La differenza tra quando una comune azienda di sviluppo edilizio riceve l’approvazione del suo progetto, e lo stesso avviene invece alla PMG di Miami, mega-compagnia con 39 milioni di dollari di capitale e svariate centinaia di dipendenti, è che nel primo caso sorge in tempi brevi il primo accenno di un cantiere. E nel secondo, un cubo ricoperto di pannelli color mogano, col monogramma del cliente a lettere cubitali ed una grande porta a vetri, dietro cui è possibile scorgere un modellino particolarmente imponente del palazzo finale. Oggetto del desiderio e al tempo stesso una vera opera d’arte, per la maniera in cui intende imporsi nello skyline di una delle più celebri città statunitensi, non soltanto per le dimensioni assolutamente notevoli (320 metri d’altezza) ma anche la sua forma strana e inusitata, rassomigliante all’opera di un curioso bambino gigante. Essere di un’altra epoca o pianeta, che ritrovatosi tra le mani una serie di pezzi delle costruzioni, ha tentato d’impilarli al meglio della sua capacità. Il che non risultava essere abbastanza, in senso cosmico, per costruire un torrione monolitico, bensì uno sghembo susseguirsi di elementi non perfettamente allineati in senso verticale né orizzontale. Fortuna che un gruppo d’umani, guidati dallo spirito d’iniziativa e l’immaginazione, parrebbe essere intervenuto per trasformare lo strano oggetto in edificio stabile perfettamente utilizzabile per viverci all’interno, così come messo in mostra da questa raffigurazione in scala. Sotto la guida del celebre architetto uruguayano Carlos Ott, coinvolto fin dalle prime fasi ad opera del gruppo Sieger Suarez, per creare un qualcosa che potesse rivoluzionare totalmente il punto focale di ogni singola cartolina raffigurante la seconda città più grande della Florida, nonché la più apprezzata dai turisti.
Il committente della PMG in questo caso, d’altra parte, risulta essere dotato di capitali sufficienti a fare pressoché qualsiasi cosa, trattandosi di niente meno che il gruppo Hilton, nella guisa della propria azienda sottoposta Waldorf Astoria, originariamente titolare del singolo albergo più importante e celebrato della città di New York. Uno dei primi “grattacieli” con la sua altezza 191 metri raggiunta nel 1931 nonché icona di prestigio e lusso, dopo essere stato ricostruito a breve distanza per far posto nello stesso anno all’Empire State Building. Un buon punto di partenza per tentare di prendersi, finalmente, la propria rivincita con un palazzo in grado di sfidarne, sebbene non raggiungerne l’estrema imponenza. Pur risultando a conti fatti il più alto della Florida ed invero l’intera estensione degli Stati Uniti al di sotto della Grande Mela. Con un approccio che potremmo definire, senz’ombra di dubbio, fuori dalla linea concettuale maggiormente battuta o come ama scherzare su un tipico modo dire lo stesso Ott “Out of the box”, trattandosi piuttosto di NOVE scatole (boxes) effettivamente sovrapposte l’una all’altra, Di cui come comunemente avviene in questa tipologia di contesti, soltanto le prime tre corrispondenti ai piani fino al 41 risultano effettivamente dedicate all’ospitalità, mentre quelle verranno effettivamente dedicate al ruolo di residenze private, con prezzi di partenza oscillanti tra i 750.000 dollari e un milione. Proposte a conti fatti alquanto ragionevoli, considerata la collocazione strategica e l’eccezionale vista sull’oceano Atlantico all’interno della barbagliante baia di Biscayne…
Stiamo del resto parlando di una proprietà di alto livello architettonico e abitativo, come esemplificato dall’esposizione figurativa all’interno dell’ufficio di vendita dell’effetto estetico di foyer, piano ristorante e interno degli appartamenti, costruiti come fossero delle spettacolari regge tra le nubi. Con fino a quattro camere da letto nel caso degli esempi più imponenti, collocati in linea di massima nella coppia di cubi superiori al di sopra dell’ottantesimo piano, riservati rispettivamente alla cosiddetta sky collection e le penthouses (suite). Particolarmente interessante quindi, nell’economia geometrica dell’edificio, la collocazione molto fuori centro di quest’ultimo elemento, che appare disallineato dalla naturale progressione della torre di almeno un quinto su due dei quattro lati totali. Così come il cubo inferiore, contenente il centro d’accoglienza per i visitatori dell’hotel, risulta inclinato in apparenza di 45 gradi, benché si tratti di un effetto ottico ottenuto grazie alla particolare conformazione delle sue pareti. Ma un’occhio più attento, persino in questa fase preliminare, potrà scorgere come in realtà ciascuno dei nove elementi costituenti sia non soltanto spostato incrementalmente dalla sommità di quello sottostante, ma anche ruotato parzialmente da una parte a suggerire un senso totalmente irreale d’instabilità strutturale. Qualcosa di raramente ricercato nelle grandi opere urbanistiche e che senz’altro, deve aver costituito un significativo salto nel buio da parte dei diretti interessati all’implementazione dell’opera finale. Quando si può fare affidamento d’altra parte sulle competenze ed esperienza concettuale di una figura come Carlos Ott, che d’altronde attribuisce con modestia in un’intervista la maggior parte del lavoro al manager di proprietà edilizie Ryan Shear, è difficile dubitare della sua visione. Così come esemplificata originariamente nel 1983, con l’ottenimento dell’appalto per la costruzione dell’Opera de la Bastille a Parigi, con la sua coraggiosa forma modernista posta a ridosso della colonna di luglio, monumento eretto nel XIX secolo per commemorare la Rivoluzione Francese. Nell’elaborazione di una serie di tematiche che avrebbero continuato ad essere centrali nei suoi lavori spesso invisi ai tradizionalisti, basate sull’interpolazione di linee e spazi nella ricerca di un effetto finale dirompente. Così come quello, forse ancor più celebre, rappresentato dal suo contributo significativo al grande Burj Al Arab, l’hotel a forma di vela della città di Dubai. Il che non toglie che operare nella principale economia occidentale, con le sue normative ed esigenze estetiche più stringenti, comporta una serie di problematiche senz’altro assai diverse. Il che può riduce la quantità di volte in cui tali straordinari eccessi, come il nuovo Walorf Astoria di Miami, possano effettivamente riuscire a prendere forma.
Nominalmente ispirato al cubismo e all’opera dell’arista svizzero-italiano Alberto Giacometti (1901-1966) l’edificio ha recentemente visto iniziare i suoi lavori con la vendita effettuata di oltre un terzo delle residenze, visto un completamento delle opere previsto idealmente entro il 2026. Abbastanza per battere sul tempo, a quanto è stato determinato, il completamento di una serie d’altri ponderosi grattacieli in quel di Miami, riuscendo a garantirsi un predominio incontrastato in termini di altezza per un tempo che potrebbe durare anni, se non decadi intere. I più fortunati capaci di ottenere una di queste ambìte residenze potranno quindi godere di servizi assolutamente al vertice delle strutture di gran lusso, tra cui ristorante, lounge con sala biliardo, piscina all’aperto al quarantesimo piano, concierge 24 su 24 e naturalmente un valletto per far parcheggiare la propria auto, operazione presumibilmente non semplicissima vista la presenza all’interno di ben 400 unità immobiliari.
L’occasione insomma di vivere in posizione elevata, non soltanto in termini di collocazione nello spazio ma effettivo tenore comparativo nei confronti del resto della popolazione ragionevolmente civilizzata. In un mondo il quale, nonostante gli ardui risvolti storici degli ultimi tempi, non è mai passato di moda il fascino delle ideali torri d’avorio. Persino quando la loro particolare conformazione esteriore incontra l’effetto collaterale di creare l’impressione che si tratti di palme prossime a oscillare nella brezza, un po’ come i tronchi cubici da sezionare all’interno del videogame Minecraft.