Una quantità sproporzionata di conflitti assolutamente determinanti per il corso della storia umana furono del tipo in grado di coinvolgere una o più navi, una baia, un golfo, un fiordo marino. Quale miglior modo è possibile immaginare, del resto, per riunire assieme grandi quantità di uomini, potenzialmente armati fino ai denti, in spazi stretti ed agguerriti, sotto l’autorità di un singolo ammiraglio, che issare una bandiera personale sulla tolda di multipli vascelli… Poco prima di orientarne le prue all’indirizzo del nemico, come fossero altrettante punte di lancia pronte a spargerne il prezioso sangue tra l’onde. Sale, fuoco, ferro ed ambizione, furono i principi in grado di guidare tali condottieri e i loro equipaggi, contro moltitudini altrettanto convinte di essere nel giusto. Ma soltanto uno dei rispettivi schieramenti, in ciascun’ora del conflitto, avrebbe avuto l’occasione di lasciare il proprio nome a lettere cubitali nelle cronache indirizzate alla posterità. Figure tanto imponenti, persino colossali, da sfidare l’immaginazione.
Ma non l’arte: vedi l’imponente spada del primo re Harald Bellachioma riconoscibile per l’elsa con l’effige incoronata, piantata saldamente nelle rocce sulla riva dello Hafrsfjord per svettare verso il cielo assieme a quella dei suoi due ultimi e più tenaci nemici, importante baia della penisola di Stavanger, punto d’approdo alla partenza ed al ritorno per innumerevoli spedizioni da parte del temuto popolo dei Vichinghi. Siamo nell’anno del Signore 872, oppure 880, o addirittura 890, in base a quale saga nordica vogliamo usare come fonte ragionevolmente affidabile in materia, quando il suddetto sovrano, figlio del grande capo regionale Halfdan il Nero nonché uno dei possibili scopritori dell’Islanda, essendo giunto a controllare l’intera parte orientale del territorio oggi appartenente alla nazione norvegese, assieme alla parte dell’attuale Svezia chiamata Värmland, potrebbe essersi trovato ad affrontare una coalizione formata da coloro che ancora resistevano al suo potere, guidata dai due capi Eiríkr di Hordaland e Súlki di Rogaland, assieme ad altre figure di primo piano tra cui i fratelli Hróaldr e Haddr di Telemark e re Kjötvi di Agder. La ragione per cui utilizzo il condizionale in merito ad eventi di una simile importanza è che per quanto ci è dato comprendere dalla loro frequente divergenza d’opinioni, non tutti gli autori delle opere letterarie coéve mantenevano un’aderenza pressoché totale alla realtà dei fatti, preferendo favorire nelle proprie narrazioni i rispettivi potenziali mecenati, protettori o semplici possibili ricercatori di soddisfazione per la possibile offesa percepita nelle loro parole. Così la principale cronaca su cui tende a basarsi ogni resoconto possibile della battaglia in questione, la Egils Saga Skallagrímssonar, possibilmente scritta dall’importante figura di Snorri Sturluson (1178-1241) parla di figure spropositate e i loro significativi atti di eroismo, che si muovono accompagnate dalle gesta di una quantità stimabile di fino 250 navi. Corrispondenti, grossomodo, a 10.000 uomini complessivi, il che sarebbe ampiamente bastato a farne uno dei conflitti armati più monumentali della storia nazionale fino a quel momento, se non dell’intero periodo dell’Alto Medioevo, da cui sarebbe emerso un paese forte e indivisibile, capace di resistere per molti secoli a venire. Aggiungete a tutto questo la maniera in cui al concludersi delle ostilità, gli sconfitti sarebbero scappati via per terra e per mare, così da giungere a colonizzare tra gli altri luoghi la più famosa isola vulcanica dell’Atlantico, per comprendere come potremmo trovarci di fronte ad uno dei più importanti punti di svolta nella storia dei paesi del Nord.
Abbastanza da giustificare, e in qualche modo motivare, la costruzione di un così pregno e affascinante monumento. Quello che parrebbe derivare, in maniera tangibile sebbene surreale, dal gesto topico di uno o più giganti, finalmente soddisfatti dei traguardi raggiunti, al punto da potersi liberare del peso significativo delle armi. La famosa metafora della “spada nello scoglio” che non sembra conoscere confini culturali né limiti d’applicazione per l’imprescindibile chiarezza del messaggio contenuto in essa…
Alte 10 metri e costruite in bronzo, presumibilmente da una singola fusione, le tre spade dell’odierno sobborgo di Madla, non troppo lontano dal centro urbano di Stavanger, furono rivelate ufficialmente al pubblico nel corso di una solenne cerimonia al cospetto di re Olav V nel 1983, grazie all’opera dello scultore Fritz Røed originario della cittadina di Bryne nella contea di Rogaland. Costruite con l’esplicita nonché palese intenzione di riprendere l’aspetto della tipica spada vichinga, nonché anticate nella maniera in cui potrebbero esserlo tali implementi in seguito al ritrovamento in una tomba o altro sito archeologico sotterraneo, le imponenti armi mostrano inoltre una colorazione ferrosa possibilmente dovuta a specifici trattamenti, poiché difficilmente la tonalità brunita della lega bronzea avrebbe potuto rappresentare il vero materiale degli oggetti rappresentati. Ciò che traspare invece in modo pressoché spontaneo, è il chiaro messaggio pacifico inerente nella scena immaginabile, dei tre sovrani che depongono una volta per tutte ogni potenziale intento di continuare a combattersi, senza giungere a vendette particolarmente crudeli nei confronti dei rispettivi suddite o dinastie. Il che risulta certamente assai più facile da immaginare, quando mancano le fonti dettagliate di conflitti più prossimi a noi, spesso crudamente dettagliate nel descrivere le spaventose conseguenze di scontri dalle ramificazioni tanto estese. Al punto che osservando il dipinto della battaglia del celebre pittore militare, in Norvegia e negli Stati Uniti, nonché soldato dei proverbiali due mondi Ole Peter Hansen Balling (1823 – 1906) il caotico momento di un abbordaggio tra le agili drakkar o dreki diventa un fermo immagine quasi poetico, in cui eroismo e sprezzo del pericolo si fondono nel balzo di un guerriero arrampicato sull’alberatura marittima con il suo arco e frecce. Mentre al di sotto, una marea d’umanità inselvatichita si lancia pietre, dardi e incrocia le spade, asce e clave al fine di poter riuscire a prevalere sull’altrui visione delle cose. Una rappresentazione tipicamente epica in cui le gesta di pochi, incluso il suonatore di corno sullo sfondo, sembra determinare il fato dei loro sottoposti, in maniera analoga a quella desumibile dalla stessa narrazione della Egils Saga, da cui possiamo tentare di desumere almeno in parte l’andamento effettivo della battaglia. Nella quale il re Harald Bellachioma si trova già all’interno del fiordo con la sua flotta, quando giungono a sfidarlo le forze congiunte dei suoi avversari storici, alleatosi alle loro spalle. Altre interpretazioni vedono accadere d’altra parte esattamente il contrario, con lui che li aggredisce per primo cercando soddisfazione alle mire di conquista che avevano guidato le sue gesta fino a quel momento. Ciò detto, conosciamo almeno in parte la formazione degli ufficiali coinvolti dalla parte del forte sovrano del Värmland, tra cui temuti guerrieri del calibro di Thorolf Kveldulfsson, con il fedele uscarlo Thorgils l’Urlatore (Gjallandi) nonché Bárður il Bianco seguito da 12 temibili berserker (individui capaci di lasciarsi travisare dalla furia guerriera) posizionati sulla prua della nave ammiraglia, come una testa dell’ariete verso il cuore della formazione avversaria. Come ci si potrebbe aspettare in questo tipo di narrazione, la battaglia è quindi aperta da uno scontro diretto condotto dall’eroe, con la nave di Harald che si trova affiancata da quella del rinomato guerriero Thórir Lungomento, destinato a cedere sotto i colpi di quel formidabile equipaggio, dinnanzi al quale non può fare a meno di soccombere in un glorioso scambio di fendenti, potenzialmente assestato con spade non dissimili da quelle dell’odierno monumento. Meno facile sarebbe stato lo scontro successivo, contro il condottiero Önundur Ófeigsson, che si rivelò capace non soltanto di annientare il luogotenente reale Kveldulfsson perdendo a sua volta una gamba, ma porre in essere l’arrembaggio nel corso del quale lo stesso Bárður il Bianco avrebbe ricevuto una ferita mortale. Ormai fiaccati dalla lunga battaglia, gli uomini che si erano contrapposti alle mire di Harald si trovarono tuttavia accerchiati dai suoi uomini, con un ultimo gruppo asserragliato su una piccola isola ai margini del fiordo, sotto la guida dell’ultimo condottiero che gli era rimasto, il re Kjötvi il Ricco. Qui, sconfitti per un’ultima volta, si dice che ricevettero clemenza dal conquistatore, potendo emigrare liberamente verso terre lontane come l’Islanda o persino la semi-leggendaria Vinland, nome vichingo attribuito al Nuovo Mondo.
Sebbene l’effettivo svolgimento di questa battaglia sia largamente destinato a rimanere misterioso, così come l’entità delle forze coinvolte in esso, nella concezione della moderna nazione norvegese esso sarebbe stato identificato come singolo evento di maggiore rilevanza in un lungo processo d’unificazione, che oggi gli storici ritengono possa essersi esteso per parecchi secoli di manovre politiche e soltanto occasionali scontri armati. Ciò detto resta indubbio come successivamente ad un tale data, nessuno dei piccoli regni del paese avrebbe più potuto vantare le risorse, o l’ambizione necessaria a sfidare le imponenti forze della casa reale, rendendo nei fatti palese l’inizio di un lungo periodo di pace interna, antecedente alla formazione di tanti altre realtà indivisibili nel resto del Nord-Europa. Nel 1830 dunque, grazie all’opera dello storico Rudolf Keyser, la datazione della battaglia dello Hafrsfjord venne fatta risalire ufficialmente all’872 in base agli anni che sarebbero passati fino a quella di Svolder (1000 d.C.) in base alla saga della Heimskringla, per raggiungere una data oggi considerata probabilmente inesatta. Il che non avrebbe d’altronde impedito allo stato di celebrarne l’anniversario millenario nel 1872, con una serie di celebrazioni che avrebbero incluso l’erezione del monumento simile ad un obelisco dello Haraldshaugen, presso la distante località di Haugesund ad opera dell’architetto Christian Christie. Ancora molti anni sarebbero dovuti trascorrere, tuttavia, perché l’iniziativa molto più moderna di rappresentare la titanica imponenza di questi personaggi storici, mediante le loro spade deposte in absentia sulla costa dell’Atlantico tempestoso, potesse ritrovarsi esemplificata da un tutt’altro tipo di monumento. Senz’altro più moderno, forse più sinistro nel suo aspetto apprezzabile in linea superficiale. Ma così ricco di taglienti implicazioni, mai così affilate attraverso le tortuose peregrinazioni delle alterne generazioni trascorse.