La stessa sensazione ogni singola volta, che si percorre l’accidentato viale che parte da Taos, New Mexico verso il villaggio principale di un particolare stile abitativo e di sussistenza. Accompagnata dalla lieve, sussurrante suggestione che il mondo possa finire da un momento all’altro e anche se ciò dovesse veramente accadere, nulla potrebbe abbattere queste mura. Né scuotere le loro fondamenta che neppure esistono, grazie alla particolarissima soluzione utilizzata per costruirle. Avete presente l’esperienza professionale del gommista? Anni, anni e lunghi anni, trascorsi a riparare l’interfaccia rappresentativa della connessione tra veicoli ed asfalto, tra le prime cose che diventeranno inutili quando i carburanti fossili saranno soltanto un (pessimo?) ricordo. Privi di funzione nei lunghi anni successivi al pensionamento, per lo meno nell’originale contesto di riferimento, ma non quello guadagnato con l’avveniristica visione di Michael E. “Mike” Reynolds, già architetto, poi costruttore anarchico, ed infine imprenditore che ha saputo creare, promuovere e diffondere nel mondo una sua particolare dello spazio abitativo umano. Non più solamente utile a determinare e contenere le necessità quotidiane di una famiglia, ma fornirla nel contempo dei fondamentali mezzi di sussistenza, senza dover fare affidamento a fonti esterne per l’elettricità, l’acqua, la climatizzazione e neppure il cibo. Avendo perciò assunto già a partire dagli anni ’70 il nome prototipico di Earthships, ovvero “Navi della Terra” intese come capsule del tutto indipendenti, sospese nell’impercettibile interregno tra il survivalismo e l’effettiva ribellione nei confronti dello status quo civile, che vorrebbe imporci un modo “corretto” per riuscire a realizzare la nostra più perfetta dimora. Dirompente, quindi, e nell’opinione di qualcuno anche pericolosa, può essere l’idea alla base di un simile approccio, sebbene fondata su una serie di concetti parimenti funzionali allo scopo. Sei, per esser più precisi, come dei comandamenti: genererai il tuo ambiente termico, senza l’impiego di energia esterna; riciclerai la spazzatura; tratterai le acque reflue; costruirai con materiale di recupero; raccoglierai la pioggia; coltiverai verdure fuori e dentro gli spazi appositi dell’edificio. Struttura che in effetti, alquanto sorprendentemente, appare nella maggior parte delle circostanze come un’intrigante casa costruita in base ai crismi estetici del modernismo, salvo alcune scelte estetiche e la fondamentale dislocazione delle stanze. All’interno della tipica forma, così frequentemente ripetuta nei dintorni del villaggio di Taos, simile a quella di un ferro di cavallo, poiché non è facile (o può risultare addirittura impossibile) costituire angoli retti tramite l’integrazione di una simile materia prima, ovvero i treni sovrapposti di pneumatici, preventivamente ricoperti di copiose quantità di terra. Assieme all’occasionale strato di cemento, usato per livellare e consolidare la situazione, come passaggio intermedio prima che si passi all’essenziale stuccatura delle superfici finali. Attenzione mostrata anche in merito ai tramezzi interni, costruiti a loro volta con lattine pressate e legate assieme in base a un metodo brevettato dall’architetto nel 1971. Perché non c’è alcun bisogno che bunker di recupero ne abbia anche l’aspetto, comportando un ostacolo che prevenga l’implementazione su larga scala dell’idea di partenza…
Dopo tutto lo stesso Reynolds, nel suo film del 2007 Garbage Warrior (Guerriero della Spazzatura) offriva una dichiarazione programmatica eccezionalmente pregna, se non del tutto elegante: “Se l’uomo manda a rotoli la Terra, morirò anch’io. Sto soltanto cercando di salvarmi il c*lo” che non può essere una mera iperbole, quando si conosce la storia arzigogolata della sua carriera. Che ha subito un’interruzione secondo i crismi ufficiali a partire dal 1990 e per un periodo di ben 17 anni, causa la radiazione dall’Ordine degli Architetti Americani per le proteste manifestate da alcuni suoi clienti, causa la delusione di una serie d’irrealistiche aspettative in merito all’acquisto di una Earthship, rivelatosi accompagnata da uno stile di vita non propriamente conforme alla consuetudine comune. Questo anche perché una “nave” nella sua forma più pura e fedele all’idea di partenza, prevede non soltanto una quantità di manodopera impressionante al momento della sua costruzione, ma anche per il mantenimento in condizioni operative della sua pluralità di sistemi complessi. A partire dalla serra/solarium posizionata in direzione dell’equatore, i cui vetri inclinati a 45 gradi devono raccogliere e convogliare il calore diurno, per poi convogliarlo attraverso la pluralità delle stanze interne. Così come un tubo di aerazione all’altro lato dell’edificio, risucchiando l’aria calda a bassa pressione ne permette il raffreddamento attraverso le pareti di pneumatici, completando in questo modo l’essenziale processo di climatizzazione. Così che una casa di Reynolds, se costruita correttamente ed in un ambiente come quello del meridione statunitense, riuscirà sempre a mantenere una temperatura attorno ai 21 gradi, senza ricorrere alla benché minima spesa per l’elettricità. Altrettanto ingegnoso il sistema di trattamento e reimpiego dell’acqua, intrappolata sul tetto grazie a canali e trappole della condensa, poi convogliata in un impianto che la riutilizzerà per un totale di ben quattro volte: prima di tutto per berla, previo trattamento all’interno di un depuratore, poi al fine di lavare se stessi e le proprie stoviglie quindi, una volta fatta passare all’interno di apposite condotte gommate di sgrassatura fino alle colture della serra. Da cui l’umidità residua, senza soste, passerà allo scarico del WC e come coronamento ulteriore alla fossa settica con tracimazione negli spazi coltivabili all’esterno, a una profondità tale da non poterne (idealmente) percepire l’odore. Il che costituì in effetti una delle obiezioni principali che portarono alla radiazione di Reynolds, per il divieto nel reimpiego di tali rifiuti organici con finalità agresti, assieme al timore mai davvero smentito che le ruote incapsulate nei muri potessero rilasciare nel tempo sostanze cancerogene o nocive in altro modo per la salute (benché i raggi del sole non potessero raggiungerle sotto terra). Per quanto concerne d’altra parte le soluzioni esteriori e di abitabilità, le Earthships favoriscono ampi spazi con pareti sottili, talvolta ornate tramite un susseguirsi di doppi fondi di bottiglia che agiscono come decorazioni, oltre a ridurre la quantità di cemento o stucco necessario a completare l’opera muraria. Quantità di legno varabili vengono impiegate per incorniciare e consolidare i muri, oltre a reggere il tetto tramite l’elemento architettonico dei vigas, strutture di sostegno prese direttamente in prestito dai pueblo messicani. L’elettricità, nel frattempo, viene fornita da quei due caposaldi irrinunciabili del vivere sostenibile: le turbine eoliche e i pannelli solari. Niente sembra dunque essere lasciato al caso. Eppure, come avviene per tutti i tentativi di cambiare radicalmente le priorità collettive, non mancano di certo i detrattori.
Il problema principale della Earthship come concetto che ha iniziato ad essere adottato anche lontano dalla sua patria di provenienza è per l’appunto il suo essere venduto in maniera pre-confezionata, ovvero a misura unica indipendentemente dall’ambiente in cui dovrà essere collocato. Il che causa non pochi problemi, particolarmente in luoghi molto freddi, dove la climatizzazione a consumo zero risulta insufficiente a mantenere temperature vivibili per l’intero periodo dell’anno. Per non parlare delle infiltrazioni d’acqua nei paesi piovosi, notoriamente distruttive per qualsiasi edificio utilizzi la terra come materia prima fondamentale della sua esistenza.
Inoltre molti di coloro che decidono di farsene costruire una, spesso facoltosi proprio in forza della quantità di lavoro necessario a completarne le imponenti mura, credono di stare per entrare in un mondo in cui tutto funziona perfettamente e non occorre in alcun modo cambiare il proprio stile di vita. Il che si trova effettivamente in netta contrapposizione con la natura sperimentale del progetto di Reynolds, come da lui più volte dichiarato ed approfonditamente spiegato all’interno della propria accademia. Un luogo assolutamente for-profit, situato per l’appunto non troppo distante da Taos, dove chi volesse apprendere le tecniche necessarie a costruire abitazioni simili dovrà pagare per il “privilegio” di battere la terra dentro gli pneumatici, costruendo per prima cosa la casa (a sua volta costosa) di qualcun altro. Geniale, nevvero?