Sono sempre stati due, perfettamente complementari: un politico e un guerriero. Un sovrano e un religioso. Un eroe ed uno stregone. Uniti dalla visione comune di un futuro per il proprio popolo, il risultato remoto di una società congiunta, la speranza di un domani migliore. Soltanto non ci sono molti casi, al di fuori del territorio dell’antico impero degli Ashanti, in cui un paio di queste figure spesso contrapposte potessero convergere all’interno di una singola persona, tanto influente nonché infusa di un potere predestinato, tale da rendere possibile una vasta confederazione al compiersi di un singolo gesto. Il braccio sollevato verso il cielo con fare imperioso… La sciabola metallica inclinata strategicamente in modo tale da riflettere i raggi dell’astro solare. Prima di vibrarla, con possanza superiore all’umano, verso il centro esatto della radura tra gli alberi della foresta. Esattamente là dove, 327 anni dopo, si trova ancora. E non per quieta approvazione delle moltitudini, s’intende: giacché analogamente a quanto viene spesso celebrato in merito ad Excalibur dell’altro continente, ove vige una leggenda sono in molti a coltivare il sogno di riuscire un giorno a dimostrarsi ancor più forti ed influenti dell’antica profezia, susseguendosi nel tentativo di ereditare un regno. Anche se una simile estrazione, in questo luogo, avrebbe conseguenze assai più nefaste: l’immediata e irreparabile dissoluzione di tutto quello che Okomfo Anokye ebbe modo di lasciare al proprio popolo in eredità. Ovvero in altri termini, il concetto stesso della loro identità storica e sociale. Chi potrebbe mai mancare conoscere d’altra parte, nell’intero territorio dell’odierno Ghana ed anche al di là di quei confini, la figura di colui che potremmo definire come lo sciamano più influente dell’intera Africa Occidentale, al punto da aver dato il proprio significativo contributo nell’unificare i popoli spesso in guerra tra di loro della vasta etnia Akan? Fino al punto di creare una nazione che sarebbe stata in grado, per i secoli a venire, di resistere e persino sconfiggere in particolari frangenti l’enorme potere ed influenza degli eserciti coloniali europei.
Nato nel villaggio di Awukugua attorno al 1655, come per molti altri personaggi la cui vita è celebrata negli annali delle allegorie nazionali, Anokye attraversò una gioventù segnata da straordinari prodigi. A partire da quello stesso collegato alla sua venuta al mondo, in occasione della quale si narra come il figlio di Ano e Yaa Anubea giacesse con totale calma ed immobilità tra le braccia della levatrice, il pugno desto saldamente stretto e che nessuno, neanche il padre, riusciva a fargli aprire. Finché il bambino, guardandolo negli occhi, spalancò la mano all’interno della quale si trovava un talismano creato con la coda di una mucca bianca (podua) mentre pronunciava le parole “Ano…Kye”, il cui significato in lingua Guan è traducibile come “Guarda… Ano (nome del padre)”. Se non che molto appropriatamente, tale sequenza di sillabe apparentemente impossibili dalla bocca di un neonato sarebbe rimasta indissolubilmente associata alla sua persona. Che notoriamente, negli anni a venire, avrebbe avuto la capacità di scomparire all’improvviso dalla culla, causando grandi preoccupazioni nella madre, che correva per tutto il villaggio alla sua ricerca, soltanto per tornare infine ritrovandolo come se nulla fosse successo. Mentre un giorno, ormai raggiunta l’età scolare, Anokye disse ai propri amici affamati di portargli le stoviglie e i piatti dove erano soliti ricevere le proprie pietanze. E riempitoli con terra e fango, dopo aver pronunciato un incantesimo, li restituì ricolmi di prelibatezze dalla provenienza miracolosa. Punto a seguito del quale, prevedibilmente, il suo destino fu segnato, orientandolo verso la carriera di un Okomfo, o sacerdote animistico capace di fare da tramite tra Nyankopon, l’Onnipotente Padre Celeste, ed i suoi soggetti meramente umani. Tra i quali un uomo la cui missione, affidatogli dal corso stesso della Storia, avrebbe trovato il modo di rendere possibile con grande beneficio della collettività.
Per quanto concerne dunque il ruolo di Osei Kofi Tutu I prima dell’incontro con il suo più possente sostenitore, tutto quello che possiamo affermare è che egli fosse uno dei tanti sovrani di un gruppo di stati tribali privi di caratteristiche particolari, tutti costretti a pagare tributo al più potente, quello dei militaristici Denkyira con la propria capitale presso Jukwaa, nell’entroterra ghanese. Almeno finché in quel fatidico 1655, chiamando a raccolta presso Kumasi tutti i suoi pari delle tribù confinanti col pretesto di un’importante celebrazione religiosa condotta dal suo vecchio amico d’infanzia Okomfo Anokye, nulla avrebbe potuto prepararli in merito a quanto stava per accadere. Quando in un silenzio reverenziale, non soltanto lo stregone estrasse la sua spada cerimoniale e la piantò saldamente nel terreno, dichiarando che qui sarebbe stato situato il nuovo centro del potere collettivo. Ma iniziando una complessa e sovrannaturale salmodìa, a quanto narrano le cronache, chiamò dal cielo stesso una creazione manifesta dell’Onnipotente: il sacrosanto Sika Dwa Kofi, nome traducibile come Sgabello d’Oro Nato di Venerdì. Ora se considerate a tal proposito l’importanza storica del Graal, volendo dare seguito all’istintivo termine di paragone arturiano, potrete soltanto in parte comprendere l’importanza monumentale di un simile oggetto. La cui funzione era non solo quella di legittimare il potere, ma dargli una forma tangibile e per questo facilmente attribuibile a una singola persona. Da cui esso poteva essere tolto, facendolo tornare istantaneamente nulla più che un uomo. Dal momento stesso in cui Tutu ne ricevette direttamente dal suo sommo sacerdote la custodia, diventando il primo degli Asantehene (sovrani) vennero stabilite una serie di regole, inclusa quella secondo cui il sacro sgabello non dovesse mai toccare terra, venendo poggiato sopra un’apposita coperta. Inoltre, ad ogni “incoronazione” il prescelto non avrebbe ereditato direttamente il potere, ma venendo trasportato di peso dall’assemblea dei saggi fino al sacro seggio sarebbe stato posto pochi centimetri sopra di esso, con un gesto poco dignitoso ma capace di sancirne l’autorità. Dovete considerare a tal proposito come secondo l’usanza dei popoli di etnia Akan, ivi inclusi i fondatori dell’impero degli Ashanti, l’eredità di famiglia era possibile soltanto attraverso un sistema matrilineare, per cui molto spesso gli uomini più ricchi ed influenti erano soliti sposare le proprie schiave, affinché i propri figli maschi potessero ricevere almeno in parte le prerogative paterne, senza dover rendere conto a suocere o cognate secondo l’andamento del diritto tradizionale. Ragion per cui il possesso diretto di un singolo oggetto, trasferito mediante una ritualità del tutto nuova, aveva lo scopo di collocare saldamente il potere politico e militare nelle mani del mondo maschile. Idea dirompente nel suo contesto, e tanto risolutiva da porre in essere un’organizzazione valida a sconfiggere più volte sul campo di battaglia i potentissimi Denkyira, i cui sostenitori vennero costretti anch’essi ad entrare nella vasta confederazione soggetta al potere dell’Asantehene, a seguito di un conflitto culminante con la cattura del forte di costruzione olandese di Elmina, nei pressi del golfo di Guinea. In una sorta di diarchia illuminata, a questo punto, Osei Kofi Tutu ed Okomfo Anokye riformarono molte delle leggi e convenzioni sociali del proprio popolo, ponendo le basi di una nuova e duratura età dell’oro. Durata almeno fino al 1717 quando il potente stregone, all’età di 62 anni, si ritirò dalla vita pubblica sentendo che si avvicinava l’ora della sua morte. Non prima di affermare di fronte al popolo riunito che un giorno avrebbe fatto ritorno, grazie a un preparato mistico di sua esclusiva concezione. Per constatare e giudicare i risultati conseguiti a partire dal suo lascito politico ed organizzativo.
Oggi un importante sito turistico nella moderna città di Kumasi, il luogo in cui Anokye infisse la propria spada nella dura terra si trova collocato nel cortile di un ospedale, soddisfacendo la profezia secondo cui esso sarebbe diventato un luogo di guarigione. Coperta da un piccolo tempio con raffigurazioni dei personaggi storici e riproduzione delle loro regalìe, inclusi gli sgabelli (di legno comune) che venivano concessi ai sovrani sottoposti al sommo Osei Kofi Tutu I e i suoi successori al seggio del potere, la spada giace indisturbata, nonostante i molti tentativi che sembra siano stati fatti per rimuoverla nel corso degli anni. Non ultimo quello, citato particolarmente spesso, del grande pugile Muhammad Ali. Benché alcuni affermino che la stessa moderna tecnologia industriale sia stata utilizzata nel tentativo vano di riuscirci, con l’intenzione esplicita di arrecare sventura al popolo degli Ashanti. Senza ottenere, prevedibilmente, alcun tipo di risultato.
Il fato dello Sgabello d’Oro, nel frattempo, risulta essere più complesso. Nel 1900, usato come simbolo, divenne il polo di raccolta di una ribellione destinata a costare la vita di 2.000 africani e 1.000 soldati coloniali inglesi. Rubato in seguito nel 1921 da alcuni addetti alla manutenzione delle strade africane, venne privato dei suoi ornamenti più preziosi, un gesto sacrilego a seguito del quale i ladri vennero catturati dalle autorità europee. Ma piuttosto che essere messi a morte, come richiesto dalle autorità Ashanti, essi furono esiliati per sempre dalla Costa d’Oro, causando non poche proteste tra la popolazione locale. A seguito di tale evento, gli Inglesi giurarono che non avrebbero più compromesso la pratica dei rituali connessi alla nomina dell’Asantehene, che avrebbe tuttavia da quel momento posseduto un potere di tipo più simbolico che effettivo. Ed in effetti, a partire dalla nomina di Osei Tutu Agyeman Prempeh II nel 1935, così fu. D’altra parte, non è facile riuscire a superare la possenza delle antiche profezie, soprattutto quando costituiscono una parte inscindibile dell’identità collettiva di circa 20 milioni di persone. Quasi come se il pensiero della collettività indivisa, in qualche modo, potesse influenzare il corso stesso degli eventi fisici e le arzigogolate svolte della Storia.