Elefanti, rinoceronti, bufali della giungla. In mezzo all’erba nella terra dei giganti, alle pendici dei più alti monti del pianeta Terra, qualcosa di minuscolo agita il pesante strato di vegetazione. L’abitante che grugnisce, la creatura onnivora del sottobosco, un parente non così lontano del suino selvatico frequentemente avvistato sui confini delle grandi capitali europee. Sebbene sia stato spostato nuovamente dopo più di 100 anni nella classificazione originaria del 1847, all’interno di un suo genere distinto creato dal naturalista ed etnologo inglese Hodgson, il cui nome in lingua latina riesce ad essere già un programma: Porcula, ovvero “il piccolo maiale” silvania, “della foresta”. Appena 25 cm d’altezza: quasi la realizzazione accidentale del perfetto sogno, tanto a lungo perseguito, di una creaturina casalinga degna in linea di principio di essere affiancata a cane, gatto ed altri esseri considerati affini, per la naturale inclinazione a conoscere e comprendere gli spazi degli umani. Se non fosse per il trascurabile dettaglio, in realtà difficile da superare, degli appena 100-250 esemplari rimasti liberi allo stato brado, tali da farne anche il detentore di un record molto meno desiderabile: quello del singolo suino più raro attualmente in bilico sul baratro dell’estinzione. Avendo dato luogo, nel corso degli ultimi 25 anni, ad una delle iniziative di conservazione più stratificate e complesse di tutta l’India, centralizzata primariamente nel Parco Nazionale di Manas dello stato di Assam, con un possibile (teorico) sconfinamento in Bhutan. Questione particolarmente difficile da confermare, vista la natura schiva e scaltra di questo animale, forse massimizzata attraverso i molti secoli di caccia condotta ai danni della sua linea di sangue, così gradevolmente commestibile e purtroppo totalmente indifesa. Questione di per se ancor meno problematica della costante riduzione del suo habitat, dovuta all’allevamento locale di bovini ed altri armenti, seguìta dall’incendio sistematico d’intere aree ricoperte dalla succitata erba Imperata cylindrica, della poco praticabile altezza di 60 cm. Ampiamente sufficiente per nascondere, d’altronde, le frequenti peregrinazioni dei gruppetti familiari di 4 o 5 esemplari di queste creature onnivore, ciascuno in grado di mantenere il controllo di un territorio di fino 25 ettari, all’interno del quale costruiscono il proprio “nido”. Una vera e propria cupola creata con l’erba intrecciata, dentro cui la femmina si ritira all’inizio della stagione dei monsoni, per mettere al mondo un numero variabile tra i 3 ed i 6 piccoli generalmente una singola volta l’anno. In una quantità purtroppo insufficiente, per far fronte alla potente pressione che grava quotidianamente sulla sopravvivenza di questa specie, per non parlare della predazione naturale ad opera di tigri, pitoni e corvi, mentre manguste e gatti risultano ampiamente sufficienti all’eliminazione sistematica della prole…
La figura chiave nella creazione e gestione continuativa nel tempo del PHCP (Pygmy Hog Conservation Programme) può essere individuata dunque nel Dr. Goutam Narayan, in collaborazione pluri-decennale con il Fondo Durrel per la Conservazione della Natura ed il Ministero Forestale di Assam. Con un processo iniziato nel 1996 per la cattura, allevamento e successiva reintroduzione del più alto numero possibile di esemplari, con una popolazione complessiva all’interno dei recinti sorvegliati del parco pari a 40-60 cinghiali allo stesso tempo, tutti fatti discendere da un gruppo di appena sette individui all’origine del programma, messi fortunatamente in salvo a seguito di un incendio boschivo. Passaggio fortunatamente non determinante nella carenza di diversificazione genetica, come più volte dimostrato dagli studi relativi alle possibili problematiche congenite dovute alla consanguineità. Ostacolo capace di aggiungersi a quello già piuttosto significativo di riuscire a far accoppiare gli esemplari in età riproduttiva, missione talvolta complessa per via dell’occasionale poco interesse da parte del maschio nei confronti della femmina, il che richiede l’introduzione frequente di un terzo incomodo, così da stimolare l’indole naturalmente competitiva di questi animali, portando ad un conflitto che conduce quasi imprescindibilmente all’accoppiamento. Tanto che l’opera degli addetti coinvolti nel progetto è stata descritta in particolari ambienti come affine a quella di un benefico Cupido, in grado di condurre negli anni alla reintroduzione di una quantità complessiva di oltre 180 esemplari, capaci di riportare in posizione maggiormente stabile la possibile sopravvivenza futura di questo notevole animale.
In natura, dunque, il cinghiale pigmeo vive una quantità auspicabile di fino a 8 anni, durante cui riesce a trarre sostentamento dalla sua elevatissima specializzazione allo specifico ambiente di appartenenza. Come vera e propria creatura onnivora, capace di nutrirsi d’insetti, invertebrati e roditori ma anche tuberi e radici, senza risentire in alcun modo della possibile carenza di una delle parti della sua variabile dieta. Con una lunghezza massima di 51 cm ed un peso di fino a 8-10 Kg, questi animali sono inoltre dei veri maestri nel passare inosservati, sfruttando a pieno la loro colorazione grigio-marrone simile al terreno fangoso, sebbene una volta scoperti l’assenza di zanne o una particolare velocità di fuga li renda dei bersagli particolarmente facili per i predatori. Particolarmente importante, a tal proposito, risulta essere nel Programma l’eliminazione sistematica di vegetazione non nativa, capace di ridurre il territorio coperto dall’ingombrante e fittissima erba elefante, niente meno che essenziale a garantire l’esistenza continuativa del piccolissimo cinghiale.
Un tempo diffuso nell’intera zona confinante con la parte meridionale dell’Himalaya, dall’Uttar Pradesh al Nepal, passando per il Bangladesh e il Bengala, l’attuale condizione del cinghiale pigmeo costituisce dunque un monito pesantemente significativo per le condizioni attuali di quest’intera zona fortemente biodiversa e un tempo rigorosamente incontaminata. Dove intere famiglie di creature, in forza delle problematiche cruciali dei nostri giorni, si trovano inerentemente minacciate e prossime alla scomparsa. Ma non è realmente possibile preservare la tigre o il rinoceronte o il sempre più raro rinoceronte indiano (Rhinoceros unicornis) senza mantenere intatto il tipo d’ambiente necessario anche al sostentamento di questi coabitanti forse meno carismatici, ma non meno importanti nel vasto schema generale dell’Esistenza.
Dove chiunque crede che il cinghiale debba avere dimensioni e caratteristiche ampiamente definite, semplicemente, non ha ancora viaggiato abbastanza. E aspetta solo di conoscere, con gli occhi e con la mente, un tipo di creature che ancora sopravvivono soltanto grazie al ruolo di protettori e amministratori d’agenzie matrimoniali svolto dagli stessi umani, un tempo prossimi all’indifferenza, che li hanno condotti fino alla dolorosa prossimità dell’oblio.