Diffusa in talune culture è la percezione che gli assetati nel deserto, trascorso un sufficiente numero di giorni, dovrebbero accettare qualsiasi acqua gli venga offerta, non importa quale possa esserne la provenienza. Una metafora perfettamente adattabile, negli attuali anni di tribolazioni economiche, alle più significative tipologie d’investimenti provenienti dall’estero, non del tutto scevre di problematiche logistiche, etiche e sociali. Vedi luoghi come i cinque giganteschi pozzi verticali, il più profondo dei quali di 1,3 Km, scavati nella regione di Khanbogd 235 Km ad est da Dalanzadgad, capitale della provincia di Ömnögovi. Proprio là dove il “buon” vecchio Cinggis, col cappello, la barba e un’imprevista inclinazione a galoppare fino ai più remoti angoli del globo, era solito far scavare i propri sottoposti. Che non erano, come potreste forse immaginare in questo periodo dell’anno, minuti elfi ma mongoli armati di picconi, intenti a tirare fuori il meglio da quella che tutti conoscevano da tempo come Oyu Tolgoi, la “collina turchese” per le strisce color bluastro che campeggiavano tra gli affioramenti rocciosi destinati alla fusione e conseguente fucinatura. Eppure attraverso i secoli, questa fonte principalmente di rame non sarebbe mai diventato un polo minerario di primaria importanza; dopo tutto, c’è soltanto una quantità limitata di pentole e tegami di cui possa aver bisogno il più grande condottiero militare della storia umana. Una situazione, naturalmente, incline a mutare con l’inizio dell’epoca moderna ed ancor successivamente, alla progressiva diffusione dell’energia elettrica e la produzione elettronica contemporanea. Quando non soltanto quel particolare metallo, ma anche i cari vecchi oro ed argento, borati, alluminio e biossido di titanio, hanno visto aumentare il loro valore inerente, non per mere convenzioni del mercato globalizzato bensì l’effettiva utilità primaria nella progressione di effettivi processi produttivi dei nostri giorni. Qualcosa d’incline a permettere, da un lato all’altro dei continenti, la rivalutazione di particolari punti di partenza geografici, per rinnovate valutazioni relative al concetto largamente imprevedibile della prosperità comparativa di un popolo e la sua nazione.
Ecco dunque l’arrivo dell’anno 2003, quando squadre sufficienti a far funzionare ben 18 trivelle esplorative giunsero qui da ogni principale multinazionale del settore su esplicito invito del governo locale, costituendo temporaneamente quello che potremmo agevolmente definire come il più notevole polo di prospezione nella storia dell’estrazione mineraria. Così che da trovare, molto prevedibilmente ed in tempi sufficientemente brevi, quello che già le istituzioni locali avevano sospettato almeno a partire dagli anni 50 dello scorso secolo: ricchezze e abbondanza inimmaginabili. Così come i problemi che, di li a poco, ne sarebbero immancabilmente derivati.
Le impressionanti cucine del Mazaalai, ristorante fatto costruire dal conglomerato Rio Tinto che gestisce la miniera per rifocillare i suoi più di 5.000 dipendenti, sono amministrate dalla compagnia Support Services Mongolia, che ne ha saputo fare un vero miracolo di efficienza e produttività. Così come appare dal dettagliato ed affascinante video prodotto dal canale Artger, importante fonte divulgativa sullo stile di vita degli abitanti di questo distintivo paese d’Asia. All’interno di enormi sale dall’aspetto ragionevolmente spoglio, un letterale esercito di cuochi e camerieri si muove tra plurimi calderoni e massicce pentole, dislocando ingredienti dalla provenienza ed utilità culinaria di almeno una dozzina di culture differenti. Ed è qui, se vogliamo, che inizia il problema; poiché presso il sito di Oyu Tolgoi come in molti altri simili luoghi al mondo, sebbene a una scala 10 volte superiore, una buona parte della forza lavoro è proveniente da paesi esteri e viene pagata di conseguenza, dovendo fare affidamento su competenze ingegneristiche impartite all’interno di sistemi universitari dal più alto grado di competenza tecnologica, o quantomeno instradata all’impiego in realtà aziendali dalle particolari esigenze. In altri termini, un impiegato estero guadagna in media da 3 a 10 volte più di quelli assunti localmente. Ragione da cui probabilmente deriva la necessità particolarmente sentita dall’autore del video di far comparire un membro dello staff mongolo che elogia, con una certa rigidità (comprensibilmente agitato) “L’opportunità che gli è stata data di partecipare a un progetto tanto notevole ed importante” potendo così aiutare i suoi connazionali a “modernizzare le condizioni di vita” in un paese ancora troppo legato al suo antico modo di sopravvivere ed alimentarsi, anche in funzione della sua collocazione geograficamente remota. Così come il sito ufficiale della compagnia, a proposito della miniera in questione, ha sentito di dover inserire una FAQ su pagamento delle tasse e contributi pensionistici evidentemente finalizzata a rassicurare l’opinione pubblica internazionale…
Il trattamento economico all’interno di questo ristorante che come molti altri in giro per il mondo porta il nome dell’orso del Gobi (Ursus arctos gobiensi) dovrebbe, d’altra parte, riprendere quello in uso nel resto della miniera ed in quanto tale generare un certo senso latente di disuguaglianza. In questa interpretazione quasi epica di quello che dovrebbe essere una semplice sala mensa (forse pari, o persino superiore a quella utilizzata dai guerrieri del Valhalla!) dove l’effettiva ed innegabile appartenenza all’etnia locale parrebbe corrispondere, in maniera assai prevedibile, a una collocazione meno prestigiosa all’interno della lunghissima catena di comando. Una mera e comprensibile applicazione del pragmatismo moderno, se vogliamo, che tuttavia non può che evidenziare come le necessità di uno stato in crisi abbiano portato all’arricchimento di forza lavoro straniera, a discapito di quello che avrebbe potuto essere un ancor più significativo incremento della prosperità locale. Ciò detto resta innegabile come l’enorme e ricreata collina turchese dei nostri giorni abbia già costituito un’opportunità di crescita economica totalmente priva di precedenti per l’intera Mongolia, avendo raggiunto a partire dal 2013 l’invidiabile status di fornitore di circa il 3% della produzione annua GLOBALE di rame, con un ulteriore margine di miglioramento futuro previsto negli anni a venire. Stiamo d’altra parte parlando di un deposito sotterraneo stimato attorno alle 2.700.000 tonnellate di quel minerale oltre a 205.000 di molibdeno, 1.900 d’argento e circa 48.000 Kg d’oro, abbastanza per mandare avanti la produzione per almeno i prossimi 50 anni. Abbastanza, in altri termini, per creare una vera e propria società parallela completa di veri e propri insediamenti per la gremita popolazione d’impiegati, così come avveniva all’altro capo del mondo nelle città minerarie del vecchio West. Con dormitori, questa volta, affiancati dalle tradizionali ger (yurte) dei popoli delle steppe, non poi così diverse da quelle impiegate precedentemente dai popoli nomadi che proprio in questo luogo, erano soliti far migrare i propri armenti. In un paese in cui il numero di capre supera di sette volte quello della popolazione complessiva, come fattore risultante da un solido legame coi metodi di sostentamento ereditati dagli antichi predecessori delle principali etnie.
Il che ci porta, immancabilmente, alla seconda questione criticata della grande operazione mineraria della Rio Tinto, coadiuvata dalla compagnia locale Ivanhoe Mines con forti partecipazioni pubbliche, nonché private da parte di membri del parlamento nazionale. Ovvero l’inevitabile impatto ambientale e sociale avuto dall’istituzione di un così grande sito industriale, capace non soltanto di ridurre l’ambiente naturale a disposizione di ben 6 specie naturali protette, ma costituire anche un insuperabile ostacolo al passaggio dei pastori nomadi locali, costretti per questo a spostarsi in luoghi meno fertili o maggiormente esposti alle intemperie invernali, con conseguente morte di una parte dei loro preziosissimi animali. Iniquità ulteriormente aggravata dal rimborso fornito dal governo in base alla vicinanza delle proprie attività al terreno della miniera, piuttosto che all’effettiva entità delle perdite economiche subite, danneggiando ulteriormente alcuni specifici gruppi familiari.
Eppure sarebbe realmente giusto, come fanno alcuni, esaurire la questione relegandola al classico stereotipo dello sfruttamento di un popolo, mirato ad arricchire le tasche dei soliti noti? Un posto di lavoro presso la Oyu Tolgoi rappresenta, al giorno d’oggi, un’opportunità ambita per ampie fasce della popolazione locale, con stipendi più bassi di quelli concessi agli stranieri ma comunque molto superiori a quelli offerti per lavori simili gestiti localmente. Mentre gli standard lavorativi e della sicurezza risultano in linea con quelli più elevati dell’attuale scenario minerario internazionale. Lo stesso ristorante Mazaalai, con le sue cucine immacolate e i tavoli rigorosamente divisi con plexiglass per evitare la contaminazione da Covid ne costituisce un’apprezzabile dimostrazione, per non parlare degli oltre 250 metri quadri di frigoriferi, 100 dedicati alla carne, 125 di freezer ed un’area di 47 metri quadri destinata al compattamento e lo smaltimento della spazzatura. Il tutto coadiuvato dai più funzionali impianti idraulici, di ventilazione ed un sistema antincendio completo di mura capaci di resistere ad oltre un’ora prima dell’arrivo dei soccorsi. Concessione assai probabilmente necessaria, vista la località non facilmente raggiungibile della miniera…
Vivere la propria vita all’interno dell’azienda, offrire le migliori ore della propria esistenza allo svolgimento di un compito senz’altro difficile, indubbiamente impegnativo. Ma che in nessun altro modo, allo stato attuale delle cose, potrebbe raggiungere il proprio essenziale coronamento: e questo vale per coloro che lavorano sottoterra, così come i cuochi incaricati di fornire loro l’essenziale carburante. Poiché una persona che si è persa nel deserto, idealmente, dovrebbe accettare qualsiasi tipo di vettovaglia gli venga offerta. Aspettando pazientemente, senza chiedere nulla, che il riconoscimento del suo duro impegno venga un giorno ricompensato dai potenti.
Il sito della Mongolian Services racconta orgogliosamente, a tal proposito, del giorno 11 luglio scorso durante cui al Mazaalai è stato permesso di celebrare l’anniversario del Nadaam, la rivoluzione mongola del 1921. Servendo dolci a tema e copiose quantità di Khuushuur, i tradizionali gnocchi ripieni di carne originari di queste terre. Piccoli passi, da compiere uno alla volta. Chissà che un giorno, il buon vecchio Cinggis torni di nuovo tra i suoi elfi. Con l’arco composito e una slitta carica d’inaspettate opportunità.