Imponente convergenza di correnti architettoniche della portata di oltre quattro secoli, dal Gotico Medievale fino al Barocco del Medio Rinascimento, il castello di Český Krumlov sorge nel punto più alto dell’omonimo borgo della Boemia meridionale, prendendo il nome dal termine in lingua alto-tedesca Krumme Aue, “pascolo sbilenco” unito al toponimo cecoslovacco della sua regione d’appartenenza. Ciò in funzione dell’ansa costituita dal fiume Vltava, in corrispondenza di quel costrutto architettonico capace di dominare agevolmente il territorio del feudo. Lungi dall’accontentarsi di tale vantaggio difensivo innato, gli originali costruttori del complesso già nel XII secolo non lesinarono in alcun modo nello spessore e lunghezza delle sue mura, l’altezza delle torri e naturalmente la profondità del fossato. Ostacolo il quale, nel proseguire dei secoli, avrebbe visto la sua capacità di dissuadere intrusioni accresciuta dall’aggiunta di un valido corpo di guardia animale. Non coccodrilli, come nello stereotipo, né anguille carnivore o altro essere a suo agio tra l’acqua torbida situata a ridosso dei bastioni. In uno spazio tradizionalmente mantenuto privo di accumuli d’acqua, per meglio accogliere i membri potenzialmente mordaci del sempre attento popolo orsino. Menzionati per la prima volta quasi tre secoli dopo, nel corso dell’amministrazione del castello ad opera della famiglia Rosenberg che lo aveva ricevuto a seguito l’estinzione del ramo principale degli originali Vítkovci loro distanti antenati, gli animali in questione non avrebbero potuto tuttavia trovarsi all’interno del sito attuale, scavato soltanto in seguito verso l’epoca corrispondente all’inizio della guerra dei trent’anni (1618-48). E nel quale, in base a una serie di resoconti storiografici e menzioni di varia natura, possiamo essere certi della presenza ininterrotta degli orsi almeno fino alla metà del XIX secolo. Una scelta ben precisa, oltre che questione logistica non così semplice da gestire, motivate da una ragione che potremmo definire conforme alle prerogative araldiche della linea di discendenza nobiliare eponima, che sin dall’epoca più remota si era fregiata di una presunta parentela con la famiglia Orsini di Roma, un’importante marcia in più nell’intreccio d’interrelazioni e divisioni ai vertici della complessa società feudale mitteleuropea. Quale miglior modo dunque di unire l’estetica al dilettevole, rendendo manifesta una simile prerogativa, riuscendo nel contempo ad incrementare il valore difensivo di una caratteristica inerente in qualsivoglia residenza nobiliare fortificata effettivamente degna di tale nome? Un grande ritorno d’investimento, per qualche pezzo di carne gettato giù dai bastioni di tanto in tanto. E per assicurarsi di mantenere adeguatamente aggressive le belve, almeno all’indirizzo dei criminali, permaneva sempre la possibilità di fargli conoscere da vicino le occasionali schiere dei condannati a morte locali, che secondo alcune leggende folkloristiche percorrerebbero ancora le vetuste sale in forma di spiriti variabilmente aggressivi…
Ciò che colpisce maggiormente dell’intera faccenda, oltre alla sua storia pregressa e inevitabilmente un po’ nebulosa fino al ragionevole sgombero della fossa, resta ad ogni modo il fatto che gli orsi a Český Krumlov abbiano anche fatto il loro ritorno, naturalmente anch’esso indotto dall’uomo, proprio a partire dal 1857, quando la terza famiglia nobiliare incaricata di custodire il castello dall’Imperatore Rodolfo II dopo il fallimento finanziario dei Rosenberg, i potenti e ricchissimi Schwarzenberg, ne fecero importare una coppia dalla Transilvania, i cui discendenti per lo meno in senso professionale si trovano ancora lì a sorvegliare le antiche mura, tra lo stupore, il pubblico ludibrio ed il quieto entusiasmo degli abitanti locali. Inseriti con tutto il proprio paesino a partire dal 1992 nel patrimonio mondiale tutelato dall’UNESCO, proprio per l’autenticità e continuità degli antichi valori di massima relativi a un contesto tanto raro, capaci d’includere a quanto sembra un’utilizzo decisamente poco convenzionale del più classico e imponente carnivoro della Selva Boema. Rappresentato, nel caso specifico e odierno, ad opera del gruppo familiare composto col padre Vok, la madre Katerina e i due orsetti Daxi e Hubert, futuri eredi dell’importante compito tradizionalmente assegnato alla loro irsuta genìa. Che potrà forse non più porre al centro l’aggressione di eventuali intrusi o nemici della guardianìa del castello, pur continuando ad assolvere passivamente anche a tale funzione, quanto piuttosto trovarsi configurata in un misto di rappresentanza, commemorazione e ben radicato orgoglio locale. Riveriti e rispettati con tanto di nomi celebri, così come gli altri plantigradi accolti più o meno temporaneamente a partire da vari zoo cecoslovacchi nel corso degli ultimi tre secoli, fin dai famosi Ruschi ed Ajax, originariamente donati dal principe Sigmund Schonburg-Waldenburg e che sarebbero vissuti fino alla metà degli anni ’30 del Novecento. Epoca a cui è possibile far risalire formalmente, grosso modo, le prime feste cittadine dell’orso collocate attorno al periodo natalizio, durante cui agli animali vengono offerte apprezzate delizie gastronomiche di varia natura mentre la gente acclama e commemora la loro presenza. Il tutto con un valido e ulteriore incremento della visibilità di questo castello, comunque parte inestimabile del già notevole patrimonio storico della Boemia. Le cui strutture inferiori al di là dell’invalicabile ursinarium, molte delle quali costruite a partire dall’era dei Rosenberg, includono le scuderie, le saline per la conservazione delle scorte e una fontana di pietra risalente al 1561. Oltre cui si accede all’irto sentiero, fiancheggiato dalla zecca e la torre gotica, che conduce al palazzo superiore dalla grandiosa opulenza negli arredi e decorazioni interne, così efficacemente rappresentativi dell’epoca Barocca nel raffinato contesto dell’Europa centrale. Ambiente impreziosito da numerosi arazzi fiamminghi e collezioni d’arte tra cui spicca la sfarzosa carrozza d’oro utilizzata soltanto una volta da Giovanni Antonio I di Eggenberg (1610-1649) per visitare papa Urbano VIII. Oltre cui trova posto l’ampia sala da ballo con affreschi del pittore viennese Josef Lederer risalente al 1748, raffigurante un gran totale di 135 figure in maschera estremamente dettagliate tra cui vari personaggi della Commedia dell’Arte, il tutto creato, a quanto si narra, nel giro di pochissimi mesi di lavoro. Impossibile non menzionare, infine, il palcoscenico meccanizzato del castello risalente al 1766, uno degli esempi meglio conservati e rimasti più integri di un teatro del Barocco, completo degli antichi sistemi per la manovra del tendone ed il cambio di scenografia. Letterale meraviglia tecnologica, senz’ombra di dubbio capace di accrescere il senso di stupore e meraviglia già sperimentato dai facoltosi ospiti dell’epoca dopo aver fatto la conoscenza con gli orsi da guardia del castello.
Più volte passato di mano attraverso le alterne vicissitudini dell’alta società Boema, il castello di Český Krumlov non fu tuttavia mai coinvolto in alcuna battaglia. Il che lo pone nella rara quanto notevole condizione di aver potuto continuare ad evolversi, senza mai pagare il prezzo salato e la devastazione dovuta all’impiego effettivo delle armi. Con probabile e comprensibile sollievo degli orsi posizionati all’ingresso, che ben poco avrebbero potuto fare per proteggerlo da un eventuale schiera di militi fermamente intenzionati a passargli oltre.
Un po’ come nella fiaba di Riccioli d’Oro, in cui si osserva la natura tendenzialmente bonaria degli animali inseriti all’interno di una comoda abitazione umana. Perché non c’è letto troppo morbido, o troppo duro che possa inficiare la fondamentale trasformazione da belva in pacifico animale da compagnia. E persino gli orsi hanno un cuore, dietro quei denti, le zanne, le unghie, la lingua imprescindibilmente associate alla loro genìa. Meri retaggi di un’epoca in cui venivano chiamati alla sopravvivenza. E all’autogestione del proprio feudo, lontano dagli occhi di un qualsivoglia demiurgo o proprietario dell’inutile gleba. Per un sistema che mai nessuno avrebbe pensato d’implementare, tranne colui che usava il potere come una sorta di bastone. Il migliore dei modi possibili, all’epoca, per potersi garantire l’utilizzo esclusivo della carota.