Nella vita accelerata di una mosca, la bellezza può essere pericolosa, persino letale… Voglio dire, per un dittero anche la bruttezza può esserlo, o persino l’assenza di una percezione sensoriale di alcun tipo, accompagnata dall’assenza di particolare senso critico che si accompagna stesso alla natura assai rudimentale di un cervello che capisce più che altro dei concetti vaghi come “fame”, “sazietà”, “risposare” o “FUGA!”. Poiché non importa quanto possano essere allenati i propri sensi, non si può scappare da quello che non si è capaci di vedere, e/o individuare come fonte di pericolo, o/e sviare con un rapido balzo all’indietro, seguito dal ronzante tentativo di elevarsi al di là del problema. Cose che silenti giacciono sul bordo della foglia. Esseri dormienti, ma soltanto in apparenza, il cui senso stesso della vita si realizza nell’agire rapidi, ed inaspettati, chiudendosi come una pinza creata per tagliare il flusso di un massiccio acquedotto cittadino.
Placida, tranquilla, addirittura amena può essere una forma come quella del cerchio. Solida e coerente quella del quadrato. Ma è il triangolo, tra tutte, ad essere la più dinamica e aggressiva, spigolosa, intonsa di un pesante senso di minaccia di natura primordiale; quello espresso, a suo modo, dal genere australiano e delle isole limitrofe degli Arkys, un gruppo di ragni tessitori della famiglia Araneae che in un momento non specificato della loro esistenza pregressa devono essersi detti qualche cosa sulla falsariga di “Chi ha davvero tempo per fare questo?” Abbandonando l’abitudine di creare le tipiche appiccicose trappole di forma grossomodo circolare. Scegliendo in modo alternativo di affidarsi alla rapidità fulminea delle proprie zampe anteriori, capaci di chiudersi con una forza sufficiente a mantenere intrappolata un’ampia varietà di possibili prede. Predatori dunque di quel tipo aracnide alternativo, cui appartengono anche i cacciatori salticidi, ma tutt’ora inclini ad adottare l’originale tattica dei propri antichi predecessori ancor più tradizionalisti contemporanei: passività prima del movimento. Pazienza sopra l’avidità. Ben sapendo che qualcosa o qualcuno, presto o tardi, dovrà necessariamente passare di lì.
Creature non troppo studiate dal mondo scientifico, probabilmente per il semplice rapporto tra la quantità di aracnidi esistenti e il tempo disponibile all’interno dei laboratori, i ragni triangolari sono d’altronde particolarmente amati dai fotografi del continente d’Oceania, proprio per la loro abitudine a sostare immobili rendendo molto facile l’inquadratura, anche alle loro dimensioni assai ridotto che raramente superano gli 8-10 millimetri nella femmina, circa 6 nel maschio. Per non parlare dell’aspetto sostanzialmente identico tra i sessi per ciascuna singola specie, nonché straordinariamente variegato tra queste, in un tripudio di colori, forme e approcci molto personalizzati al concetto di mimetismo. Poiché non c’è agguato maggiormente inutile, di quello che persino una mosca potrebbe anticipare. Soltanto il suo concetto di chiarezza non è sempre, oppure necessariamente, identico a quello di un imponente bipede del mondo bipede dei Sapiens…
Nota: Immagini via Wikipedia, Arachne.org.au e Why Evolution is True. Sopra: Arkys walckenaeri, il ragno triangolare comune.
La specie più strettamente associata a questo genere risulta essere dunque quella dell’A. walckenaeri o Arkys comune, così denominato scientificamente dal naturalista francese Eugène Simon, per rendere omaggio all’insigne collega e predecessore Charles Athanase Walckenaer, scopritore tra le altre cose della più antica mappa di navigazione riportante la posizione del Nuovo Mondo. E non soltanto per la sua relativa frequenza nell’intera parte occidentale dell’Australia, particolarmente sul finire dell’estate quando è solito riprodursi mediante la collocazione di sacche appiccicose con 40-50 uova sulle piante di Eucalipto e d’Acacia. Bensì più di ogni altra cosa, per la notevole armonia cromatica mostrata sul loro dorso, di un colore rosso acceso punteggiato da geometriche macchioline tendenti al giallo, e ulteriori puntini bianchi lungo l’intero perimetro triangolare dell’addome. Un approccio nettamente all’opposto rispetto a quello delle varietà più difficili da individuare, come il notevolissimo A. Alatus grigio e marrone, coperto di accentuate preminenze e un pattern capace di ricordare quello del legno e della corteccia, mentre le spine sulle zampe risultano essere in dimensione ancora maggiore, e rivolte anche all’esterno della loro spietata direzione di chiusura. Notevole aspetto che deriva da una simile comparazione, dunque, risulta inoltre essere la maniera in cui questo ragno giace in agguato con gli arti suddetti raccolti in posizione vicina al corpo, piuttosto che aperti come le mandibole di un formicaleone, proprio per massimizzare la sua capacità mimetica inerente. Un approccio portato fino alle sue estreme conseguenze nel frattempo dall’A. curtulus, alternativamente definito “Ragno escremento di uccello minore” in cui l’associazione a un qualcosa di attraente per il suo pasto futuro risulta essere straordinariamente marcata, grazie alle livrea del dorso a macchie bianchi e marroni, appropriatamente differenziata tra i singoli esemplari affinché il nemico non possa abituarsi a riconoscerla. Un approccio preventivo assai utile anche nei confronti dei predatori più grandi, tra cui gli uccelli che di certo non disdegnano di trangugiare un simile minuto gioiello frutto di millenni di selezione naturale.
Altre specie niente meno che notevoli possono essere individuate nel variopinto A. cornutus, dalle acuminate preminenze in corrispondenza dei lati del cefalotorace e l’A. pulcherrimus preventivamente descritto in una pubblicazione di Mascord del 1980, le cui strisce trasversali sul dorso ricordano in modo particolare l’aspetto complessivo di un’aragosta. Affascinante anche la varietà priva di nome latino chiamata semplicemente “Ragno del monte Mee”, lunga appena 3 mmm, adattata a vivere nella profondità delle foreste pluviali del Queensland e caratterizzata da una sgargiante colorazione gialla, nera e rossa. Difficile capire quale tipo di vantaggio questa possa portare nel contesto dei suoi processi quotidiani di sopravvivenza…
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare per lo stereotipo australiano, ma in maniera totalmente ragionevole considerandone le dimensioni, tutti gli Arkys sono innocui per gli umani, in assenza di veleni pericolosi all’interno dei loro cheliceri rigorosamente rivolti all’interno, come prerogativa di tutti i ragni araneomorfi o per così dire “moderni”, rispetto a quelli dalle zanne verticali che appartengono a linee di discendenza maggiormente antiche, assieme alla presenza dell’organo respiratorio chiamato polmone a libro. Il che non deve necessariamente lasciarne supporre una natura più avanzata o migliore, quanto piuttosto l’opportunità delle due soluzioni anatomiche di coesistere anche all’interno della stessa nicchia ecologica, che consiste nell’attendere pazientemente il sopraggiungere del proprio pasto sulla quieta amaca vegetale di un color verde brillante. Come spesso avviene.
Perché in ultima analisi, non tutto ciò che ronza sa distinguere tra il bello, brutto o ciò che riesce ad essere un sinonimo di morte rapida all’interno delle fauci delle artropodi circostanze. Entro cui la lotta per la sopravvivenza non è certo meno spietata, soltanto perché tende a svolgersi a dimensioni particolarmente ridotte. Anzi, direi che è vero l’esatto opposto!