In una scena che pare prelevata direttamente da un film di fantascienza, l’oggetto toroidale sorto all’ombra del grattacielo più alto del mondo viene avvicinato progressivamente da un velivolo dall’aspetto inconsueto. Simile ad un drone, ma dotato di propulsori direzionabili a piacere, che in base al rumore si capiscono funzionare grazie ad una qualche applicazione avveniristica del principio aeronautico del jet. Quando giunti a una distanza sufficientemente ravvicinata, la parte superiore dell’anello si solleva, letteralmente, poco prima d’iniziare a scorrere di lato: l’edificio, a questo punto, è aperto. L’oggetto volante non meglio identificato vi atterra all’interno. Dopo qualche attimo di attesa particolarmente pregna, l’elemento apribile ritorna al suo posto. Non v’è alcuna traccia di eliporto, sulla sommità dell’ultimo edificio stravagante della capitale del divertimento, Dubai. E se vi sembra una visione lievemente troppo avveniristica, direi che siete sulla strada giusta per quanto concerne l’aspetto logico, ma non quello tematico o concettuale. D’altra parte quello che stavate immaginando è un trailer ufficiale, largamente sanzionato dalle autorità cittadine, del nuovo, spettacolare Museo del Futuro nel Distretto Finanziario, creato per incrementare ulteriormente le attrattive turistiche di uno dei luoghi già più visitati al mondo. Le ricchezze date dal petrolio, d’altra parte, debbono esaurirsi a un certo punto degli eventi. Non così la fama è la celebrità di un luogo, se ciascun tassello di un preciso piano scivola al suo posto, realizzando l’effettiva forma di un gioiello inimitabile dall’una o l’altra parte dell’intero Mondo Arabo, e non solo… Brillante che necessità, come da copione, la possibile collocazione di un anello, che sia sufficientemente grande, o significativo, da poter riuscire a sostenerlo. Ecco a voi, per questo, l’opera dell’architetto Shaun Killa, al debutto col suo studio cittadino Killa Design e che parrebbe essere riuscito a far partire la carriera indipendente dalla vetta, che può provenire unicamente dalle conoscenze, la bravura e la validità delle proprie idee, capaci di sconfiggere ogni possibile proposta alternativa ad un concorso di portata internazionale. Coi meriti di un risultato che, in maniera certamente soggettiva, può essere ammirato dagli occhi di noi tutti ma difficilmente mancherà di suscitare un certo senso di stupore e meraviglia. Quanto spesso capita di vedere una creazione simile a una vera e propria stazione spaziale, ricoperta d’improbabili iscrizioni calligrafiche in lingua araba, che costituiscono nei fatti le sue uniche finestre aperte verso l’esterno? Una struttura possibile soltanto tramite l’applicazione di tecniche architettoniche assai particolari, capaci proprio in tal modo di offrire una via d’accesso alternativa, pratica e tangibile, all’argomento principale trattato all’interno dell’edificio stesso. Ovvero: (se tutto continua come dovrebbe) dove saremo tra 100, 1.000, 10.000 anni? Non il mero incipit di un testo da romanzo di genere, in questo caso. Bensì l’apprezzabile base di partenza per una serie di allestimenti e mostre multimediali di robotica, ingegneria, urbanistica e l’occasionale accenno trasversale al transumanesimo, che non guasta mai. Dopo tutto, quale miglior modo esiste per riuscire a superare le attuali fisime del mondo contemporaneo, che modificare le stesse limitazioni biologiche della nostra esistenza sulla Terra?
Idea fondativa del concept di partenza stesso del museo, la sua struttura metallica reticolata di sostegno nasce quindi da un complesso algoritmo matematico, calcolato con sistemi computerizzati forniti da un’altra compagnia locale, la Affan Innovative Structures, con la consulenza della britannica Buro Happold. Che passando al vaglio le possibili soluzioni offerte dall’attuale mondo tecnologico, ha scartato per la facciata propriamente detta l’utilizzo del metallo, preferendogli l’impiego di un materiale composito, l’FRP (Fibra a matrice polimerica) plasmata nella forma di una pluralità di esagoni interconnessi, visivamente indistinguibili a distanza sufficiente da una superficie curva senza soluzione di continuità. Così da poter proseguire per quanto concerne le finestre stesse, create con sofisticate soluzioni di lavorazione del vetro. E d’altra parte, non potrebbe essere altrimenti: quanto spesso succede di ammirare un edificio che è a tutti gli effetti un’opera d’arte, perforato da un arcano susseguirsi di lettere dell’alfabeto. Che soltanto a chi conosce la lingua araba, ed osserverà con sufficiente attenzione, si riveleranno per quello che sono veramente: tre complete citazioni in versi create dallo Sceicco di Dubai, Mohammed bin Rashid Al Maktoum, con frasi positive sul tema del nostro domani. Una visione ottimistica capace di durare, nonostante tutto, per i sette anni rivelatosi necessari al completamento del progetto, complice la complessità notevole unita al problematico insorgere del Covid, che ha permesso di raggiungere l’agognato momento dell’inaugurazione soltanto il 22 febbraio del 2022, una data scelta in quanto significativa, poiché palindroma ovvero leggibile da entrambe le parti. Quasi come se il ritardo rispetto all’originale 2019 previsto fosse stato in qualche modo voluto, o comunque accettabile nel suo contesto ambizioso di partenza.
Il che non ha previsto d’altra parte, nei mesi e addirittura anni antecedenti a questa data, di utilizzare l’edificio ancora incompleto per una serie di mostre ed eventi, dedicati tra le altre cose alla creazione di un’intelligenza artificiale in grado di provare emozioni, all’elaborazione di sistemi urbanistici per contrastare il mutamento climatico (obiettivo sincero, vista la rara classificazione di sostenibilità LEEDS Platinum conseguita dall’edificio) e come sopra accennato, l’allestimento intitolato HUMANS 2.0, dedicato al superamento dei limiti fisici del corpo umano. Occasioni coadiuvate in modo permanente dai tre ambienti distinti costituiti dal podio simile ad una collina verdeggiante, lo spazio dell’edificio propriamente detto ed il “vuoto” da cui riesce ad affacciarsi un’intrigante balconata, raggiungibile mediante affascinanti capsule-ascensori che si riferiscono direttamente all’epoca spaziale. Così come le molte pareti videografiche impiegate nelle sale interattive del museo, vedi quella creata per dare l’illusione di trovarsi all’interno di una nave spaziale in procinto di raggiungere i confini più distanti del Sistema Solare, una visione certamente in grado di coinvolgere i visitatori e trasportarli all’interno di un mondo visionario ed appassionante. Degna di menzione anche la foresta possibile imitata tra le mura curvilinee, formata da specie di piante frutto dell’ingegneria genetica capaci di resistere all’inquinamento ed eventuali incendi. Una visione particolarmente interessante, se messa in relazione con la sua effettiva cultura di provenienza…
Completano la visita: lo spazio dedicato ai bambini all’ultimo piano, gli “eroi di domani” invitati a interagire ed imparare il principio di funzionamento dell’attrezzatura di gioco, tra cui avveniristiche strutture per arrampicarsi e sinuosi tunnel geodetici; e come dimenticare il bar del museo annesso al negozio di souvenir, dove si può essere serviti da un vero braccio robotico con sei gradi di libertà operative e totalmente incapace di sbagliare l’ordine al bancone? Forse la più apprezzabile concessione, pronta all’uso, tra tutte quelle offerte ai visitatori di un così avveniristico ed avventuroso luogo di scoperta. L’ultima trovata, ancora una volta del tutto unica al mondo, per trovare logiche e ulteriori gradi di flessibilità all’imponente centro abitato di Dubai. Più che una semplice città, l’agglomerato spesso inestricabile di aspetti, particolarmente in materia di diritti e trattamento dei lavoratori, non tutti egualmente posti sotto il riflettore sfolgorante del senso comune dell’Occidente. E che non sempre vorrebbero, ne potrebbero desiderare di esserlo. Ma se non speriamo nel futuro per trarci fuori dalle contingenze di una simile disuguaglianza, come potremo mai riuscire a liberarcene, una volta per tutte? Ed è in questo, più che ogni altra cosa, che dobbiamo spendere quello che abbiamo. Finché possiamo farlo. Il flusso produttivo del petrolio, qui ed altrove, non potrà di certo durare per sempre.