In un segmento antologico della tv generalista americana, due ospiti si trovano sul palco dello storico Tonight Show condotto da Johnny Carson. Uno è immediatamente riconoscibile, per le distintive fattezze e l’imponente statura, come Lou Ferrigno, attore e culturista famoso per aver interpretato l’Incredibile Hulk nell’omonimo telefilm degli anni ’70. L’altro è un uomo in età avanzata che non gli arriva neanche alle spalle, fisicamente ordinario (e a dire il vero, anche un po’ sovrappeso) con tutto l’aspetto rassicurante del pensionato che si appresta a lanciare contro le bocce nel centro sociale del suo vicinato. Terminata la breve introduzione del presentatore, utile a qualificarlo come Bill Underwood, ex-militare ed eroe di due guerre mondiali di nazionalità canadese, al gigante viene dato in mano un coltello. “Fatti avanti, ma lentamente.” Lo invita il singolare personaggio. E in un solo fluido movimento, gli afferra il polso, lo tira in alto girandolo di almeno 120 gradi, e poco dopo averlo costretto a gettare l’arma, subito accompagna l’imponente forma in terra, mettendolo completamente al tappeto. Di sicuro, l’intero svolgersi della sequenza ha molto poco a che vedere con il vero attacco di un malintenzionato. Eppure all’occhio attento di uno spettatore preparato in materia, l’evidente perizia con cui il movimento viene messo in atto dal veterano è di gran lunga superiore a quella di un semplice studente di auto-difesa. Senza contare come non rientri formalmente nel catalogo di alcuna arte marziale tra le più famose del mondo contemporaneo. Sciroppo d’acero, partite di hockey ed orsi nel bel mezzo della foresta: questi gli stereotipi associati normalmente al principale paese a settentrione degli Stati Uniti. Cui ben pochi assocerebbero, in linea di principio, la collaudata metodologia per trasformare il proprio corpo in un’arma letale.
Meno che mai, paradossalmente, i primi istruttori militari incaricati verso la fine degli anni ’30 di preparare i membri delle forze speciali nordamericane, incluse quelle statunitensi, presso il sito all’epoca segreto del Camp X, situato sulle sponde del lago Ontario, vicino la città di Toronto. I quali assieme ad avanzate tecniche di spionaggio e l’utilizzo di ogni arma da fuoco nota, insegnavano ai loro studenti il miglior modo per prevalere in un confronto a mani nude, concepito all’epoca come un misto poco pratico di pugilato, lotta greco-romana e combattimento di strada. Questo, almeno, finché successivamente allo scoppio del secondo conflitto mondiale il celebre personaggio di William E. Fairbairn, marine inglese, non venne chiamato sulla scena per dare il suo contributo alle stagnanti circostanze. Lui, con un passato tra la polizia della Concessione internazionale di Shanghai, mentre contrastò per l’intero periodo interbellico la variegata criminalità della vasta metropoli d’Oriente, aveva coltivato ed appreso un vasto novero di strategie mutuate dalle secolari tradizioni del Kung-Fu e il Jujutsu di quelle terre. Iniziò quindi una fase di letterale trasformazione e adattamento ad-hoc, assieme ai colleghi di quest’uomo, generalmente identificata nella storia del combattimento a mani nude come la nascita delle combatives, un gruppo di tecniche e metodologie capaci di condurre alla moderna corrente del CQC militarizzato (Close Quarters Combat). Ma non tutti i membri della base lavorarono direttamente sotto la sua egida, né avrebbero dimostrato di averne bisogno. Come chiaramente esemplificato dall’arruolamento e arrivo sulla scena di un tarchiato veterano della grande guerra, l’ormai quarantenne ex-pilota canadese Underwood, cui era stato rifiutato il servizio attivo nel successivo conflitto, definito dai suoi superiori “Una cosa da giovani.” E che in tale modo avrebbero forse continuato a pensare, finché in un confronto pienamente richiesto ma non del tutto amichevole, tre diversi combattenti in corso d’addestramento dal peso e muscoli decisamente superiori, non attaccarono allo stesso tempo il buffo ospite recentemente giunto alla base. Finendo per venire ricoverati, a quanto si narra, tutti e tre all’ospedale. Così che da quel momento, Bill Underwood avrebbe ricevuto il soprannome di Giant Killer (Ammazzagiganti) che all’epoca della partecipazione allo show di Carson, si trovava ancora associato alla sua persona…
Per comprendere da dove provenisse la forza di quest’individuo occorre quindi risalire con la narrazione fino alla sua gioventù, trascorsa in buona parte a quanto si narra nelle biografie ufficiali (spesso incluse nei suoi manuali di combattimento) attorno al 1910 come maschera del teatro vaudeville di Liverpool, in Inghilterra, dove ebbe modo di conoscere direttamente monumentali personalità del mondo dello spettacolo, tra cui Charlie Chaplin, Houdini e Buffalo Bill. Nonché allo stesso tempo, alcuni combattenti itineranti provenienti dal lontano oriente, tra cui i maestri del Jujitsu moderno Yukio Tani e Tara Maki, che a seguito delle loro dimostrazioni accettarono di allenarlo in via informale, il che avrebbe fatto scaturire in lui la feconda crescita di una vasta serie di idee. Jigoro Kano, l’inventore del Judo nel 1882, è famoso per aver raggiunto l’apice della sua arte e aver aperto un dojo all’età di soli 20 anni. Ma che cosa gli sarebbe successo se, alla stessa età, fosse stato coinvolto in una lunga e sanguinosa guerra? Allo scoppio del primo grande conflitto mondiale, il giovane Underwood, nel frattempo emigrato in Canada, si offrì immediatamente come volontario con la Guardia dei Granatieri e poi il Reggimento Reale di Montreal. Dopo un periodo trascorso come pilota, venne quindi catturato dai tedeschi ad Ypres, ma fuggì dal campo di prigionia a piedi, con l’unico strumento d’offesa delle sue stesse mani. Fu probabilmente in questo periodo, dal lui raccontato con grande razionalità e ironia, che elaborò le tecniche di quello che chiamò semplicemente il Combato, in una sorta di storpiatura fonetica affine a quella dei parlanti di lingua giapponese. Una sua personale reinterpretazione della fisicità del Jujitsu, in cui ogni singolo movimento era finalizzato ad apportare il massimo danno possibile nel minor tempo a disposizione. Dalle testimonianze dell’epoca coéva e quella successiva, nel periodo trascorso come istruttore presso il Camp X, la pericolosità di quest’uomo era diventata pressoché una leggenda. Ogni singolo attacco vibrato, generalmente con la mano aperta e mai con il pugno, mirava in base ai crismi della propria stessa disciplina ad uno dei 12 punti di pressione presenti nel corpo umano, con l’effettivo intento di disabilitare o uccidere l’avversario. Prese particolarmente crudeli annientavano le ossa e i legamenti dell’avversario. Il Combato risultava essere inoltre, a quanto è stato raccontato, veloce da insegnare ed ancor più facile da apprendere, costituendo una delle metodologie più efficaci trasmesse sotto l’egida e la supervisione di Fairbanks, che apprendendo dal suo sottoposto canadese ne mutuò in parte le tecniche per il suo CQC, successivamente ribattezzato, nello stesso stile, Defendu.
Successivamente alla guerra, Underwood lasciò il Camp X come molte dei suoi colleghi, senza un’idea chiara su come impiegare le proprie abilità letali in un mondo che aveva ormai riscoperto la civiltà. Rifiutato come istruttore da numerose istituzioni civili ed enti di polizia, per la troppa pericolosità delle tecniche da lui impiegate, l’uomo colse quindi il suggerimento della figlia, modificando ed alterando il canone ben collaudato del Combato, in una nuova serie di tecniche cui avrebbe dato anch’egli il nuovo nome di Defendo, per esemplificare l’intento meno aggressivo e micidiale della sua arte. Pubblicati dei libri ad ampia tiratura e di un certo successo, successivamente alla morte della moglie purtroppo sopraggiunta nel 1977, l’ormai maturo Underwood si trasferì quindi a Las Vegas, dove in un famoso aneddoto si recò presso un commissariato di polizia locale. E senza particolari presentazioni, sfidando in combattimento gli allievi del corso, ne annientò facilmente una mezza dozzina; sarebbe stato difficile, a quel punto, non offrirgli un’opportunità d’impiego.
Continuando a perfezionare la sua tecnica mentre gli anni continuavano a passare, il singolare personaggio, famoso per i suoi aneddoti e la disposizione molto positiva nei confronti dell’esistenza nonostante i drammi che aveva vissuto, diventò una celebrità minore nel suo paese, fino alla realizzazione del breve documentario del 1981, Don’t Mess With Bill, tanto accattivante da essere stato nominato per vincere un Oscar agli Academy Awards. Camminando sul tappeto rosso assieme a figure come Dolly Parton e Peter O’Toole, colpì una significativa parte del pubblico con un carisma spontaneo e l’intento di lasciare un’impronta positiva nel mondo. Cinque anni dopo, sarebbe morto pacificamente all’età di 90 anni, sopravvissuto da una sola delle sue tre figlie, che avrebbe dato seguito alla tradizione del Defendo.
Di lui Ferrigno avrebbe detto, in una successiva intervista: “È stato strano incontrarlo. Ho vinto il concorso come uomo più forte del mondo, eppure lui riusciva facilmente a usare il mio stesso peso contro di me.” Una prova, se vogliamo, del supremo dominio della mente nei confronti del corpo. E degli anziani veterani canadesi, contro i supereroi dalla pelle verde con problemi occasionali di controllo dell’ira. A patto che non abbiano il tempo né la ragione, s’intende, di arrabbiarsi…