo.
Come dimostrato tanto efficacemente dalle scene riprese a Seul da Yuki, in cui l’intento chiaramente competitivo non sembra sovrascrivere in alcun modo l’indole tranquilla e benevola della stragrande maggioranza dei presenti, inclini ad applaudire gli errori assieme ai successi dei concorrenti, dando spazio all’apprezzabile sentimento di trovarsi nuovamente assieme, coinvolti e collegati al nesso comunitario della propria passione comunitaria. Quasi come se in mancanza di una lunga ed intangibile storia pregressa, ogni acredine attecchisse con difficoltà ed anche nel caso peggiore, fosse incline ad appassire nel giro di pochi minuti, se non passi fatti al ritmo dei secondi con o senza musica di accompagnamento. Perché il ritmo che accompagna tale danza, quello di sicuro non può mutare. È soltanto l’orecchio privo di abitudine, che fatica a percepirne l’indefesso valore.