Procedendo a velocità sostenuta lungo la Stuart Highway tra Glendanbo e Witinna, tra colline aride distanti e vaste distese di terra rossa, è possibile scorgere una caratteristica insegna; un camioncino di colore scuro con un secchio di raccolta del minerale, posto ad almeno quattro metri d’altezza sopra quattro palafitte recanti la curiosa dicitura “Coober Pedy”. Che poi risulta essere il preciso nome di una rinomata cittadina, la quale in effetti non parrebbe figurare nelle immediate vicinanze di quell’importante punto di riferimento veicolare. Soltanto quella che parrebbe essere una pista d’atterraggio sulla distanza, e qualche casa situata quasi sulla linea dell’orizzonte. Ma a tutti coloro che dovessero ritrovarsi inclini a concedere la visione naturalmente abbreviata delle distanze in un paese dove una singola proprietà agricola può avere le dimensioni del Belgio, in qualità di giustificazione per una tale discrepanza tra l’insegna e ciò a cui vuole riferirsi, consiglierei di parcheggiare, avvicinandosi ad essa con un grado particolarmente elevato di cautela. Per non finire per mettere un piede (oppure tutti e due) all’interno di uno delle svariate migliaia di pozzi d’aerazione mineraria, o altre vie d’accesso al regno abitativo che si estende sotto la sabbiosa superficie in un paesaggio tanto simile agli stereotipi del pianeta Marte, dove per quanto ne sappiamo, comunità altrettanto invisibili potrebbero aspettare solamente di essere scoperte.
Questo perché la cittadina del “Buco in cui Vive L’Uomo Bianco” (kupa-piti in lingua aborigena) popolata da circa 2.000 abitanti al conteggio attuale, presenta ai suoi visitatori un’interessante e senz’altro rara cognizione degli spazi abitativi, convenzionalmente identificata con il termine in lingua inglese di dugout (“scavo”). Nella roccia d’arenaria non troppo resistente, grazie all’uso di strumenti per lo più meccanici, senza bisogno di ricorrere alla dinamite e verso l’ottenimento di ogni sorta di meraviglia: ricche residenze complete di vasti soggiorni aperti all’ospite di giornata, luoghi di ristoro il cui bancone è scolpito nella stessa sostanza di pavimento, soffitto e pareti. Oltre a tutti quei fondamentali luoghi per la conduzione di una vita funzionale, tra cui ambienti dedicati alla ritualità religiosa, imprescindibile momento d’introspezione sotto la supervisione di un sacerdote. E potrebbe anche sembrare di essere accidentalmente entrati in un’antica catacomba, se si effettua il proprio giro con la giusta inclinazione psicologica, vista la presenza di non una bensì cinque di queste caverne ricavate ad hoc, in cui la volta stessa è stata calibrata al fine di richiamare alla mente una vera e propria navata costruita secondo i presupposti di superfici. Con modalità particolarmente evidenti nel caso della chiesa Serba Ortodossa e quella Cattolica di San Pietro e Paolo, le due più imponenti, mentre la antica in ordine di tempo, di matrice Anglicana e fondata negli anni ’60, assomiglia maggiormente alle rudimentali cave costruite al tempo degli imperatori di Roma. Degne di menzione anche le due sale più recenti e tra i cunicole della miniera della Compagnia della Resurrezione Pentecostale e della Christian Fellowship di Coober Pedy, completa di gruppo di studio della Bibbia aperto ad aspiranti di tutte le età. Luoghi di meditazione ed introspezione, ricerca di colloquio con un potere superiore, lontano da ogni possibile fonte di distrazione meteorologica o ambientale. Tra le braccia del grande titano Gaia, personificazione della Terra stessa…
La ragione che ha portato tanti uomini e donne a condurre la propria esistenza in maniera simile a quella degli esseri-talpa di un’ipotetica civiltà extraterrestre è la diretta risultanza di una serie di fattori, stratificati come il sottosuolo stesso di questo arido recesso australiano. Ma che fanno tutti capo, fondamentalmente, a una ricerca di ricchezza individuale, desumibile in maniera pressoché diretta dal più noto soprannome alternativo della città: Coober Pedy, la capitale mondiale degli opali. Niente di così eccezionale, dal punto di vista geologico: acqua piovana che scorre tra le crepe create nel terreno di superficie, andando a trascinare via in profondità gli strati di silicati. Per poi evaporare in un periodo di molti millenni, lasciando dietro di se una pietra iconica nella sua spettacolare iridescenza. Abbastanza costosa da poter finanziare, vendere o comprare interi regni sotto la splendente luce dell’astro solare, oppure finanziare il vivere opulento di svariate famiglie, attraverso il susseguirsi di molteplici generazioni. Nella maniera pienamente dimostrata, per l’appunto, attraverso il secolo trascorso dagli anni ’20 del Novecento, quando i primi consorzi minerari costituiti da soldati ritornati dalla Grande Guerra cominciarono a cercar fortuna in questo ricco territorio scoperto grazie alla prospezione, da cui la preziosa gemma sembrava scaturire con strabiliante e redditizia semplicità procedurale. E un solo, significativo problema: un clima estremamente caldo durante il giorno, quindi gelido nelle ore notturne, come imprescindibile prerogativa dei recessi particolarmente aridi di quel continente. Tanto che qualcuno potrebbe anche aver detto: “Il luogo più piacevole dove abitare è diventato la miniera: 20-25 gradi attraverso l’intero ciclo delle stagioni. Cosa si potrebbe volere di più dalla vita?” E dunque al trascorrere di un giusto tempo per abituarsi all’idea, una buona metà della popolazione complessiva scelse di trasferirsi in quei cupi recessi. Il che non significa, d’altronde, che un dugout debba per forza essere una letterale spelonca inabitabile, vista l’attenzione riservata fin da subito all’allaccio di corrente elettrica ed acqua corrente, oltre all’attenzione riservata alla decorazione delle sue sale. Tanto da rappresentare, per coloro che tanto avevano sofferto all’interno delle trincee nei campi di battaglia di mezza Europa, la manifestazione tangibile di una reggia pietrosa ed accogliente, affine ai leggendari insediamenti dei Nani della mitologia norrena. Fatta eccezione per l’occasionale problematica, vissuta seriamente proprio nel periodo in cui sto scrivendo, dell’allagamento per periodi di pioggia particolarmente intensi. Durante cui l’arrivo dei soccorso risulta essere particolarmente ritardato, proprio per la vastità dell’assoluto nulla che divide questo sito dalla più “vicina” città di Adelaide (848 Km).
Eppure al giorno d’oggi Coober Pedy, le cui attività minerarie sono ancora praticate e redditizie, può fare affidamento su una secondaria fonte di reddito: quella offerta dal turismo di coloro che risultano curiosi, nei confronti di un così eclettico e particolare stile di vita. Arricchito dalla presenza d’importanti attrazioni locali, tra cui la galleria d’arte, il museo minerario, lo storico drive-in. Ed altri monumenti più strettamente associati alle particolari caratteristiche di questo luogo, vedi la grande gru di scavo al centro del paese in superficie o la collina degli stivali, un cimitero con vecchie lapidi scolpite tra cui quella con la forma di un barile di birra, recante l’epigrafe “Fatevi una bevuta per me!” Completa il giro una visita rapida al labirinto meditativo del benessere, tracciato in terra con la forma di un sigillo New Age, e il passaggio della lunghissima recinzione anti-dingo, importante strumento nella conservazione zoologica dell’intera regione.
Comunità straordinariamente remota per quanto possa essere concepibile da parte della mente umana, Coober Pedy possiede nonostante questo anche una squadra di football australiano, i Saints, famosa per la necessità di doversi spostare per circa 900 Km fino a Roxby Downs, dove si trova il resto della Lega. Mentre per tutti coloro che risultano interessati al gioco del golf, di sicuro interesse potrà risultare l’atipico percorso totalmente privo d’erba in cui devono essere i giocatori stessi, incredibilmente a portarsene una zolla da posizionare prima di ciascun tiro. Oltre a dover utilizzare preferibilmente palle fluorescenti, per giocare in quel breve periodo dalle temperature sopportabili che si estende tra le ore del vespro e la notte propriamente detta.
Scelte difficili, misure di compromesso, necessità apparenti per riuscire ad adattarsi ai significativi requisiti di un luogo di residenza tanto differente da qualsiasi altro. Il che d’altronde, non esula dalla necessità di renderlo vivibile sotto qualsiasi spunto d’analisi possa riuscire a risultare rilevante. Finendo per includere, immancabilmente, la comunione più o meno diretta con la propria preferita cognizione di un Essere Superiore. Poiché come si potrebbe mai sperare di trovare gemme preziose in quantità abbastanza elevata da poter raggiungere la prosperità imperitura, senza ricorrere allo strumento ancestrale della preghiera? Verso colui e colei entro cui si sono ritrovati a convergere i plurimi volti di ogni antico essere Divino. Incluso il sommo Vulcano, che dispone d’ogni pietra inclusi gli opali. Soprattutto visto come siano in molti, ancora oggi, a credere che tale pietra possa rappresentare un sinonimo di sventura! Per cui soltanto la fede imperitura, potrà riuscire salvare le nostre anime in questo regno. O il canyon marziano del prossimo, che potremmo un giorno riuscire a colonizzare.