L’esistenza di un concetto trasversale cui viene attribuito il nome di “mente collettiva” può oggettivamente avere molti lati positivi, ma alcuni altrettanto controproducenti nell’applicazione di una forma di società oggettivamente fondata sul raziocinio. Prendi, ad esempio, la registrazione della Storia: esistono fatti su cui l’opinione pubblica coéva riesce a costituire immagini indelebili, precise fin nei minimi dettagli. Vedi l’assassinio di Kennedy, la presa di Iwo Jima coi marines che alzano la bandiera, il decollo del primo aereo costruito dai fratelli Wright. D’altra parte anche l’opposto può avvenire, quando un fatto giudicato più importante si verifica a poche giornate di distanza, monopolizzando la copertura mediatica e discorsi della gente interessata a confrontarsi sugli eventi occorsi nei distanti angoli del mondo. Così il 28 luglio del 1945, esattamente 9 giorni prima che la deflagrazione della bomba atomica su Hiroshima ponesse le basi per l’epilogo della seconda guerra mondiale, il Tenente Colonnello William F. Smith Jr. si trovava a pilotare un bimotore Mitchell B-25 in configurazione da addestramento, privo di armi ma con a bordo il sergente Christopher Domitrovich e l’amico e macchinista Albert G. Perna, che era salito a bordo per un passaggio dell’ultimo momento dall’area di Boston fino all’aeroporto di Newark, New Jersey. Si trattava di una semplice missione di routine per lo spostamento di uomini e risorse tra due basi della marina in un tranquillo sabato estivo, nell’ottica di prepararsi a eventuali nuove fasi del conflitto mondiale, se non che l’equipaggio dovette scontrarsi fin da subito con la problematica realtà di condizioni climatiche tutt’altro che favorevoli. Una leggera pioggia aveva infatti accompagnato il loro decollo dalla base aerea dell’Esercito di Bedford, Massachusetts, diverse ore dopo sostituita da una fitta nebbia che sovrastava e circondava la città di New York come una cappa impenetrabile ed opaca. Ciononostante Smith, un veterano di oltre 100 missioni di volo ben noto per la sua determinazione e sicurezza ai comandi, lungi dal perdersi d’animo contattò l’aeroporto di La Guardia, per chiedere la propria posizione relativamente alla destinazione finale mentre si preparava all’atterraggio con un velivolo che conosceva straordinariamente bene. “Qui torre di controllo” rispose un addetto rimasto senza nome nelle cronache: “Siete orientati correttamente ma la visibilità è molto bassa. Si consiglia di tornare indietro o atterrare qui a La Guardia. Procedere sulla vostra rotta potrebbe essere pericoloso.” Punti di svolta, momenti in bilico, cause comuni da cui eventi letteralmente all’opposto possono scaturire, cambiando molte vite nonché la storia stessa di un’intera nazione. Fatto sta che l’uomo ai comandi, forse per eccessiva sicurezza in se stesso, oppure per non sfigurare con gli altri a bordo, decise invece di proseguire, il che fu il primo errore di quella terribile giornata. Il secondo, subito a seguire, si verificò quando l’uomo, privo di un navigatore a bordo, regolò la propria rotta pensando di trovarsi sopra l’East River, mentre l’acqua che scorgeva molti metri sotto la sua carlinga era in effetti quella dell’Hudson, cambiando la posizione relativa dell’intera giungla urbana di Manhattan, nota per i suoi numerosi ostacoli di ferro, vetro e cemento, capace già allora di superare abbondantemente i 400 metri di elevazione. Ragion per cui quando avrebbe dovuto virare a sinistra, Smith applicò piuttosto il timone dalla parte opposta, trovandosi nel mezzo di quello che avremmo potuto definire a pieno titolo un letale labirinto. Mentre dalle profondità impenetrabili della foschia si palesavano uno dopo l’altra invalicabili pareti di cemento, con uomini e donne all’interno che puntavano all’indirizzo dell’aereo gridando terrorizzati… E poco dopo che il pilota evitò a malapena la sagoma Art Decò dell’iconico Chrysler Building, qualcosa di terribile si palesò di fronte alla cabina di guida: era niente meno che la facciata troppo vasta, costruita in granito ed arenaria dell’Indiana, del gigantesco Empire State, il singolo edificio più alto al mondo. In quei fatidici secondi, mentre il tempo pareva fermo eternamente all’orario delle 9:40 di mattina, un ciclista di passaggio raccontò in seguito di aver gridato dalla strada “Sali subito di quota, idiota!” Ma il tenente colonnello non poteva certamente sentirlo ed anche se così fosse stato, molto probabilmente era ormai troppo tardi per riuscire ad evitare l’impatto.
Ora un B-25 Mitchell è un aereo molto affidabile e resistente, famoso per aver partecipato ai teatri dell’intera seconda guerra mondiale trasportando bombe, uomini e un’intero arsenale in assetto operativo di fino a 18 mitragliatrici, capaci di renderlo una fortezza impenetrabile nei confronti di eventuali intercettori nemici. Con un’apertura alare di 20 metri e un peso a vuoto di 8 tonnellate, da cui l’esemplare in questione non si discostava molto dato il suo preventivo e fortunato disarmo, esso costituisce un “proiettile” di certo meno devastante della coppia di Boeing 767 dirottati per colpire le Torri Gemelle nel fatidico attentato dell’11 settembre 2001, con l’apertura alare di 47 metri e un peso di oltre 180 tonnellate. Ciononostante, l’impatto di un aereo contro la solida struttura di un grattacielo a 200 miglia all’ora era un episodio spesso teorizzato, ma per lo più teorico dell’ingegneria civile, che per la prima volta avrebbe messo alla prova anni di calcoli ed attente contromisure. L’impatto, avvenuto tra il 78° e l’80° piano, dov’erano situati rispettivamente gli uffici dell’Ente Umanitario di Assistenza Bellica e il Concilio Sociale Cattolico, viene raccontato dai sopravvissuti come un momento capace di scuotere letteralmente l’edificio dalle sue stesse fondamenta. Le travi strutturali d’acciaio, piegandosi come da progetto, tuttavia non cedettero, permettendo all’aereo di scavare un letterale buco di 5,5×6,1 metri, mentre le parti più solide del velivolo, i due motori, prendevano strade divergenti. Così che uno, perforando fino all’altro lato dell’Empire, cadde rovinosamente verso il suolo per andare a distruggere il tetto di uno studio d’arte nel quartiere sottostante. Mentre l’altro imboccò direttamente una tromba degli ascensori, precipitando senza ulteriori danni fino al piano terra della struttura. Un’ala si staccò di netto planando fino a Madison Avenue, dove pose finalmente termine al suo volo, mentre il resto dell’aereo restò piantato con la coda sporgente, sagoma surreale aggiuntasi alla forma precedentemente familiare dell’edificio. Le conseguenze in termini di vite umane furono immediate e come potrete immaginare, terribili: i tre uomini a bordo dell’aereo morirono immediatamente nell’impatto, così come parte degli impiegati inconsapevoli che si trovavano a lavorare dietro le finestre colpite da una simile tragedia. Per un conteggio totale delle vittime che avrebbe raggiunto le 14 persone, alcune delle quali morte in seguito per le ferite e le ustioni riportate, in quello che sarebbe rimasto, per molti anni, il più terribile incidente aereo della città di New York. Particolarmente notevole, nel racconto di quelle ore inimmaginabili, risulta essere la vicenda dell’addetta agli ascensori Betty Lou Oliver, la donna che viene ricordata come in grado di sfuggire ben due volte alla morte nel corso di un singolo giorno. La prima quando, trovandosi all’ottantesimo piano, venne scaraventata fuori dalla cabina riportando diverse fratture e giacendo a terra, finché alcune persone in fuga, comprendendo la gravità della situazione, non la misero di nuovo nell’ascensore, affinché potesse discendere da sola fino ai soccorsi che senz’altro si stavano già raccogliendo ai piedi dell’edificio. Se non che purtroppo, indebolito dall’urto, il cavo di sostegno non cedette all’avvio del tragitto, causando la caduta libera della malcapitata per una distanza stimata di circa 300 metri. Cui nessuno avrebbe potuto sopravvivere, nell’assenza di una serie di particolari circostanze: l’attivazione, benché parziale, dei freni d’emergenza; la compressione e conseguente resistenza dell’aria dovuta alla rapida discesa della cabina; la maniera in cui il cavo del contrappeso, già staccatosi in precedenza, si era adagiato in fondo all’alloggiamento dell’ascensore, formando una sorta di cuscino capace di attutire l’impatto. Fatto sta che Mrs. Oliver, miracolosamente, sarebbe stata trasportata all’ospedale con fratture alla schiena, al bacino e al collo, ma ancora viva e cosciente. Infortuni pur gravi, da cui ebbe modo di riprendersi in modo encomiabile nel giro dei cinque mesi successivi per poi tornare coraggiosamente a fare il suo lavoro e vivere fino all’età di 74 anni
Ad altri, quel giorno, non andò altrettanto bene e le loro storie furono una cupa anticipazione di quanto vissuto 56 anni dopo durante gli attentati dell’11 settembre. Alcuni morirono tra le fiamme generate dall’impatto, mentre almeno un uomo si gettò da una finestra, morendo su una sporgenza architettonica situata cinque piani più in basso. I pompieri di Manhattan diedero, già allora, una notevole prova di competenza e coraggio, riuscendo a domare nel giro di soli 40 minuti quello che costituisce tutt’ora il più alto incendio architettonico della storia. E fatto forse ancora più incredibile, al termine del week-end, dopo soli due giorni di lavori per un primo ripristino, l’Empire State Building aprì nuovamente i suoi battenti agli impiegati degli uffici situati al suo interno. Poiché nulla avrebbe potuto fermare, in quel momento storico, l’operosa competenza e il senso pratico dell’indefesso popolo statunitense.
Spesso confrontato al sopracitato disastro di matrice intenzionale che noi tutti abbiamo inciso nella memoria, l’incidente con il B-25 rappresenta una delle prove spesso citate dai teorici del complotto sul perché “Il carburante per aerei non avrebbe mai potuto squagliare le travi d’acciaio.” Benché di contro, vada osservato come una diversa collocazione dei condotti d’aerazione relativamente al punto dell’impatto possa aver contribuito, nel caso successivo all’inizio del Millennio, ad ossigenare maggiormente le fiamme, permettendogli di raggiungere presto i 450 gradi con il conseguente crollo di entrambe le torri.
Ma forse ciò che più di ogni altra cosa dovrebbe essere valutato dai sostenitori di entrambe le ipotesi, è che incidenti come questi sono per fortuna eccezionalmente rari. Ed è perciò impossibile, o comunque molto difficile, basarsi su una casistica pregressa al fine di determinare a posteriori il corso effettivo degli eventi. Dal disastro del 1945, per lo meno, scaturì qualcosa di positivo: un Atto di Legge Federale che permetteva ai cittadini statunitensi di fare causa allo stato, in un’importante affermazione dei diritti civili che permane tutt’ora. Concessione rilevante, nell’ottica di un così evidente errore umano. D’altra parte il peggio, come si è soliti affermare, doveva ancora venire…