La battaglia di Chungju del 1592 fu un punto di svolta fondamentale nel conflitto tra Corea e Giappone nato dal bisogno di quest’ultimo, manifestato dal sommo kanpaku (reggente) Hideyoshi, di mantenere impegnati potenti daimyo (signori regionali) del paese recentemente e tanto faticosamente unificato, affinché non continuassero a cercare un metodo per rovesciare il suo predominio. In essa, indubbiamente la più dolorosa sconfitta subita dai coreani, fu dimostrata l’assoluta superiorità di un’arma rispetto a tutte le altre: il moschetto di produzione occidentale, che aveva iniziato ad essere impiegato estensivamente nell’arcipelago dopo i rinnovamenti apportati all’organizzazione militare dal suo precedente conquistatore, Oda Nobunaga. E ci sarebbero voluti altri 5 anni perché l’ammiraglio Yi Sun-sin, alla guida delle sue famose navi tartaruga, rovesciasse a Myeongnyang le sorti della guerra sconfiggendo i comandanti samurai affondando 30 delle loro imbarcazioni prive di corazzatura. Non è tuttavia impossibile provare a immaginare, nel periodo intercorso tra le due cruciali battaglie, un incontro tra guerrieri fermamente intenzionati a dimostrare la fondamentale differenza tra i rispettivi metodi e ideali guerrieri. Da una parte il perfetto spadaccino con l’armatura iconica dall’aspetto di un demone o divinità, forgiato negli ultimi 15 o 20 anni di guerre civili tra individui essenzialmente armati ed abbigliati esattamente come lui, possibilmente rimasto separato dai suoi ausiliari ashigaru, dotati di fucili pericolosamente moderni. E dall’altra il soldato nazionale di una penisola spesso assediata, ancora intento a difenderlo con un qualcosa che fino a quel momento, aveva sempre funzionato con palese ed innegabile efficienza: pyeongon, il suo nome (nell’alfabeto hangul – 편곤) un oggetto che dal punto di vista occidentale non esiteremmo a definire una mazzafrusto, o catena da guerra. Pur venendo essenzialmente dallo stesso attrezzo agricolo, su scala certamente più ingombrante, che nelle isole Okinawa avrebbe dato in seguito i natali al ben più celebre nunchaku, mostrato all’interno d’innumerevoli film d’arti marziali, pur essendo ragionevolmente poco utile all’interno di una vera e propria battaglia. Laddove questo attrezzo, come dimostrato in modo tanto appassionante e scenografico dai due protagonisti del canale YouTube Weaponism, proviene chiaramente dalla stessa costola di tante altre armi inastate, create per poter costituire ostacolo alla fanteria nemica anche quando impugnate da persone prive di un particolare addestramento pregresso. Con il vantaggio ulteriore di poter rappresentare un oggetto chiaramente riconoscibile, e per questo comprensibile, da parte della popolosa fascia agricola della popolazione reclutata ai margini di simili battaglie.
Non che il margine di miglioramento nell’impiego del pyeongon, per chi dovesse possedere una preparazione fisica e marziale adeguatamente approfondita, debba essere del tutto inesistente, come ci dimostra Yum Won-Seop (30 anni) misurando le sue possibilità tattiche contro l’esperta spada della sua compagna e partner di ormai quasi 8 anni Kim Kyung-rim (28 anni) in quella che potremmo quasi definire come una notevole ed appassionante coreografia guerriera, se non nascesse spontaneamente dai legittimi tentativi dei due protagonisti di riuscire a colpirsi a vicenda. Che poi sarebbe proprio il marchio di fabbrica di questi due atipici creativi di Instagram, noti in patria con il soprannome di Hogu Couple. Lui con la riconoscibile armatura d’allenamento dall’aspetto particolarmente eclettico, lei la classica uniforme da kendo, entrambi virtualmente “insanguinati” dall’effetto grafico impiegato ad arte al fine di sottolineare evidenziandolo ciascun singolo colpo portato a segno. Una sequenza nata come forma d’intrattenimento, per immedesimarsi condividendo almeno in parte l’entusiasmo e la frenesia di un simile conflitto, che riesce nondimeno a sollevare alcune questioni interessanti, stimolando in vari ambienti digitali la solita pletora di osservazioni, da parte di un’affollatissima schiera di sedicenti esperti…
La realtà innegabile, d’altra parte, è che il pyeongon sarebbe risultato certamente un implemento arduo da sconfiggere mediante il solo strumento di una spada da fianco (il ruolo che nel campo di battaglia, la “semplice” katana avrebbe finito per assumere inevitabilmente) anche in virtù della distanza minore raggiungibile da parte della sua lama. Ogni considerazione in merito all’abilità con cui la Kim deflette e contrattacca alcuni affondi del partner andrebbero connotati da un’importante presa di coscienza: la maniera in cui il mazzafrusto da addestramento debba necessariamente risultare molto più leggero di quello reale, risultando relativamente facile da contrastare, ancorché maggiormente maneggevole nelle mani del suo utilizzatore. Alcuni dei vantaggi mostrati, tuttavia, restano conformi a quelli che ci saremmo potuti aspettare in un impiego reale di quest’arma; primo tra tutti la maniera in cui, provvedendo a mulinarla anche in assenza di un piano preciso, la sua testa idealmente metallica avrebbe finito per colpire in modo imprevedibile l’avversario, anche di fianco, da dietro ed al di là di una parata perfettamente eseguita. Da questo spunto d’analisi è possibile nel frattempo risalire alle remote origini storiche dell’arma in Estremo Oriente, storiograficamente interconnesse alle lunghe battaglie difensive combattute dalla dinastia cinese dei Song (960-1279) contro i popoli nomadi del settentrione asiatico, tra cui soprattutto i Tangut. I quali erano soliti combattere principalmente da cavallo, utilizzando mazzafrusti simili riuscendo a colpire i soldati dell’Impero anche dietro i loro grandi scudi, impiegati in formazioni tattiche che potremmo paragonare a quelle degli eserciti greci e romani. Sarebbe stato quindi proprio il generale cinese Di Qing, essendo stato chiamato nel 1052 per sedare una ribellione dei connazionali sul confine vietnamita, a far adottare su larga scala le stesse tattiche dei Tangut sotto la propria responsabilità, con un successo tale da giustificare la diffusione a macchia d’olio dell’arma, fino alla penisola di Corea, dove sarebbe già stata affermata, sebbene non particolarmente diffusa, all’inizio della dinastia Joseon (1392). Diventata nei secoli successivi un importante simbolo dell’autorità costituita, quest’arma ispirata direttamente al dorikkae o correggiato, attrezzo per percuotere e trebbiare il grano, avrebbe avuto molte occasioni di dimostrare la sua utilità. Nel consolidamento del potere di re Sejong, sancito dalla costruzione di potenti fortificazioni contro le incursioni dei Jurchen, il futuro popolo dei Manciù. Nelle severe epurazioni condotte dal suo tirannico successore Yeonsangun tra il 1498 e il 1506, infine rovesciato da un sanguinoso colpo di stato condotto dal suo stesso fratello. Ed infine, come elemento collaterale della sudata vittoria contro gli invasori giapponesi a partire dal 1590, finita per costare innumerevoli vittime ad entrambi gli schieramenti, senza portare alcun tipo di vantaggio alle mire espansionistiche die potenti.
In fondo l’epoca in cui un qualsiasi tipo di arma bianca, per quanto efficace e versatile, avrebbe potuto cambiare le sorti di un conflitto su larga scala era ormai trascorsa da tempo, mentre un diverso tipo d’implementi, ben più cacofonici e roboanti, avevano influenzato il modo stesso in cui condurre un confronto tra due o più armate contrapposte. Relegando in modo progressivo ma irrecuperabile la pratica stessa delle arti marziali, un tempo fondamentale appannaggio della classe guerriera, al regno delle discipline spirituali o sportive, del tutto prive di un’applicazione pratica al di là della coltivazione di un corpo sano. Ed è forse proprio questa, paradossalmente, l’angolazione sfuggita ai molti generali da tastiera dell’odierna piazza digitale, formatisi in innumerevoli feroci campagne di Shogun: Total War, nonché ingegnosamente fatta passare dagli autori in secondo piano nell’edizione “occidentale” dei loro video. Perché a volte è meglio lasciare la realtà nel vago, affinché ciascuno veda ciò che maggiormente rappresenta le proprie idee…
Operativi su Internet da almeno un paio d’anni, i due abili praticanti di kendo e altri arti marziali che costituiscono assieme la Hogu Couple vengono piuttosto analizzati presso le testate del loro paese con tutt’altra priorità nell’economia della trattazione. Lasciando un ampio spazio alla loro eclettica storia d’amore, nata quasi per caso all’università e concretizzatosi grazie alla problematica comune di un peso corporeo aumentato per il troppo cibo condiviso, poi trasformatasi in frequentazione congiunta della palestra, ed infine pratica effettiva delle arti marziali.
Al punto che, in uno slogan particolarmente originale quanto spesso ripetuto nella trattazione “Più si colpiscono, più si amano” come esemplificato dai molti video in cui compaiono sorridenti, mentre impugnano le armi più atipiche e storicamente rilevanti, inclusi tridenti gladiatori dell’antica Roma, alabarde e quelli che sembrerebbero proprio assomigliare agli affilati artigli del personaggio dei videogame Voldo. E chi potrebbe negare, a tal proposito, un successo meritato nel riuscire a fare quello a cui tanti altri hanno ambito su Internet? Proporre un tipo di spettacolo a cui nessun altro si era avvicinato con lo stesso stile. E una competenza tecnica, difficilmente trascurabile, sicuro frutto di molti anni di pratica e dedizione.