La regione spagnola della Catalogna assomiglia talvolta a un regno fantastico, che si dipana all’ombra e in mezzo alle pendici della catena montuosa dei Pirenei. Muovendosi verso settentrione fuori da Barcellona, parallelamente al confine con la Francia, l’ipotetico visitatore troverà una serie di comunità risalenti all’epoca medievale, o persino più antiche, ciascuna degna di un’intera pagina all’interno di un’antologia sui luoghi più affascinanti d’Europa: Peratallada con le sue alte mura, le strade angolari e piazze dalla pavimentazione a cubetti cariche dell’atmosfera di un tempo remoto; Guimerà dai soli 300 abitanti, costruito tra una collina ed un fiume, l’alta torre del castello posta lungo l’estendersi di un’importante punto di snodo commerciale… Ma per quanto riguarda le circa 1.000 persone che vivono a Castellfollit de la Roca nella comarca (regione) e zona vulcanica di Garrotxa, è stato semplicemente l’intero villaggio, ad essere posto fin da tempo immemore in corrispondenza di un sito particolarmente inaspettato. Ovvero l’alto sperone basaltico, lungo più di un chilometro, che si erge per 50 metri dalla valle formata dai fiumi confluenti di Fluviá e Toronell. Una caratteristica del paesaggio risalente a niente meno che 217.000 anni fa, frutto dell’attività del vulcano ormai spento di Begudá. Per certi versi terrificante, ma anche un’importante risorsa per chi avesse l’intenzione di sentirsi maggiormente al sicuro. Perché, dico, ve l’immaginate assediare un luogo simile, con il tipo di strumenti che c’erano a disposizione tra il decimo ed il tredicesimo secolo, quando per la prima volta una struttura umana cominciò a prendere forma in una tale posizione sopraelevata?
Stando al sito ufficiale del comune dunque, oggi recuperabile soltanto grazie all’Internet Archive, il paese viene documentato per la prima volta nel 1096, come “kastro fullit” o “castro-follito”, all’interno dei possedimenti del locale visconte di Bas. Luogo di relativa importanza strategica, benché certamente ben difeso, l’insediamento ricompare saltuariamente nelle cronache dell’epoca, nel 1278 sotto il controllo della viscontessa di Empúries, quindi in qualità di feudo diretto del re Giacomo II d’Aragona (1267-1327) che nel 1315 lo fece passare sotto il controllo di Malgaulì, conte di Bas. Nel 1339 Pietro IV d’Aragona, in seguito, lo riconobbe tra i possedimenti del ducato di Girona, che aveva attribuito a suo figlio maggiore. Poi, nel 1426, avvenne qualcosa di terribile: un forte terremoto distrusse completamente il villaggio. E mentre gli abitanti erano intenti a ricostruire, soltanto due anni dopo ce ne fu un secondo. Ritornata soltanto in parte ai fasti ed alla difendibilità di un tempo, la comunità sarebbe caduta senza troppa resistenza durante la guerra civile catalana, passando di nuovo nel 1462 sotto il controllo diretto di un re aragonese, Giovanni II el Sense Fe ( il Senza Fede). Si trattò di un importante punto di svolta nella storia di questo luogo, poiché da quel momento, le ragioni della guerra non l’avrebbero lasciato più solo.
Costruito in posizione insolita con chiare finalità difensive, e mantenuto in tale stato attraverso il percorso serpeggiante dei secoli dai molti conflitti, Castellfollit è un paese che si configura come spesso capita attorno ad un singolo viale centrale. Con il punto distintivo che esso non porta effettivamente a nulla, se non la straordinaria piazza panoramica a strapiombo sul paesaggio memorabile dell’alta Garrotxa, e senza letteralmente alcun tipo di sviluppo perpendicolare, visto l’effettivo esaurimento dello spazio disponibile sopra lo sperone basaltico prodotto nella remota epoca della Preistoria. Si potrebbe in effetti affermare, senza alcun tipo d’iperbole, che l’intera popolazione locale viva lungo l’estendersi di una singola strada, vantando un numero civico che aumenta progressivamente con l’allontanarsi dell’unico punto d’ingresso cittadino. Un tempo raggiungibile mediante l’uso del vecchio ponte, crollato durante i terremoti del XV secolo e poi di nuovo a causa dei bombardamenti d’artiglieria che sarebbero venuti dopo, le cui rovine fiancheggiano una struttura costruita in epoca moderna e secondo crismi architettonici di una maggiore solidità. Come in ogni altro borgo di concezione medievale, le strutture di maggiore importanza all’interno di Castellfollit sono due: la locanda e la chiesa. La prima con facciata rivolta sulla vecchia strada provinciale tra Girona ed Olot, con quattro portali al piano terra e balconi finemente decorati con piastrelle a rombo di ceramica verde. E la seconda, ricostruita per l’ultima volta dopo la seconda guerra mondiale nell’attuale versione ispirata al suo aspetto rinascimentale, formalmente dedicata a San Salvador e impreziosita dalla presenza di un museo dedicato alla storia locale. Significativa anche la torre della Fonte di San Rocco, grande taumaturgo, le cui acque miracolose possono essere bevute dai pellegrini mentre tengono accuratamente conto del passaggio delle ore, grazie all’orologio donato da un politico locale che l’aveva promesso nel 1919 in cambio del sostegno popolare, come rappresentante del partito monarchico della sua Era. Lasciando il paese propriamente detto sarà possibile quindi incontrare, oltre alle tenute agricole costruite nella valle fluviale sottostante, tra dense foreste e ancor più ripide pareti rocciose, quella che costituisce ad oggi l’unica miniera ancora funzionante della Catalogna, ed invero probabilmente tutta la Spagna, attiva ufficialmente dal 1929 benché se ne avessero notizie risalenti ad almeno 50 prima di quella data. Amministrata tradizionalmente dalla famiglia Ortiz, che ne trae materia prima da utilizzare sia in campo industriale che residenziale. Secoli prima che una simile risorsa potesse acquisire un merito economico, Castellfollit ebbe tuttavia la sfortuna di comparire nuovamente tra le pagine della storia bellica del suo paese, con conseguenze spesso non propriamente raccomandabili. A partire dalla sua involontaria partecipazione alla guerra dei mietitori (o “sollevamento della Galizia”) del 1657, quando forze separatiste spagnole fiancheggiate dai francesi che si erano asserragliate tra queste alte mura furono sconfitte dal generale castigliano Francisco de Orozco, marchese di Mortara. Che per buona misura, al diradarsi della foschia, fece distruggere di nuovo ogni possibile fortificazione. Di nuovo le truppe di Luigi XIII di Borbone, detto il Giusto, avrebbero raso al suolo queste case nel 1691, verso il termine di questo prolungato e almeno in apparenza, irrisolvibile conflitto armato. Ma il peggio, come si dice, doveva ancora venire. Quando nel 1874, durante la terza guerra carlista, le forze del temibile comandante Francisco Savalls si scontrarono con i repubblicani di Nouvilas, finendo di distruggere quel poco che restava del vecchio castello. Si trattò di una battaglia particolarmente feroce, come molte altre di quella guerra, tale da lasciare il paesino virtualmente disabitato per un numero plurimo di generazioni. Eppure nonostante questo, attraverso il corso del 20° e del 21° secolo Castellfollit avrebbe ritrovato gradualmente una piccola ma fedele parte della sua originale popolazione, fino alle 1.000 anime correnti, in forza del suo fascino caratteristico e la posizione del tutto unica al mondo. Fino a diventare, nell’epoca corrente, una destinazione turistica assolutamente di primo piano. Da quale altro luogo, in fondo, sarebbe possibile osservare il paesaggio della valle dal parapetto della piazza principale, come trovandosi in corrispondenza della prua di una magica nave volante?
Non sempre al sicuro, trascurato benché inestimabile, il patrimonio storico d’Europa è spesso soggetto alle terribili tribolazioni che derivano dalle ragioni del conflitto umano. E non c’è muraglia sufficientemente inespugnabile, né posizione abbastanza difendibile, da poter vanificare la necessità cupamente percepita di far valere le proprie ragioni, una volta che la diplomazia ha fallito. Tutto questo lo comprendono senz’altro gli abitanti di Castellfollit de la Roca, per la loro storia pregressa ed anche grazie al qui presente Museo del Vietnam, con armi, uniformi e cimeli, inaspettata istituzione locale che costituisce la più significativa collezione in materia tra tutte quelle disponibili in Europa.
A ulteriore riconferma che l’attenzione verso la storia, e la commemorazione dei suoi momenti maggiormente problematici, è importante quanto quella dei tesori artistici e le gesta di chi si trovò al comando prima del concludersi di quei drammatici bivi. E se soltanto i loro colleghi e taluni dei politici odierni potessero condividere un tale illuminato punto di vista, senz’altro al giorno d’oggi saremmo più sereni!