Un detentore di supreme verità non è mai in anticipo, né in ritardo. Si potrebbe anzi affermare, parafrasando un’affermazione particolarmente nota, che egli giunga sempre perfettamente in orario. Ma un agente di siffatta qualifica, qualunque sia la sua cultura o religione di provenienza, costituisce soprattutto una speciale tipologia di messaggero; punto di collegamento che respira tra il mondo sovrannaturale e quello degli uomini. O come questo caso, degli uccelli. È d’altra parte il chiaro segnale che la festa ha ormai raggiunto il culmine, quando il Sarcoramphus papa, o “vescovo dal becco a uncino” fa la sua discesa tra le moltitudini affiatate dal nero piumaggio, intente già da tempo ad attaccare la carcassa dell’armadillo dipartito che si trova esanime tra l’erba del sottobosco. Con un tipo di successo che potremmo definire… Altalenante. Sarebbe un po’ come tentare, in altri termini, di smontare un’aragosta senza l’uso di coltello e forchetta. Questo tentativo, entusiastico ma inefficace, di scavare fino agli organi e i bocconi maggiormente succulenti, con il tipo di limitati strumenti a disposizione dei più tipici avvoltoi neri (Coragyps atratus) o avv. tacchino (Cathartes aura) ecologicamente interconnessi rappresentanti del gruppo dei saprofagi americani. Privi non soltanto delle vesti, ma anche della tagliente arma di quel becco e i muscoli opportuni per sfruttarlo, per scavare tra la carne con l’intento di un provetto minatore. Ed è proprio per questo, unitamente alla maggiore massa e pericolosità, che costoro a lui s’inchinano e lo lasciano passare. Un’aviaria forma di piumata reverenza, benché motivata dal bisogno di ottenere un qualche tipo di soddisfazione materiale immediata.
Cibo, cibo e ancora cibo, quello che proviene dalla morte spesso accidentale, ma comunque inevitabile di grossi mammiferi (preferibile) varie tipologie di rettili (accettabile) o uccelli dalle dimensioni e il peso inferiori (ci accontentiamo) rispetto a quello che comunemente viene definito l’avvoltoio reale, con un chiaro interscambio tra potere sacro e profano visto il termine latino papa nel suo nome, storicamente riferito in campo ecclesiastico alla figura del vescovo. Il cui ornato copricapo e sopravveste sembrerebbero richiamarsi, idealmente, a quel piumaggio bianco dai riflessi azzurri e con accenti scuri, sormontato da una testa di un acceso arancione così come il cascante caruncolo ed il becco, in un disegno straordinariamente riconoscibile e distintivo. Utilizzato, in base alle ipotesi più accreditate dai membri della specie per trovare i loro simili, con finalità d’accoppiamento. Ma che tanto fece per alzare questi uccelli fin sopra il piedistallo mitologico della cultura dei Maya, che ne usavano il glifo Cōzcacuāuhtli, facilmente riconoscibile come il sedicesimo giorno del mese tra le iscrizioni per tenere il proprio complesso calendario annuale. Mentre parlavano delle sue presunte scorribande, tra le corti di sovrani ormai dimenticati dal tempo…
Dal punto di vista ecologico, l’attività saprofaga dell’avvoltoio reale può essere contestualizzata tra quella dei sopracitati grandi uccelli attivi all’interno del proprio areale, capace di estendersi attraverso buona parte dell’America centrale e meridionale. Sebbene configurato in una maniera che potremmo definire maggiormente specializzata: esso non possiede, infatti, lo stesso senso dell’olfatto straordinariamente sviluppato dei suoi simili, il che lo porta ad osservarne da lontano, e tanto spesso seguirne i movimenti. Verso l’implementazione di un consorzio cooperativo che è poi l’aspetto maggiormente interessante dell’intera genìa degli avvoltoi americani, tanto diversi tra di loro nonostante la tendenza collettiva a cooperare, ogni qualvolta possa esserci un qualche tipo di guadagno collettivo. Generalmente solitario il S. papa è solito mescolarsi dunque coi cospecifici soltanto in occasioni particolari, come quando sta facendo il bagno o cerca una compagna per l’accoppiamento. Mentre molto paradossalmente, si trova molto più spesso circondato dagli appartenenti alle stirpi cognate, dalle dimensioni più ridotte rispetto ai suoi 67-81 cm di lunghezza e fino a 4,5 Kg di peso.
L’attività riproduttiva, che ha normalmente inizio attorno al mese di marzo, lo porta quindi ad attirare la femmina esteriormente identica abbassando la testa per mostrarne la sommità variopinta finché a seguito dell’auspicato incontro, lei potrà procedere con la deposizione di un singolo uovo, in genere deposto direttamente a terra o nella migliore delle ipotesi all’interno di un albero cavo. Corteggiamento condotto sempre in un silenzio pressoché totale tranne qualche sibilo, vista la mancanza in questa specie dell’organo canoro definito siringe, presente invece nella maggior parte degli uccelli. Gli avvoltoi reali d’altra parte, come loro prerogativa imprescindibile, non costruiscono MAI il nido. I due genitori piuttosto procederanno a covarlo a turno o a seconda dei casi sarà soltanto la madre a farlo, senza comunque mai lasciarlo incustodito dinnanzi all’attenzione indesiderabile dei predatori. Potendo fare affidamento, in aggiunta, all’odore tipicamente nauseante del proprio guano, nell’opinione di taluni studiosi anch’esso funzionale allo scopo di scoraggiare eventuali scorribande. Una volta raggiunta la schiusa dopo un periodo di ben 8 settimane, il neonato di colore bianco, soltanto parzialmente implume e per questo non del tutto altriciale (inerme) verrà nutrito da entrambi per ulteriori tre mesi, finché finalmente pronto potrà spiccare il proprio primo volo lontano dalla loro quotidiana supervisione. Un altro successo conseguito, per la ben adattata popolazione collettiva degli avvoltoi del Nuovo Mondo, che studi recenti vorrebbero più strettamente imparentata alle cicogne, piuttosto che agli stessi rapaci in cui si trovano inquadrati i loro distanti cugini europei. In quello che potrebbe costituire, se confermato, uno dei casi maggiormente rappresentativi del concetto di evoluzione convergente.
Ritenuto molto importante dal punto di vista folkloristico nel ricco leggendario della cultura Maya, l’avvoltoio reale o “della selva” può essere per questo facilmente collocato nella celebre storia dell’antico re di Uxmal. Che al momento di organizzare un banchetto dei propri sottoposti, che avrebbe dovuto tenersi sulle balconate del palazzo per “Meglio osservare la magnificenza del suo regno” tentò senza successo di far scacciare gli indesiderati ospiti pennuti mediante il tiro mirato degli arcieri. Per poi perseguire, piuttosto, l’opportunità di tendergli una trappola; così, facendo imbandire la tavola dai servi con una sorta di brodaglia nera maleodorante, fece in modo che gli uccelli la mangiassero ed in quel momento pronunciò la sua solenne maledizione: “Da oggi, mei cari Chom (avvoltoi) mangerete solo nefandezze”. Ma le vittime di quel tranello, guidate dall’istinto, volarono in alto fino ai raggi più intensi ed implacabili del Sole, asciugandosi e bruciando le proprie piume fino al punto da restare pressoché calvi. E da quel momento furono liberi e sovrani, all’interno di un regno vasto quanto il cielo stesso.
In particolari seguiti di questa narrazione, vari cacciatori o rappresentati delle tribù terrestri si sarebbero poi camuffati per assomigliare a una carcassa di tapiro, al fine di attirare tali uccelli al proprio fianco. Venendo inaspettatamente ricompensati dal trasformarsi di essi in donne dall’aspetto eccezionalmente attraente che in seguito avrebbero sposato, con vari esiti e fortune divergenti. Non è particolarmente semplice, d’altronde, accontentare chi proviene dal vetusto popolo del mondo celeste. Soprattutto quando in quelle vene scorre il sangue reale, inerentemente associato a un’ampia serie d’irrealistiche aspettative.