E per chi stesse cercando l’ulteriore prova che gli oceani terrestri sono come una savana; distessa ininterrotta e popolata di svettanti pachidermi, ciascuno popolato dal suo piccolo seguito di minuti passeggeri… Mahut e addestratori, Lupi di quel mare che non ha confini, pienamente coscienti della singolare maniera in cui, nel caso in cui tutto dovesse sembrare perduto, la galleggiante cavalcatura potrà sempre aprire le sue orecchie, procedendo a estendere la lunga protuberanza nasale. Proboscide gonfiabile, o magica appendice che conduce alla salvezza per tutti coloro che, inseguiti dall’alta marea del disastro, inteso come fiamme o presupposti dell’affondamento, potranno discenderla riuscendo a scivolare fino all’efficiente estremità. Dove nessun pesce, o famelica orca assassina, potranno posizionarsi nell’attesa con le fauci spalancate, causa la presenza dell’ultimo e apprezzato dono dell’elefante. Ma non c’è metafora che tenga, in merito a simili oggetti: siamo innanzi, sopra e dentro ad una serie di perfette zattere di salvataggio. In quanto create sulla base dei principi necessari ad essere inaffondabili, impossibili da ribaltare, accoglienti e particolarmente spaziose: fino a 150 persone potranno trovare una collocazione all’interno; in un periodo complessivo di appena 10 minuti a dir tanto. Certo, d’altra parte, tutto questo è opera dell’ingegno e l’avanzata competenza tecnica dell’uomo. E prende il nome di MES: Marine Evacuation System, uno dei tanti segni facilmente apprezzabili dell’attenzione moderna nei confronti della sicurezza e la sopravvivenza di coloro che operano per il bene collettivo.
Utilizzando un approccio maggiormente descrittivo alla faccenda, dunque, il dispositivo in questione non è altro che un contenitore di forma cilindrica abbinato ad una bombola di gas nitrogeno. Collegato ad una scatola, anch’essa pronta ad irrorarsi della voluminosa sostanza, al fine di lasciar fuoriuscire una verticale via privilegiata verso il fondo delle sfortunate circostanze. Il tutto da posizionarsi preventivamente presso la murata di una nave, al fine di poter estrinsecare tutto il proprio potenziale nel momento malaugurato in cui dovesse presentarsene la necessità. Una semplice e opportuna risposta, alla necessaria domanda che in molti si posero successivamente al 1912, con il naufragio del più celebre transatlantico andato incontro a un iceberg distruttore, quando l’assurdità di avere un numero del tutto insufficiente di scialuppe in proporzione ai propri passeggeri fu all’improvviso evidente innanzi agli occhi del mondo. Una domanda che recita grosso modo: “Se l’intero ponte dovrà essere occupato da lance di salvataggio, dove potremo mettere, esattamente, le persone?” Perché un semplice natante con camera d’aria, fino all’epoca contemporanea, era sostanzialmente una trappola mortale in condizioni marittime meno che ideali. Un semplice gommone non galleggia tra inquietanti cavalloni alti quanto un palazzo di quattro piani… Non molto a lungo. Ed è proprio per superare tale limite che nel 1979, almeno stando a Wikipedia, alla compagnia neozelandese RFD sarebbe venuta un’intrigante idea…
Ma i video a corredo di questo articolo sono più moderni e provengono piuttosto dal canale di un altro leader del settore, la danese Viking di Esbjerg, sul cui sito si racconta del familiare senso d’ansia vissuto dalle famiglie dei pescatori di quel sito tempestoso, ogni qualvolta era impossibile sapere se i propri cari sarebbero tornati senza conseguenze dai vortici meteorologici della devastazione. Con il procedere delle decadi, dunque, racconta la cronologia di come le tradizionali barche da pesca siano scomparse dal gremito porto sulla costa occidentale del paese. Ma una simile eccellenza operativa abbia continuato, imperterrita, a produrre ciò che gli riusciva meglio. Inteso come approcci, tutti estremamente validi, al problema non particolarmente semplice di far uscire tutti gli occupanti di una nave prossima all’affondamento, prima che un tale evento possa raggiungere le sue estreme, e irrimediabili conseguenze. Tramite la ricca serie dei dispositivi riportati nel vasto e diversificato catalogo, cui la loro notevole e particolare interpretazione del concetto di MES resta di gran lunga l’articolo maggiormente apprezzato nel mondo. Date le prestazioni e l’affidabilità decisamente superiori alla media, ma soprattutto l’ampio spazio riservato all’addestramento all’utilizzo dei suddetti, non propriamente accessibile senza un’adeguata preparazione fisica antecedente alla necessità d’impiego, ragion per cui tali approcci alla salvezza vengono generalmente riservati all’equipaggio propriamente detto del vascello, piuttosto ai solventi passeggeri saliti a bordo unicamente per godersi la crociera, i quali dovrebbero idealmente salvarsi mediante l’impiego di scialuppe di un tipo maggiormente convenzionale. Ciò in funzione, primariamente, della verticalità inerente nella sopracitata “proboscide” o scivolo gonfiabile, superficialmente simile a quello degli aerei ma che a differenza di questi ultimi, per mere ragioni geometriche, si trova spesso orientato in senso totalmente perpendicolare alla superficie increspata del mare. Ragion per cui è richiesto che gli utilizzatori sappiano come frenare la propria discesa, mediante allargamento dei propri arti a contatto delle pareti piuttosto anguste, pena conseguenze non propriamente trascurabili sull’integrità delle proprie caviglie (o altro) una volta raggiunta la zattera coperta sottostante. Ed a quanto si racconta su Internet, anche previa l’adozione di ogni precauzione possibile, simili infortuni non sono tutt’altro inauditi neppure nei contesti ideali d’addestramento. Figuratevi col mare in tempesta, mentre le persone prese dal panico tentano di lasciare un ponte già condannato dalle circostanze!
Una volta che l’intero equipaggio sarà al sicuro sui natanti gonfiabili integrati nel MES, il loro comportamento dovrà seguire un copione ben preciso. Rimanendo saldamente assicurati, per il tempo più lungo possibile, al relitto della nave madre purché tale approccio sia sicuro, ovvero in assenza di evidenti presupposti d’incendio o incipiente inabissamento. Questo per favorire l’arrivo rapido dei soccorsi e secondo quanto implicato dal famoso detto degli uomini di mare: “La migliore zattera di salvataggio è la nave stessa.” Ma con l’utile vantaggio addizionale, non proprio un semplice dettaglio, di poter sopravvivere anche nei due casi peggiori, qualora se ne presentasse la necessità, scampando al fato tristemente noto che fu concluse l’esistenza in Terra di coloro che si trovarono coinvolti nel più celebre naufragio della storia.
La validità dell’approccio alla salvezza garantita da un sistema allo stato dell’arte di questa caratura, dunque, non può essere assolutamente sopravvalutata. Per rapidità, semplicità d’impiego e soprattutto il superamento della necessità d’impiego del cosiddetto davit, o sostegno rotatorio, manuale o meccanico, impiegato per calare le scialuppe convenzionali in mare. La cui forma ingombrante, inevitabilmente, limita la quantità di punti in cui è possibile installarlo, senza contare tutti i casi in cui la nave dovesse risultare eccessivamente inclinata da riuscire a sfruttarlo adeguatamente.
Ma simili risorse, come dovremmo sempre ricordare, rappresentano comunque l’ultimo e più disperato tentativo di arginare una catastrofe di portata ed entità incommensurabili. Sostituendo, ahimé soltanto in parte, l’effettiva competenza di colui che è stato posto nella somma posizione di responsabilità e comando. Attraverso un sistema che dovrebbe essere impeccabile, ma qualche volta tale non riesce a dimostrarsi, causa errori ereditati e approcci non del tutto meritocratici all’organizzazione della flotta. E per via di scogli a largo di affollate isole mediterranee, che ostinatamente e con temibile imprudenza, continuavano a pretendere il più costoso dei saluti.