Oh, ce ne sono molti! Aggressivo: se avessi per rostro un monolite io me l’abbatterei sulla pubblica piazza. Amichevole: deve sguazzarvi nella tazza, munitevi di giara quando voleste bere. Descrittivo: è una rocca, è uno scoglio… Ma questo mio naso, messere, è molto più che una semplice appendice. Quando vado a caccia, mi precede di 15 minuti. E agisce per il mio interesse, a discapito delle piccole creature dentro il fiume. Un pesce. Ma cos’è, così d’un tratto? Se non l’abitante dei pensieri maggiormente nebbiosi. E il mangiatore d’ogni cosa nutritiva e fluttuante. Lo chiamarono nel 1838, dal Greco, Polyodon che vuole dire molti-denti, ma la scelta è chiaramente utile a focalizzare l’attenzione sull’aspetto scientificamente più inaspettato. Poiché a poco servono, siffatti premolari e zanne, quando il pasto principale della bestia è il plankton e soltanto quello… Come una balena. O per esser maggiormente precisi, come uno squalo-balena, vista la relativa somiglianza della famiglia (specie sopravvissuta: non più di una) con simili condroitti del tutto privi d’ossa calcificate. Laddove il pesce spatola, nelle sue declinazioni attuali e quelle ormai scomparse, mostra anch’esso in prevalenza una composizione cartilaginea dello scheletro, fatta eccezione per alcune parti della sua preistorica e immutata anatomia. Vedi un naso, per l’appunto, tale da essere l’invidia dello stesso cavaliere di Bergerac. Siam qui di fronte, d’altra parte, a una creatura che potrebbe essere rimasta sostanzialmente immutata fin dall’Alto Cretaceo (120-125 mya) e che fin da tale epoca parrebbe aver saputo ricavarsi una particolare nicchia evolutiva ed ecologica, tale da riuscire a prosperare indisturbata dai molteplici cambiamenti del clima, dell’ambiente e delle condizioni in essere dettate dalla biologia terrestre. Così come possiamo ancora vederlo nel vasto sistema fluviale interconnesso che si estende, come i rami di una grande quercia, dal tronco centrale del fiume Mississippi, mentre si muove tra le acque turbinanti con la bocca aperta simile ad una caverna, le branchie spalancate non soltanto al fine di massimizzare l’acquisizione dell’ossigeno ma per meglio lasciar fluire l’acqua avendo cura di filtrare il contenuto nutritivo all’interno. Ed è nel momento in cui tentiamo di rispondere alla fondamentale domanda, di come esattamente questo pesce riesca a rintracciare le sue minuscole prede, che il colpo di genio che costituisce il fondamento stesso della sua esistenza inizia ad assumere un ruolo centrale nel discorso. Perché come la spada del collega marino, come il dente affusolato del narvalo, come la sega del non meno preistorico Pristidae, occorrerà ad un certo punto far mente locale sul proverbiale rinoceronte nel bel mezzo della sala da pranzo, ovvero quel che originariamente il naturalista Jules Laurent Bonaparte, fratello minore di Bonaparte I, evitò di sottolineare quando giunse ad indicare il nome collettivo dell’intera famiglia. Un rostro, come quelli sin qui citati, senz’altro, benché tale appellativo non sembri rendere pienamente giustizia alla forma piatta e larga della “spatola” che d’altra parte, il tedesco Johann Julius Walbaum aveva utilizzato al fine di crear l’appellativo P. spathula, specifico per la versione americana di una simile creatura…
Che una creatura come quella che in inglese chiamano il paddlefish (pesce paletta) con la sua lunghezza di fino a 1,5 m, dovesse far parte originariamente di una vasta e diversificata genìa è ampiamente desumibile dalle sue caratteristiche anatomiche dominanti, un chiaro punto intermedio verso il raggiungimento di uno stadio di alleggerimento simile a quello degli odierni squali privi d’ossa pienamente solidificate. Il loro stesso possesso di un ampio numero di organelli utili a rivelare il lieve campo elettrico delle prede, simili ma non identici alle ampolle di Lorenzini, parrebbe averle concentrate non soltanto all’interno del fondamentale prolungamento al di sopra della bocca, ma anche sul dorso, attorno alle branchie ed ai lati del corpo, quasi come se la natura avesse realizzato che un qualcosa di dispendioso almeno quanto il “becco” dell’ornitorinco debba necessariamente risultare superfluo al prossimo conteggio dei tratti destinati ad essere lasciati ai margini del sentiero verso l’ottimizzazione evolutiva. Durante le prime fasi successive alla nascita, d’altronde, questo pesce non possiede ancora il rostro, benché mostri già una caratteristica che continuerà a possedere in modo insolito per il resto della sua lunga vita: la presenza di una notocorda, versione più antica e flessibile dell’odierna colonna dei vertebrati. Dal punto di vista riproduttivo, questi pesci sono definiti in lunga inglese dei broadcast spawners, rientranti nel gruppo di creature acquatiche abituate a liberare nella corrente il proprio materiale genetico, sia maschile che femminile, al scattare di particolari momenti nel proprio calendario biologico, idealmente sopra un superficie costituita da pietre sufficientemente lisce e ininterrotte. Questo affinché le uova, una volta fecondate, possano aderire naturalmente al fondale, evitando in questo modo di essere trascinate via dalla corrente. Un destino che d’altronde toccherà alle circa 70.000-300.000 larve scaturite da ciascun incontro amoroso, o almeno quelle in grado di sopravvivere, riuscendo a raggiungere la maturità in profonde pozze, laghi o lanche temporaneamente rimaste separate dal fiume principale. La crescita del pesce paletta richiede purtroppo un periodo relativamente lungo, con la capacità di procreare non presente fino fino ai 2-3 anni d’età per i potenziali padri, 7-10 per le femmine, più grandi e forti delle loro controparti maschili. Il che non ha in alcun modo favorito la conservazione di queste creature, oggi considerate vulnerabili dall’indice dello IUCN causa un calo significativo della loro popolazione, dovuto tra le molte ragioni ambientali soprattutto alla costruzione di dighe o altre barriere sulla rete fluviale americana, impedendo di fatto le fondamentali migrazioni del P. spathula nel corso dei lunghi anni della sua vita, che sembrerebbe attestarsi in media sui 30 anni di età. Sebbene siano stati trovati esemplari che avevano raggiunto un’anzianità più che raddoppiata, come rapidamente desumibile dalla datazione della loro dentatura, un processo talvolta paragonato al conteggio dei cerchi presenti all’interno di un tronco d’albero. Senza fortunatamente dover, per forza, trovarsi al cospetto di una creatura già passata a miglior vita.
Può per questo fare una certa impressione, non appena si tenti di approfondire la questione su YouTube, la quantità di di video reperibili di persone intente a pescare e cucinare il pesce spatola, la cui cattura risulta in effetti permessa in alcuni stati americani dove ce n’è una considerevole abbondanza, tra cui Arkansas, Illinois, Montana, Oklahoma e Tennessee. Mediante la prassi che necessita del sistema atipico e piuttosto crudele noto come snag fishing, che consiste nell’utilizzo di un amo atto a intrappolare il pesce restandogli conficcato sui fianchi o il dorso piuttosto che all’interno della bocca, poiché naturalmente una creatura che si nutre di plankton non ha alcun istinto di abboccare a un’esca di tipo convenzionale. Le sue carni vengono descritte come particolarmente saporite, mentre non meno amato è il caviale prodotto dalle femmine, considerato una valida alternativa al più pregiato storione. Tanto che in epoca recente, allevamenti sistematici di questi pesci hanno iniziato a fare la loro comparsa, anche in paesi distanti come la Russia e la Cina.
Si tende a parlare quindi del P. spathula come l’ennesimo caso di ultimo rappresentante di una famiglia ormai scomparsa, i cui simili andarono perduti in epoche ormai remote e di cui abbiamo solo fossili per individuare l’aspetto le caratteristiche originarie. Il che manca, molto convenientemente, di venire a patti con la triste verità dei fatti ed in particolare quella coinvolgente il cognato cinese noto come Psephurus gladius, anch’esso un Polyodontidae benché capace di nutrirsi primariamente di pesci vertebrati, anche grazie alle dimensioni maggiormente significative capaci di raggiungere i 3 metri abbondanti. Almeno prima che l’installazione di dighe imponenti sul corso del Fiume Azzurro come quelle di Gezhouba e la gigantesca centrale idroelettrica delle Tre Gole, ma soprattutto prive di passaggi dedicati a imponenti nuotatori come loro, portassero alla sua formale ed acclarata estinzione nel recente anno 2019 (conseguenza di un processo che si riteneva ormai avviato almeno dal remoto 1993).
Che un destino simile possa toccare in tempi brevi alla sua versione americana, al momento, non appare particolarmente probabile. Lo stesso IUCN indica, a tal proposito, almeno 10.000 esemplari adulti complessivamente liberi allo stato brado, come un risultato probabile dei circa 1,3 milioni di larve rilasciate a partire dal 1988 nel corso di una lunga serie di programmi ecologici di varia entità. Ogni contromisura, ad ogni modo, appare come niente meno che essenziale. Affinché i nostri discendenti, nei secoli a venire, possano continuare a interrogarsi sui vantaggi esistenziali all’umanità offerti dalla leggendaria bestia citata da Aristofane per tramite dello stesso Cyrano, l’ippocampelefantocamaleonte. L’unica ad avere tanta carne sull’osso sotto-fronte. E una privilegiata linea di collegamento, che ci permetta finalmente di comprendere la sua fonte.