L’effimera precarietà di chi tocca l’acqua con le ruote dell’aeroplano

Gli occhi lievemente lucidi e del tutto spalancati per l’ingente quantità di birra che aveva appena finito di trangugiare, il gioviale Oscar avvicinò le mani al fuoco, mentre assumeva un’espressione a metà tra il diabolico e l’entusiasta. Rivolgendo uno sguardo al suo pubblico eterogeneo, rivolse un breve cenno all’indirizzo della Luna, prima d’iniziare ancora una volta la disanima del suo racconto: “È la verità, vi dico. L’ho visto personalmente la scorsa estate, mentre mi trovavo sulle sponde del lago Santa Lucia. Con i coccodrilli che spalancavano la bocca spaventati, mentre un’intero stormo di fenicotteri tentava di eclissarsi alla velocità massima consentita dalle loro ali. La ragione di tutto questo? Un piccolo Piper giallo assolutamente privo di galleggianti, in prossimità dell’orizzonte, che si era progressivamente avvicinato all’acqua fino ad innalzare un’onda simile a quella del motoscafo. Un’eventualità apparentemente impossibile, finché non mi resi conto di quello che stava effettivamente succedendo: il pilota era letteralmente “atterrato” sull’acqua, che per buona misura era diventata rigida come la pista di un aeroporto! Strizzando gli occhi, allora, la vidi: la coppia di pneumatici anteriori del carrello d’atterraggio, parzialmente immersi sotto il pelo della superficie trasparente. Costui li stava, a tutti gli effetti, lavando…” Ci furono alcuni secondi di silenzio nell’accampamento di quell’affiatato gruppo d’amici, uniti da una passione di lunga data per il buon cibo e la storia dell’aviazione. Quindi una serpeggiante risata, progressivamente, si trasformò in un sonoro schiamazzo mentre i più vicini facevano a turno dargli pacche sulle spalle. Tutti conoscevano Oscar e la portata spesso improbabile delle sue storie. Senza nulla togliere alla chiara finalità di far divertire il prossimo, espresso con ogni singola fibra del suo modo di fare. Eppure una persona, in prossimità della tenda più vicina, lo stava scrutando con espressione intensa al candido risvolto di quei momenti. Circa una mezz’ora dopo, con la festa scemata e già diversi membri della congrega recatosi a riposare all’interno dei propri sacchi a pelo, Scully Levin lo avrebbe preso da parte, rivolgendogli una raffica di domande particolarmente impegnative. “Quanto credi che andasse veloce? L’aereo era parallelo al suolo? Aveva abbassato i flap? L’assetto ti sembrava stabile o veniva corretto di continuo?” Quasi come se veramente, la mattina successiva, l’esperto pilota tra i più vecchi membri del gruppo avesse maturato l’intenzione di tentare la stessa impresa.
Le cronache non riportano, in effetti, l’esatta data di questi eventi né l’orario in cui lo spericolato utilizzatore di velivoli avrebbe dato corpo al suo sogno di rendere un potenziale volo pindarico, tangibile ed impressionante verità. Appare ragionevole pensare d’altra parte che Levin abbia vissuto quest’esperienza attorno all’anno 2006, quando chiamando a se il gruppo affiatato della propria squadriglia acrobatica, i Flying Lions a bordo dei loro iconici Harvard col motore ad elica, decise di mettere in pratica la manovra dinnanzi a un pubblico riunito sulla sommità della diga Klipdrif, in prossimità di Potchefstroom. Siamo, come potrete forse aver già capito, nella parte settentrionale del Nord Africa, dove il pubblico apprezzamento per le più ineccepibili imprese compiute con mezzi volanti a motore è tale da aver permesso nelle ultime decadi la proliferazione di una notevole quantità di stormi privati ed autogestiti, estremamente competitivi nel contesto degli show di settore. Ed ogni novità possibile viene accolta, in genere, con considerevole entusiasmo collettivo…

Spinto innanzi da un motore Pratt & Whitney R-1340-AN-1 Wasp da 600 cavalli in configurazione radiale, l’Harvard con il suo peso di 1,8 tonnellate risulta perfettamente in grado di superare la resistenza generata dall’acqua al contatto con il carrello. A patto che il pilota abbia mano sufficientemente leggera, ed attenta, sulla leva della potenza.

L’operazione, per quanto improbabile e potenzialmente insalubre, è in effetti nota fin dall’epoca dei primi barnstormers dell’immediato dopoguerra statunitense, quando la definizione apprezzabile di ciò che fosse lecito aspettarsi da un aeroplano fu seriamente messa alla prova, da una serie di abili utilizzatori che semplicemente non sembravano temere in alcun modo la propria stessa mortalità. In ciò che risultò essere, in effetti, meno pericoloso di quanto si potrebbe essere indotti inizialmente a pensare (…Ma comunque PIUTTOSTO pericoloso). Chiunque abbia percorso anche soltanto brevemente la via dei tuffi conosce, a tal proposito, la maniera in cui l’acqua tende immediatamente a indurirsi non appena riceve un’immediata e improvvisa sollecitazione. Questo per il principio basilare dell’azione e reazione, nel momento esatto in cui un corpo, umano o d’altro tipo, dovesse d’inficiare il principio della tensione di superficie. Per cui immaginate adesso lo stesso identico processo alla velocità di un minimo di 120-100 Km/h, distribuito lungo l’intero tragitto del punto d’impatto prolungato di un paio di ruote con cui l’aeroplano entra in contatto con il lago, fiume, serbatoio o tratto marittimo sulla costa di un continente: qualcosa in grado di portare l’acqua in prossimità dello stato solido, almeno finché il corpo estraneo non dovesse rallentare eccessivamente. Il che dovrebbe permettere, a chi non indugia, di “poggiare” letteralmente il carrello sul pelo di tale sostanza, esattamente come se fosse in procinto di atterrare.
Detto ciò non si tratta certamente di un’operazione semplice, ed in modo particolare quando per metterla in pratica si utilizzano come nel caso dei Flying Lions dei vetusti North American T-6 Texan, alias Harvard come furono soprannominati pochi anni dopo la propria entrata in servizio nel 1935. Come apparecchi utilizzati primariamente al fine di addestrare i piloti, per tutto il periodo della seconda guerra mondiale e nei molti anni a venire, grazie a una particolare semplicità di restauro e mantenimento in condizioni appropriate al decollo. Per non parlare delle numerose partecipazioni a film sulla guerra ed altre opere d’intrattenimento, data la fortuita somiglianza estetica al ben noto Mitsubishi A6M “Zero”, il caccia simbolo dell’aviazione nipponica nel corso del grande conflitto del Pacifico. Fino all’approdo nella flotta dismessa di molte forze aeronautiche al principio del nuovo secolo, come la SAAF (South African Air Force) che a quanto si narra vendette allo stesso Levin quattro di questi aerei dal proprio surplus ormai prossimo a fare le ragnatele all’interno degli hangar delle basi. Il che avrebbe costituito l’origine di un’epopea niente meno che leggendaria, mentre il pilota dalla già lunga esperienza coinvolgeva il fratello Ellis e gli amici Meneghelli e Lithgow, per creare lo zoccolo duro di quella che sarebbe diventata presto una vera e propria istituzione nazionale. Per numerosi spettacoli ed altrettanto frequenti cambi di sponsor, che li avrebbero portati ad essere finanziati nel corso degli anni da aziende come Peugeot, Castrol, Nissan ed in epoca recente aziende sudafricani, quali la EQSTRA (noleggio aziendale di veicoli) ed a partire dal 2016 la Puma Energy, importante distributrice di carburante. Questo almeno fino all’inizio di un periodo di pausa imposta durato ben due anni, causa l’insorgenza della ben nota pandemia da Covid-19…

A giudicare dalle ultime riprese effettuate sul campo (o per meglio dire, sopra di esso) il gruppo dei Flying Lions sembrerebbe essere aumentato sensibilmente di numero. Benché la manovra dello sci nautico debba presumibilmente restare esclusivo appannaggio, per ovvie ragioni, dei membri più esperti della compagnia…

Non tutto è irrecuperabile ciò che viene a nocumento, come si è soliti fortunatamente affermare, almeno dopo il rientro di un processo benefico alla situazione di normalità. Ed è così che tra le pubbliche acclamazioni, nel corso di uno show lungamente atteso a Stellenbosch lo scorso marzo, i Flying Lions hanno decollato di nuovo per eseguire le loro straordinarie routine, più numerosi e variopinti che mai in precedenza. Esibendo un livello di precisione certamente arduo da raggiungere, soprattutto considerata l’affascinante semplicità dei loro mezzi e sebbene non ci sia stata l’occasione in quel caso di effettuare il loro numero più famoso, complice l’assenza di masse d’acqua sufficientemente estese nelle immediate vicinanze, è senz’altro una mera questione di tempo prima che le ruote di questi fulmini tornino gloriosamente a bagnarsi.
Dopo tutto far pulire la parte inferiore della carlinga è una procedura potenzialmente costosa, e nessuno vorrebbe spendere cifre su quello che può essere ottenuto facilmente, al costo di appena qualche minuto di profondissima concentrazione. Oscar in persona sarebbe il primo a poter testimoniare l’importanza di quel passaggio, mentre si tuffa guardando gli aerei e ritrovandosi a soltanto pochi metri di distanza da un’intera famiglia di Crocodylus niloticus, il più imponente rettile di tutta l’Africa meridionale.

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