L’acqua di un color turchese barbagliante, il sole che rimbalza sulle forme placide ondeggianti, di un oceano privo di confini apparenti. Oltre la prua del piccolo catamarano, innanzi ad una spiaggia chiara come l’alba, il profilo ben riconoscibile di un filare di araucaria, gli alberi simili a colonne o che ricordano i cipressi lungo un viale. Ma a spezzare la monotonia e la calma, finisce per manifestarsi un qualcosa di altrettanto verde, ma perfettamente contrastante per quanto concerne la livrea della sua testa nera e l’ornamento rosso intenso che la sovrasta. Sul finir del pomeriggio, in una tiepida vacanza estiva, un singolo volatile si staglia contro il cielo. Quindi, tre, quattro, tutti alla ricerca di un qualcosa che possa fornirgli secondo la loro metrica, svago, o nutrimento. Svago e nutrimento: questo guida l’ali dell’Eunymphicus cornutus, o il pappagallo cornuto dalla coppia di vistose propaggini sovra-nucali. Portatore di quel simbolo apparentemente acuminato, piuttosto comune in altri ambiti del mondo animale, cui corrisponde un ruolo di potere. Ma che serve soprattutto come arma per combattere, proteggendo il proprio diritto a esistere e riuscire a riprodursi in un’ambiente competitivo. Unicamente quando accompagnate, tali corna, da una massa sufficiente a far valere le proprie ragioni. Ed è poi soprattutto per questo, che una simile caratteristica nelle modalità che siamo soliti associargli, non può appartenere in alcun modo al mondo dei pennuti, dove il peso addizionale agirebbe come problematica zavorra, oltre a risultare totalmente inutile nel corso di un tipico combattimento aereo. Ecco perché la versione qui apprezzabile di un simile implemento, in quello che potremmo facilmente definire il pappagallo più raro e distintivo del Pacifico, assume qui la forma certamente atipica di un paio di penne, approssimazione del concetto di una cresta che non può mai essere abbassata lungo il collo dell’animale. E prima di procedere all’interno della nostra narrazione, sarà opportuno definire le precise dimensioni di questa sgargiante creatura, che in qualità di appartenente alla famiglia dei Psittaculidae o pappagalli d’Oceania dalla coda larga, raramente supera i 32 cm di lunghezza sia nel maschio che nella femmina, i quali risultano del resto alquanto indistinguibili l’uno dall’altro. Mentre s’inseguono, con fare irruento e imprevedibile, tra i limpidi recessi di uno degli ultimi arcipelaghi rimasti ragionevolmente incontaminati nel nostro mondo. Fino a posarsi, da solo o in compagnia, sopra un albero di lavanda o d’alchelengio, da cui cominciare a prelevare frutta con voracità instancabile, al punto che pochi di loro possono spogliare totalmente un albero. Per poi provvedere, svolazzando intorno all’aere, all’appropriata disseminazione dei suoi legnosi figli a venire. Un importante ruolo assolto dagli uccelli, categoria entro cui figura a pieno titolo la variopinta sagoma del pappagallo…
Concentrato quasi esclusivamente nella grande isola centrale di Grande Terre, così come il suo parente prossimo (in origine considerato co-specifico) Eunymphicus uvaeensis risulta strettamente associato alla vicina terra emersa di Ouvéa, il parrocchetto cornuto si è purtroppo guadagnato nel corso dell’ultima decade lo status di vulnerabilità ecologica, causa predazione da parte di creature non native e l’occasionale cattura ad opera degli umani per il commercio totalmente illegale e proprio per questo cupamente redditizio per chi lo compie, la cui attività spietata tende inoltre a danneggiare gli alberi in cui l’uccello nidifica, prevenendone il riutilizzo futuro.
Pur non potendo disporre come avviene stranamente per molti altri pappagalli del suo contesto geografico di molti studi scientifici in materia, possiamo tuttavia fare affidamento sull’articolo pubblicato da Michel Salas nel 2008 sulla rivista Ibis, oggi disponibile sul servizio online Academia.edu dove si parla approfonditamente delle modalità riproduttive della seconda delle due specie. Citando a sua volta una serie di osservazioni effettuate tra il 1994 e il 1996, mirate a seguire la particolare storia di alcune famiglie all’interno dei loro nidi ricavati nel cavo degli alberi, attraverso un sofisticato sistema di specchi e torce elettriche montate sopra degli snodi poco dopo l’inizio della stagione riproduttiva in estate, tra ottobre e gennaio. Fino alla scoperta delle 2-4 uova ben nascoste all’interno di una tale cassaforte inespugnabile, destinate alla cova da parte dei genitori alternatisi per un periodo di 5-6 settimane, benché sia soprattutto la femmina ad occuparsene. Potendo fare affidamento, secondo la teoria dominante, proprio sulle proprie due piuma a forma di “corna” per una finalità primaria: avvisarla in tempo della distanza del soffitto dalla propria testa, incrementando il proprio senso dello spazio ed impedendogli di urtare accidentalmente contro quel soffitto legnoso. Comodo, vero? Tutto questo mentre il maschio, andando a procurare il cibo per entrambi, avrebbe fatto ritorno ad intervalli prevedibili chiamandola all’ingresso mediante una serie ripetitiva di suoni squillanti. Alla schiusa delle uova quindi tale attività di procura sarebbe diventata il compito primario della coppia, naturalmente concentrata sul fornire il necessario nutrimento alla prole. Punto forte di entrambe le specie, quindi, tale metodo “segreto” per tenere al sicuro i pulcini totalmente privi di difese si ampiamente dimostrato funzionale a massimizzare la riuscita del processo, con circa il 90% dei piccoli soggetti ad approfondimento dimostratosi capaci di raggiungere l’età adulta, e quelli che non ci riescono periti più che altro per l’incapacità di ottenere nutrimento dai genitori a discapito dei propri fratelli più forti. Il che ha permesso d’individuare, come principale ostacolo alla conservazione di questi parrocchetti, non tanto la predazione inopportuna quanto un forte legame con il territorio di reciproca appartenenza, unito a un senso dell’orientamento tale da permettergli di far ritorno all’isola natìa ogni volta che si è tentato, storicamente, di reintrodurne una popolazione presso le altre isole della Nuova Caledonia. A partire da un’iniziativa risalente al 1993 della locale ASPO (Associazione per la Protezione del Pappagallo di Ouvéa, accompagnata dalla rimozione sistematica del ratto nero, giunto in questa terra limpida come passeggero accidentale delle grandi navi europee. Forse il più acerrimo nemico, assieme al gatto, di qualsiasi preziosissimo pennuto nato abbastanza lontano dal vorace fremito di quelle tremule vibrisse.
Ciò che serve a pieno titolo per comprendere quanto delicata e instabile possa essere la situazione nel suo complesso, risulta essere dunque la mancanza di video registrati nello specifico ambiente di appartenenza di entrambe queste specie volatili, facilmente osservabili online soltanto all’interno di gabbie, voliere o altri habitat appartenenti a zoo di varie nazionalità. Questo per un sostanziale quanto sorprendente disinteresse, nei confronti di quella che potremmo definire la seconda specie maggiormente riconoscibile dell’intero territorio neo-caledoniano. Ma pur senza il carisma estetico e l’insolita collocazione tassonomica del deambulatorio kagu alias Rhynochetos jubatus, di cui parlammo in precedenza, resta indubbio la qualifica per questo pennuto variopinto di un vero e proprio tesoro insostituibile, al pari di qualsiasi altro animale o forziere associato ai trascorsi pirateschi della letteratura di genere avventuroso. Poiché quale miglior ornamento può essere immaginato per la spalla di un capitano con gamba-di-legno, di colui o colei che rappresenta al tempo stesso un pollo fantastico e grazie alle sue corna, la versione tangibile del mitologico diavoletto della perversione! Naturalmente, per incorporare qualcosa in un romanzo è necessario conoscerlo. Ed è qui che il vasto mare di Internet, per l’ennesima volta, può dire di averci offerto un valido aiuto.