Le più grandi piattaforme vegetali che galleggiano nei laghi dell’Amazzonia

Così divenne uno stato di fatto, nel prolungarsi delle interminabili giornate, che ogni domanda fosse posta al grande oracolo di Lilynet. E le risposte più difficili, ormai una cosa da nulla, si palesassero dinanzi a chi era stato abituato a vivere nell’incertezza. Lilynet, una grande rete interconnessa di pannelli, capaci di fluttuare lievi sopra il mare dell’ignoranza. Nati progressivamente dal diffondersi di un singolo seme, in grado di riuscire a replicar se stesso molte incalcolabili migliaia di volte. E quanti conflitti, quanta sofferenza, quanta distruzione, nell’incedere continuo delle circostanze, sono stati dedicati alla prosperità di questo seme, sommamente dedito all’acquisizione del suo percepito “spazio di sopravvivenza”. Poiché Lilynet è modulare, adattabile e omnicomprensiva. Ma non tollera la deviazione dal fondamentale canone che governa la considera la base di ogni accordo non stretto, qualsiasi configurazione incerta dei fattori interconnessi. Ogni ramo deve avere una ragione. Ciascun gambo in fibra vegetale, assolvere allo scopo di veicolare il grande flusso delle informazioni, mediante l’energia linfatica ricolma del potere della sua scienza. Perché un simile sistema, in natura come in ambito creato dagli umani, può sussistere soltanto grazie all’impiego di circostanze favorevoli alla sua continuità ininterrotta; che potrebbe e tanto spesso necessità della possente luce della grande stella al centro del nostro cielo. Sole, vita, luce incontrastata di una verità importante: che ogni singola creatura dello stagno, dev’essere passata al vaglio dalle spietatissime sub-routine di Lilynet. E quasi mai, gli riesce di superare un così complicato esame.
E perché una simile teoria non resti solamente tale, ecco a voi una breve trattazione esplicativa, gentilmente offerta al pubblico di Internet dalla Tv britannica, per pubblicizzare l’ennesima serie di magnifici documentari con la voce del grande Attenborough: “il tiranno degli abissi” hanno deciso di chiamarlo. E per quanto possa essere opinabile tale collocazione nelle oscure profondità acquatiche (qui si arriva al massimo di 7-8 metri sotto la superficie) non credo nessuno possa anche soltanto pensare di criticare la seconda parte di quel titolo, che vorrebbe anche essere un soprannome. Dedicato alla Victoria amazonica, niente meno, quella che costituisce la più notevole e imponente ninfea dell’intero pianeta Terra, con un’areale distribuito principalmente tra i confini del Brasile ed altri paesi limitrofi dell’America Meridionale. La cui indole inerente implica una forza di autoaffermazione, ed il principio d’annientamento verso qualsiasi possibile rivale, da far l’invidia delle casate nobili al centro della serie di romanzi del Trono di Spade. Una dote… Significativa, quando si prende atto dei circa 3 metri occupati da ciascuna foglia e 40 cm di fiore, di una pianta che non soltanto necessità di ampi spazi, ma vere e proprie piazze limpide di acqua stabile nascoste tra le schiere d’alberi nel sottobosco. Grazie all’impiego di una serie assai particolari di accorgimenti. Non ultimo, un sistema riproduttivo particolarmente insolito e funzionale…

Nei giardini botanici dell’Università di Cambridge, all’interno di una serra dall’ambiente controllato, vengono attualmente coltivati alcuni esemplari di V. Cruziana. Da cui risulta questo video quasi poetico, impreziosito dall’animazione della storia dell’insetto destinato a penetrare nel grande fiore al culmine della sua esistenza.

L’intero genere botanico delle ninfee Victoria, costituito da sole due varietà così chiamate in onore della regina d’Inghilterra dal naturalista John Lindley nel 1837, presenta infatti una particolare inclinazione a fare proprio il desiderio naturale degli insetti, di ottenere un rifugio sicuro e cibo utile a prolungare una non meno complicata esistenza. Affinché una volta propagatosi nello specchio suddetto, le molte foglie ellittiche appartenenti alla specie V. amazonica, o alla lievemente più piccola e un po’ meno aggressiva V. cruziana, sostengano e sviluppino l’eccezionale infiorescenza immediatamente riconoscibile per la sua presenza nello stemma della Guyana, completamente bianca nel primo caso e dotata di alcuni petali vermigli nel secondo. Ma per entrambe le piante, caratterizzata da un possente aroma paragonabile a quello dell’ananas verso il sopraggiungere della sera, che aleggia lieve trasportato dal vento per l’intero primo giorno successivo alla sua comparsa. Periodo durante il quale, inevitabilmente, coleotteri volanti appartenenti alla sotto-famiglia dei Dynastinae, più comunemente detti scarabei rinoceronte, verranno indotti ad insinuarsi nell’interessante pertugio posto al centro di una così appariscente meraviglia della natura. Finendo per restare, inaspettatamente, intrappolati all’interno! Visioni spaventose di possibili piante carnivore, sfruttatori quasi immobili delle circostanze. Creature caratterizzate da una subdola malvagità, capace di sfruttare l’istinto e l’ingenuità degli animali per ottenere un ulteriore fonte di sostanze nutritive, alla base del proprio successo biologico incontrastato nel vasto reame dello stagno. Mentre la realtà dei fatti si trova letteralmente all’opposto; e chi potrebbe mai dubitarne, osservando la lunga notte del coleottero temporaneamente rimasto privo della propria libertà? Chiunque, d’altra parte, potrebbe citare casi in cui l’ingegno straordinario posseduto dalla natura ha superato le aspettative. Un’eventualità manifesta, nel caso presente, dalla maniera in cui per tutto il tempo in cui il fiore resterà chiuso, l’insetto potrà trarre nutrimento dalla sostanza spugnosa che ricopre i suoi stami, assieme al prezioso polline riproduttivo di matrice rigorosamente maschile. Mentre questi ultimi continueranno col trascorrere delle ore a ripiegarsi su se stessi, spargendo molto la preziosa sostanza sulla schiena del piccolo animale. Finché al sopraggiungere dell’alba, precise trasformazioni chimiche porteranno il fiore ad aprirsi del tutto, cambiando tonalità ed al tempo stesso, il sesso. Immaginate voi le implicazioni: un intero campo di possibili punti d’accesso alla soddisfazione gastronomica, ciascuno egualmente attraente a vantaggio del grande consorzio degli insetti interessati a suggerne il prezioso nutrimento. Trasformatisi, al secondo giorno, in recipienti femminili per le proprie rispettive piante d’appartenenza. A questo punto la fecondazione è una certezza. La riproduzione, un letterale gioco da ragazzi. Entro i margini di queste vaste piattaforme galleggianti dal bordo rialzato, dotate di due fessure triangolari per lasciar scorrere via l’acqua piovana.
Assai meno accogliente risulta essere, nel frattempo, la parte sommersa della pianta, vista la presenza di spine che ricoprono completamente il gambo e il lato inferiore di ciascuna foglia, caratterizzata inoltre dalla presenza di vistose venature interconnesse, che l’architetto e giardiniere inglese Joseph Paxton citò in almeno un caso come possibile ispirazione per i multipli pannelli in vetro inframezzati a travi metalliche del suo Crystal Palace, sede principale della Grande Esposizione del 1851. Un ulteriore importante esempio, della maniera in cui tecnologia e natura riescono frequentemente ad assomigliarsi.

In questo giardino botanico presso la città di Taipei, è possibile effettuare un’esperienza più unica che rara: salire sulle foglie di ninfea amazzonica per scattarsi un selfie, a patto che il proprio peso complessivo non superi i 65 Kg. Il che tende a causare non pochi problemi, in tutti quei casi in cui ai visitatori manchi una visione oggettiva dei risultati conseguiti mediante l’applicazione della propria dieta.

Lungamente ricercate in tutta Europa per il loro aspetto ornamentale letteralmente privo di paragoni ed il percepito esotismo di piante così particolari, le ninfee giganti furono al centro per l’intero XIX secolo di un’informale competizione tra giardinieri d’Inghilterra, fortemente intenzionati a replicare con successo il loro habitat paludoso di provenienza. In modo particolare tra i due duchi del Devonshire e del Northumberland, i cui rispettivi signori contavano sul prestigio ottenibile da un simile successo nell’ambito delle scienze naturali applicate. Il primo dei quali proprio grazie all’assistenza del sopracitato Joseph Paxton, sarebbe infine riuscito ad arricchire il proprio orto botanico mediante l’utilizzo di un sofisticato sistema di riscaldamento dell’acqua con stufe a carbone. Ben presto seguito ed imitato con successo dal collega “Mr Ivison” che applicò una tecnica simile all’interno del giardino nortumbriano. Non che la coltivazione delle Victoria sarebbe mai diventata a tutti gli effetti semplice, persino al giorno d’oggi, richiedendo un’attenzione concentrata e duratura nel tempo da parte di giardinieri particolarmente esperti e dediti al conseguimento dell’importante missione.
Sebbene sia possibile, per lo meno, fare affidamento sulla mistica e sconfinata sapienza della grande rete botanica di Lilynet.

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