In questo mondo dove tutto è collegato, un evento dalle proporzioni infinitesimali può portare a conseguenze spropositate. Come il refolo di vento che fa muovere la pianta, disturbando la farfalla che si sposta sopra un cumulo di terra. Che subendo il peso dell’insetto, inizia progressivamente a sgretolarsi, trascinando verso il fiume Fraser un piccolo sassolino dalla superficie levigata. La pietruzza ne colpisce un’altra lievemente più grande, raggiungendo il bordo esterno del canyon di Bar Bar, nella Columbia Inglese. È il 23 giugno del 2019, nonché l’inizio di una frana senza precedenti: 85.000 metri cubici di pietra scivolano in acqua, impedendo totalmente il normale passaggio dell’acqua. Per diversi mesi, data la collocazione remota dell’evento, nessuno sembra accorgersi di nulla. Finché i pescatori della località di Lillooet, situata a meridione del sito, non riportano qualcosa di assolutamente inaspettato: per quest’anno, la migrazione di ritorno dei salmoni nati presso le loro regioni nuziali a monte della foce non si è manifestata. Quasi come se ogni singolo pesce, di quelli partiti in primavera, fosse andato incontro al fallimento della sua missione. Preoccupazione, ansia, dispiacere costituirono l’immediata reazione di tutti: poiché l’uomo può accettare di distruggere la natura, se ciò può essere risolutivo ai fini di un guadagno economico o personale. Ma quando è essa stessa, a fare fuori il proprio patrimonio biologico, ciò diventa quasi sempre inaccettabile. Richiedendo l’intervento di una mano in grado di correggere il disastro. Grazie all’uso, neanche servirà specificarlo, della tecnologia.
Ora non è sempre semplice per i membri operativi dell’Ente Ittico e Oceanico del Canada selezionare una via d’accesso a soluzioni pratiche per l’ampio ventaglio possibile dei propri problemi. Se non che in questo caso specifico, uno o più membri del Comitato d’Intervento Speciale stabilito per la frana di Bar Bar dev’essersi ricordato delle lunghe ore trascorse a navigare su Internet in un periodo collocato attorno all’anno 2014 fino alla scoperta di una curiosa idea, con una spropositata risonanza mediatica ed ampie trattazioni online sui social e blog, incluso quello che state leggendo. Sto parlando chiaramente della Whooshh di Seattle, stato di Washington, e della loro intrigante soluzione del can(n)one “spara-salmoni”. Applichiamo a questo punto l’importante distinguo, poiché loro specificarono e continuano ancor oggi a rendere palese, che la scelta di chiamarlo “canone” e non “cannone” è motivata da desiderio di mantenere le distanze da quel tipo d’arma, giudicata deleteria poiché alla base del concetto stesso dei conflitti umani. Senza neppur contare il fatto che il dispositivo in questione a tutto assomiglia fuorché una bocca da fuoco, essendo piuttosto rappresentabile essenzialmente come un lungo tubo, all’interno del quale inserire uno ad uno i pesci incapaci di nuotare verso l’entroterra, per fargli raggiungere l’altro capo della diga/barriera/ostruzione mediante l’utilizzo di un sistema pneumatico. Storia vecchia, se vogliamo, soprattutto rispetto al nuovo modello creato e più recentemente messo in opera per la casistica fin qui descritta. Poiché ADESSO, finalmente, i salmoni vengono indotti a salire a bordo senza nessun tipo d’intervento umano…
Stiamo parlando, per esser chiari, del nuovo scintillante modello di Fish Passage Portal della Whooshh (azienda chiamata con l’onomatopea che corrisponde al risucchio del pesce nel meccanismo) creato secondo una serie di crismi operativi tali da eliminare completamente il bisogno d’utilizzare le mani di volta in volta, grazie a un sistema concettualmente non dissimile da quello di una comune fish ladder o “scala per pesci” utilizzata per le dighe o altri ostacoli di natura non troppo alta ed invalicabile. Essenzialmente una serie di vasche poste in altezza sempre superiore, all’interno delle quali i salmoni dovrebbe essere posti in condizione di saltare progressivamente fino alla cima. Se non che nel quadro generale offerto dalla nuova proposta dell’azienda statunitense, dopo il primo balzo essi andranno incontro ad una sorta d’imbuto invertito, la cui acqua discendente continuerà naturalmente a richiamare l’istinto principale che ne condiziona la migrazione verso le sorgenti. Al termine del quale, in modo totalmente automatico, verranno risucchiati all’interno del tubo. Di sicuro, un’esperienza che potrebbe sembrare spaventosa o traumatica per il pesce. Benché una serie di particolari accorgimenti, nonché studi effettuati in materia, siano servi a dimostrare esattamente il contrario; il passeggero pinnuto viene infatti spinto da una pressione dell’aria di soli 2 PSI, comunque sufficiente a fargli raggiungere una velocità di 10 metri al secondo. All’interno di uno spazio attentamente ossigenato e perciò valido a garantirgli la respirazione riducendo nel contempo ogni possibile presupposto d’attrito. Tanto che nell’opinione di Vince Bryan, CEO della Whooshh, esso non parrebbe neanche rendersi conto dell’accaduto, trovandosi a pensare di essere semplicemente entrato in un punto del fiume dalla corrente particolarmente favorevole, lungo i pochi secondi necessari a raggiungere l’altra estremità del tubo. Un’ipotesi comunque difficile da provare, poiché necessiterebbe di uno o più colloqui informativi con il popolo assai poco loquace dei salmoni. Ciò che resta certo, ad ogni modo, è lo stress molto minore rispetto a quello subito dai soggetti inseriti all’interno del can(n)one originario del 2014, senza il brutale sollevamento manuale e conseguente “caricamento” nel sistema d’artiglieria costruito per aiutare la genìa degli umidi viaggiatori del contesto fluviale. Nonché il volume di pesci assolutamente superiore processato con questo sistema, pari a svariate migliaia nel corso di un singolo giorno. Notevole anche la possibilità offerta dal sistema integrato nel portale del FishL Recognition Scanner, un’array di telecamere capace di scattare un totale di 18 foto da tre diverse angolazioni all’ingresso del pesce, per poi sottoporlo ad un processo d’identificazione tramite l’intelligenza artificiale. Così che la sua specie e condizioni possano essere registrate, nonché sia possibile procedere alla divisione delle specie protette da quelle non-native e pericolose per l’ambiente, deviate in un tubo alternativo per la ricollocazione o eventuale smaltimento. Magari sulle tavole, già imbandite, dei gremiti ristoranti locali.
Il sistema del Passage Portal sta in effetti già raccogliendo significativi appalti negli Stati Uniti ed in Canada, con esemplari pienamente funzionanti già installati presso dighe come quella del Columbia River a Chief Joseph, vicino Bridgeport, o il sistema di approvvigionamento idroelettrico situato a Walla Walla, lungo il corso dello Snake River. Mentre ulteriori progetti ed applicazioni sono in corso di valutazione dalla compagnia della South Carolina Santee Cooper, per i laghi omonimi, ed una non meglio specificata corrispondente in Norvegia. Probabilmente interessate dall’oggettiva osservazione, a chiunque abbia letto le statistiche, della quantità di pesci persino maggiore che riesce a riprodursi con successo a fronte del dispendio d’energie minore richiesto rispetto al metodo delle scalinate tradizionali. E ciò senza neppure entrare nel merito dei luoghi in cui la diga o l’ostacolo sono semplicemente troppo alti, da poter procedere all’applicazione di una simile metodologia operativa.
Qualunque sia il futuro dei pesci anadromi di questa Terra, dunque, almeno una cosa appare estremamente chiara: essi potranno continuare ad essere veicolati attraverso lo spazio naturalmente angusto di un lungo tubo. Nella stessa maniera in cui noialtri umani, d’altra parte, siamo abituati da tempo. Meglio modernizzarsi, che accettare con passività l’estinzione! Anche quando chi ha deciso appartiene a un’altra specie, bipede e di terra, infinitamente più saggia ed attrezzata di noi salmoni.