Stabilimenti ordinati, contesti limpidi e sperimentali, ambienti frequentati primariamente da figure di stampo accademico abbigliate con camice bianco. Come nasce un aeroplano? Molto spesso, le acquisite cognizioni per quanto concerne il tipo di strutture adibite a questo campo particolarmente delicato dell’ingegneria applicata trovano conferma nella realtà osservabile dei fatti. Molto di ciò che resta, è russo o proviene dai limitrofi territori dell’Est Europa. Luoghi in cui formalizzarsi sullo stile trova raramente collocazione all’origine della “buona” tecnologia, poiché ogni cosa deriva dal bisogno momentaneo, connotato con la competenza pratica di chi è adeguato a individuare un qualche tipo di contromisura operante. Esigenze come quella segnalata presso il Minskom Zavode Shesteren (Istituto della Creatività Tecnica di Minsk) nel 1988, relativa al problematico comportamento in volo dell’ormai vetusto biplano agricolo Antonov An-2, notoriamente incline a oscillazioni e potenziale rischio di stallo ogni qualvolta raffiche di vento incrociavano perpendicolarmente la sua direzione di crociera. Questione tanto grave, per intenderci, da dar vita al paragone informale con “un elefante ubriaco in bilico sui campi” ovvero non propriamente la creatura cui vorresti affidare il tuo ritorno sano e salvo sulla pista da cui avevi spiccato il decollo. Al che l’ingegnere Arkady Narushevich, coadiuvato dal pilota Anatoly Gushchin, disegnò il progetto di un approccio fortemente distintivo nei confronti dell’intera faccenda. Considerando infatti la maniera in cui qualsiasi profilo alare, per il suo principio aerodinamico di funzionamento, non possa fare a meno di generare una coppia di vortici destabilizzanti in corrispondenza dei suoi bordi laterali, che cosa sarebbe potuto succedere, eliminando del tutto tale vulnerabilità del tutto imprescindibile? Mediante l’unico sistema immaginabile a tal fine. Ovvero, sostanzialmente, la costruzione di un singola ala capace di ripiegarsi su se stessa, giungendo a formare un’unica superficie ininterrotta. Narusevich aveva creato in linea di principio, per usare una terminologia appropriata, un raro esempio di velivolo con ala chiusa. Così come soltanto in pochi, fino a quel momento, si erano dimostrati capaci di elaborare. A partire dagli esperimenti esclusivamente teorici dell’epoca della seconda guerra mondiale, come il Lerche (Allodola) del tedesco Ernst Heinkel, ipotetico caccia concepito con una caratteristica conformazione ottagonale, o l’effettivamente costruito SNECMA C-450 Coleoptere francese, l’aereo con un tubo attorno alla carlinga facente funzione di ala, che avrebbe dovuto decollare verticalmente per poi ruotare a 90 gradi il suo senso di marcia. Se non che tale manovra tendeva, irrimediabilmente, a farne perdere il controllo, rendendolo essenzialmente soltanto il più scomodo e bizzarro elicottero della storia. In altri termini, qualsiasi approccio a un tale metodo di volo era stato accompagnato fino a quel momento da evidenti conseguenze deleterie o chiare prospettive di fallimento.
Laddove la creazione bielorussa era tutto, fuorché follemente ambiziosa o irraggiungibile, come esemplificato dalla forma il più possibile rassomigliante a quella dell’An-2. Al punto da trovarsi ad ignorare il concetto geometrico dell’equidistanza dei punti, scegliendo piuttosto la forma frontale di un ellisse visibilmente schiacciato in senso orizzontale. Dimostrando in ciò di provenire dal mondo delle contingenze pratiche, concepite sulla base dei legittimi presupposti di funzionamento. Piuttosto che l’esigenza personale d’incidere il proprio nome a lettere cubitali nel grande almanacco della Storia…
La squadra di Minsk giunse quindi molto presto ad un insieme funzionante di presupposti, che vennero messi alla prova con encomiabili risultati in una serie di modellini costruiti in scala. Lo stesso Narushevich diventò famoso per la rapidità con cui sapeva costruire una ragionevole approssimazione del proprio aereo con cartone o legno di balsa, da mostrare di volta in volta agli intervistatori e i supervisori sovietici del progetto. E venne anche realizzata l’ala principale se non che nel 1991, come tutti noi ben sappiamo, la struttura politica e amministrativa dell’URSS collassò rovinosamente portando a serie conseguenze economiche per tutti gli stati facente parte della confederazione. Il che costrinse, pressoché immediatamente, lo stabilimento di Minsk a mettere da parte il progetto, causa mancanza non soltanto di fondi ma anche del beneplacito del proprio governo. Trascorse quindi un periodo di ulteriori 8 anni, finché il pilota Gushchin, assieme ad alcuni suoi colleghi, riuscì a convincere l’ingegnere di Minsk a riprendere in mano figurativamente l’aeroplano ovale, individuando per lui anche un finanziatore privato. Con il nuovo apporto di fondi, l’ala parzialmente rovinata venne riportata in condizioni ideali, mentre il resto della fusoliera veniva portata a termine partendo praticamente da zero, fatta eccezione per il carrello preso in prestito da un elicottero Mi-1 ed il cruscotto con la strumentazione proveniente direttamente dal predecessore An-2. In questo mondo, la continuità tra i due velivoli veniva sancita dinnanzi ai testimoni interessati a seguire l’idea. E nel 2004, si raggiunse infine il momento tanto lungamente atteso: Il ribattezzato Koltseplan OW-1 (Oval Wing) dal numero identificativo EW-555AO spiccò il volo, compiendo la completa serie di manovre necessarie a dimostrarne l’inconfutabile efficienza. Per la prima volta nella storia, dunque, un aereo con ala chiusa aveva superato l’esame più importante senza andare incontro ad episodi non del tutto previsti. Ed anche le sue caratteristiche, risultavano essere tutt’altro che deludenti: alimentato da un semplice motore a nove cilindri Vedeneyev M14P, dalla potenza di circa 350 cavalli, l’aereo sembrava quasi totalmente incapace di andare in stallo. Questo grazie alla notevole portanza generata dalla configurazione delle sue ali, che in maniera atipica non erano integrate in alcun modo nel corpo centrale, ma piuttosto “appese” con una serie di sostegni al di sotto di esso, massimizzando in tal modo il flusso di aria a bassa pressione a ridosso del profilo aerodinamico risultante. Il che, incidentalmente, incrementava il rapporto molto vantaggioso tra il peso del velivolo ed il suo carico massimo, pari allo 0,45 del totale (contro il già notevole 0,3 dell’An-2). In altri termini, lo strano apparecchio avrebbe potuto decollare con un pieno carico d’insetticida in aggiunta al secondo operatore, incaricato del suo rilascio. Riuscendo per di più a decollare in appena 150 metri di pista, contro i 180 del biplano che avrebbe dovuto sostituire, senza risentire in modo altrettanto significativo dei venti traversi che tanto avevano causato problemi alla generazione precedente dei suoi utilizzatori. Nel 2008 venne anche coinvolto il professore di scienze matematiche Leonid Ivanovich Grechikhin, che diede il proprio contributo all’ottimizzazione delle forze in gioco, migliorando ulteriormente le caratteristiche dell’aeroplano.
Ma il destino, ancora una volta, si dimostrò contrario a questa possibile rivoluzione, portando le autorità bielorusse a sanzionare la fabbrica informale di Minsk per l’assenza di un tipo di autorizzazioni che sostanzialmente, neppure esistevano in Bielorussia. Non volendo andare incontro a problemi di alcun tipo, lo stesso finanziatore privato (dall’identità segreta) si ritirò quindi dalla venture, lasciando naufragare totalmente gli ormai tangibili presupposti di partenza.
Abbandonato per qualche tempo presso un impianto di riparazione di aeromobili di Baranovichi, il prototipo sarebbe stato in seguito spostato nel terreno del museo all’aperto dell’aviazione di Borovaya poco fuori Minsk, dove si trova tutt’ora. Tra reperti bellici e altre curiosità alate, tutte facenti parte di un eredità tecnologica direttamente riconducibile alle proprie originali sensibilità di partenza. Laddove soltanto un tale oggetto, con tutto il suo potenziale largamente inespresso, può parlarci di un possibile presente alternativo, in cui gli aerei non possiedono più delle paia d’ali, bensì una soltanto, convenientemente arrotolata su se stessa.
Perché il problema della progettazione degli aerei resta sempre quello: la quantità di fondi e di fiducia che si dovrebbe dare a chi coltiva una possibile via controcorrente. Il che porta a un irrigidimento dei presupposti, con conseguente binario morto per molte delle corse che potrebbero condurre a un margine non visto di miglioramento. Così come determinati laboratori, in certi contesti associati particolarmente al mondo del vicinissimo Oriente, avrebbero saputo dimostrare lungo le epoche trascorse. E non soltanto in campo bellico, per nostra (e loro) fortuna.