Un luogo accogliente, pacifico, biologicamente significativo. Il vasto Baikal, la cui forma e disposizione ricorda quella di un più piccolo Giappone disegnato dalle coste (ma non poi COSÌ piccolo) viene giustamente identificato come il gioiello della Siberia, e non per un mero intento di accomunarlo ai grandi spazi acquatici dell’America settentrionale. Lungo 640 Km, il doppio del lago Ontario, ma largo soltanto un terzo di questi e quattro volte più profondo del Superior, esso costituisce una finestra privilegiata sui trascorsi evolutivi di una vasta gamma di creature, grazie alla relativa distanza da significativi centri abitati e l’utilizzo per un’industria del turismo esclusivamente a conduzione familiare, sebbene la seconda di queste circostanze sia soggetta a un potenziale mutamento negli anni a venire. Molto pochi in tutto il mondo, d’altra parte, sono i bacini acquatici che possono vantare lo stesso livello di purezza ed indice di trasparenza, tale da produrre l”illusione, per i suoi bagnanti e/o pattinatori dei mesi invernali, di trovarsi magicamente sospesi tra la terra ed il cielo. Non che sia troppo evidente, agli occhi di costoro, l’effettiva base alla radice di un simile vantaggio, frutto dell’opera instancabile di una particolare classe di creature: le circa 15 varietà di spugne cornee (o silicee) del genere Lubomirskia, la cui estensione del proprio areale corrisponde essenzialmente a uno specifico contesto geografico, che potremmo identificare per l’appunto come i precisi confini del principale lago siberiano. Come esemplificato anche dalla specie più comune e approfondita dalla scienza, definita per l’appunto in lingua latina L. baikalensis, nota per la sua notevole capacità di filtraggio pari a svariate decine di litri al giorno per ciascuna piccola colonia sessile di questo distintivo rappresentante del regno animale, non più vasta complessivamente di 5-7 cm. Un tipico esempio del phylum porifera, proprio per questo privo di organi, cervello, nervi o sistemi di circolazione propriamente detti, trovandosi a fare affidamento in modo pressoché totale al solo mesoilo (o mesenchima) membrana gelatinosa incapsulata tra due strati di cellule polifunzionali interdipendenti. In altri termini tutto il necessario per fagocitare i microrganismi presenti all’interno dell’acqua stessa, fatta entrare dalla base della creatura e risputata dall’apertura in cima detta osculum (piccola bocca) emulando spontaneamente il funzionamento di una classica ciminiera dell’epoca industriale umana. In un processo coadiuvato, nel caso da noi preso in esame, dall’aiuto di nutrite colonie di batteri simbiotici connessi alla sopravvivenza della spugna, capaci di rendere ancor più stretto il rapporto inscindibile tra condizioni ambientali e futuro biologico della suddetta creatura. Fino alla problematica situazione, notata per la prima volta nel 2016 da diversi studiosi d’importanti istituzioni scientifiche russe, di una grave condizione fisica con diffusione a macchia d’olio, capace di essere riassunta con il progressivo liquefarsi e conseguente decesso di intere famiglie di queste spugne. Un problema le cui ramificazioni e implicazioni ad un livello ecologico risultano, tutt’ora, assai difficili da sottoporre ad alcun controllo di tipo preliminare…
La malattia, riscontrata inizialmente nell’area del villaggio di Listvyanka grazie a uno studio di Igor Khanaev dell’Accademia delle Scienze, sembrerebbe essersi allargata dunque all’intera parte settentrionale del lago, dove già cinque anni fa la diffusione di spugne appartenenti al genere Lubomirskia sembrava essersi ridotta in modo esponenziale. Un ulteriore approfondimento condotto dalla biologa del Limnologicheskiy Institut, Olga Maikova avrebbe perciò confermato la situazione all’inizio dell’anno 2020, con l’ulteriore problematica da considerare dell’aumento drastico del turismo locale, causa le restrizioni imposte dal Covid sui viaggi al di là dei confini della Russia continentale. Sebbene sia mancata ad oggi l’occasione di isolare il singolo fattore scatenante di liquefazione delle spugne, non sussistono particolari dubbi sulla causa originale del problema: uno sfruttamento eccessivo, e tutt’altro che sostenibile, delle risorse territoriali offerte dal Baikal, coadiuvato dallo scaricamento incosciente all’interno delle sue acque di eccessive quantità di rifiuti. Situate a una profondità media di 100-150 metri, dove lo strato muschioso delle spugne inizia a trasformarsi in veri e propri alberelli simili a dei cactus dalle multiple diramazioni, le povere creature continuano imperterrite a fare ciò che gli riesce meglio. Incorporando all’interno della propria forma fisica una quantità notevole di sostanze chiaramente nocive, tali da indurre in loro il deperimento che conduce al deperimento e alla morte. Ma la gravità del problema è anche peggiore di quanto potrebbe indurre a credere l’osservazione degli esemplari direttamente colpiti, con l’estendersi fino alla punta meridionale di Capo Tolsty di una progressiva tendenza allo sbiancamento delle spugne in questione, individuata come probabile prima fase della malattia. Ciò in abbinamento a un sempre presente e progressivamente peggiorativo fenomeno di eutrofizzazione, le cosiddette fioriture d’alghe causate da un eccesso di nitrati ed altre sostanze nutritive giunte nelle acque a causa dell’improprio smaltimento ad opera della moderna civiltà umana. Privi dell’opportunità di basare le proprie osservazioni su fenomenologie pregresse, proprio per la rarità di ampie popolazioni di spugne d’acqua dolce fuori dal contesto del Baikal, gli scienziati hanno perciò potuto basare le proprie conclusioni unicamente sul triste destino di altri poriferi molto diversi come la Aplysina delle Isole Bahamas, soggetta all’ingenerarsi di lesioni ad anello attorno al corpo principale, capaci di indurre progressivamente alla necrosi e alla morte. Una condizione altamente contagiosa dovuta al diffondersi di un cianobatterio nelle acque troppo floride dell’oceano, e per il quale non esiste ancora oggi nessun tipo di contromisura che possa dirsi realmente efficace, al di fuori di contesti relativamente isolati.
L’attuale rotta intrapresa dalle circostanze irripetibili del lago Baikal appare perciò quella di un gravissimo processo entropico, dal quale non sarà per niente facile trovare una via d’uscita. E questo non soltanto per la situazione delle spugne propriamente dette, bensì l’intera biocenosi o “sistema naturale” ad esse interconnesso, causa un progressivo aumento dell’interesse turistico e conseguente pressione ecologica nei confronti del suo intero contesto situazionale. La stessa Olga Maikova chiedeva, nel suo studio e le svariate interviste rilasciate a corredo, d’implementare non appena possibile una chiusura a tempo indeterminato dei resort turistici dell’area di Listvyanka, affinché la natura potesse fare il suo corso, potendo beneficiare di preziosi mesi o anni per riuscire a rimediare ai danni fin qui subiti. Una misura normativa che, come potrete facilmente immaginare, resta tutt’ora niente più che una semplice ipotesi, soprattutto nell’attuale complicata situazione economica e civile dell’intera Federazione.
Di una Russia che non pensa, come del resto molti altri, alla preziosa e imprescindibile natura della nostra eredità più grande: la semplice magnificenza di quegli esseri che ci hanno preceduto di molti milioni d’anni sulla grande scala a chiocciola dell’evoluzione. Ma non per questo riusciranno necessariamente a sopravviverci, al prossimo giro del pilastro centrale. E chi potrà, alla fine, immaginare il cupo cielo oltre la soglia di quel tetto in bilico sull’infinito domani?