Ogni essere dotato di quattro arti, una testa ed una coda, può essere oggettivamente inserito nell’insieme dei terapodi ed a seguito di questo, manifestare un potenziale persistente. Quello di tornare, per le vie traverse dell’evoluzione, allo stato primigenio di un quadrupede, inteso come la creatura che deambula mediane l’uso di ciascuno dei suoi arti, usati di concerto come ruote della stessa locomotiva. Tutto quello che gli serve, per riuscirci, è avere il giusto tipo di pressione evolutiva, per un tempo sufficientemente lungo tra le strade serpeggianti della Storia. Così siamo soliti affermare che gli uccelli “discendono” dai dinosauri, poiché mantengono talune caratteristiche che corrispondono all’antica stirpe dei giganti ormai scomparsi. Il che si applica nel 99% dei casi, ovvero 9.999.999 su un milione, escluso quello di un particolare uccello sudamericano. Che potremmo definire, per l’unione di questi due princìpi, figlio dell’archaeopteryx e di Lola, il candido bovino che faceva la pubblicità in Tv. Opisthocomus hoazin il suo nome ufficiale, e non chiamatelo un “fossile vivente” (a quanto pare, lo fanno tutti) vista la sua confermata appartenenza al clade dei Neoaves, uccelli che si sono sviluppati in epoca relativamente recente. Sebbene sia ragionevole affermare (di nuovo, è piuttosto comune) che la sua divergenza dal tronco principale di una simile categoria sia avvenuta in epoca remota, vista l’univoca corrispondenza di questa singola specie, genere e famiglia, senza dirette corrispondenza a genìe più prossime, avendo lasciato gli scienziati a discuterne per generazioni. Fin all’epoca della sua prima scoperta e descrizione ad opera del tedesco Statius Müller nel 1776, che fu il primo ad annotare lo strano aspetto, comportamento, dieta e abitudini riproduttive di questo volatile venuta da una potenziale dimensione parallela. Letterale punk dell’Orinoco e delle Amazzoni, il cui nome latino significa per l’appunto “cresta eretta all’indietro” mentre la rimanente parte è assai probabilmente la trascrizione spagnola dell’onomatopea in lingua dei Nahuatl “uatzin“, idealmente corrispondente al suono del suo riconoscibile verso. Un’attribuzione tra le più superficiali nei confronti di una creatura che, per caso o l’effettiva legge di natura, esiste in questo mondo senza un’evidente soluzione di continuità. Vedi la sua notevole prerogativa più effettivamente e propriamente bovina, di poter mettere in atto il piano nutrizionale tipico dei ruminanti.
Già, è piuttosto facile individuarlo, in particolare aree del Brasile, Perù e Guyana, dove lo hoatzin risulta essere abbastanza comune da comparire in folte schiere volatili, con un comportamento gregario che ricorda vagamente quello del nostro comunissimo piccione. Pur essendo sensibilmente più grande, di color marrone fatta eccezione per la testa glabra e blu, dotata di occhi rossi e tondi. E con una lunghezza di 65 cm che lo pone a metà tra un pollo ed un fagiano, nonché una morfologia vagamente corrispondente al secondo, soprattutto in funzione della grande coda apribile a ventaglio. Mentre mastica con enfasi e concentrazione, grandi quantità di foglie e teneri virgulti, per un periodo che potremmo individuare come un buon 90% della sua intera giornata. Di nuovo alla maniera del più grande e familiare degli animali della fattoria, e mediante l’impiego di un artificio biologico che ad esso corrisponde: il possesso, nel proprio organismo, di una formidabile famiglia di batteri, capaci di distruggere la parete cellulare delle piante. Incrementando nettamente la quantità di calorie e l’apporto energetico guadagnabile dalla suddetta materia, se non la gradevolezza del suo particolare e ben riconoscibile odore…
La precipua ed effettiva aspirazione al mondo di coloro che camminano con tutti e quattro gli arti si ritrova dunque in essere anche dal punto di vista pratico, nel corso delle prime settimane e mesi della vita di questo uccello. Quando il suo pulcino, nato al termine della stagione delle piogge all’interno di un nido rigorosamente sospeso sopra un lago, stagno o corso d’acqua, verrà al mondo già dotato di qualcosa di notevolmente caratterizzante: un funzionale paio d’artigli all’estremità di ciascun’ala, perfettamente funzionale al complicato compito di arrampicarsi in mezzo ai rami e sulla corteccia degli alberi, come un novello geco con appena un lieve accenno di piume. Capacità niente meno che primaria per questo giovane ancora incapace di volare, ma abbastanza precoce da comprendere il pericolo dei predatori e l’importanza di spostamenti strategici preventivi, fino al gesto relativamente estremo di lanciarsi verso l’acqua sottostante, un comportamento istintivo cui potremmo trovar netta corrispondenza nel distante universo delle rane. Ed a cui fa seguito una sorprendente dimostrazione di abilità nel nuoto, fino alle radici dell’albero materno lungo il cui tronco il coraggioso pulcino potrà facilmente ritornare ad arrampicarsi. Almeno fino all’acquisizione del suo piumaggio da adulto, il segnale fisiologico per la scomparsa degli artigli, nella stessa maniera in cui avviene anche nella famiglia di volatili geograficamente non distanti dei musofagidi africani, o turaco (vedi). E resta proprio questa dunque, la prova più spesso indicata della presunta associazione tra simili volatili ed uno dei loro molti possibili antenati dal punto di vista tassonomico, la lucertola alata dell’archeopterige, sebbene nell’assenza di effettive prove fossili che non si tratti di un semplice caso di convergenza evolutiva. In una lunga serie di studi e tentativi di approfondimento che hanno finito per portare alla pubblicazione di uno studio (Gerald Mayr, 2011) capace d’individuare punti di contatto tra gli hoatzin e alcuni fossili del periodo dell’antico/medio Cenozoico (65,5-30 mya ca.) ritrovati presso la costa africana della Namibia. Tali da far sospettare l’effettiva provenienza di questo uccello, non più antico dell’Oligo-Miocene (22-24 mya) come la diretta risultanza di un trasferimento di esemplari oltre le vaste distese dell’Oceano Atlantico, mediante il verificarsi di un particolare e raro caso: la creazione accidentale di una zattera di materiale vegetale, abbastanza resistente da approdare fino alle distanti coste d’oltremare.
Considerazioni sull’improbabile natura di un simile impresa preistorica, l’effettiva evidenza degli odierni hoatzin può essere considerata quella di creature assolutamente non migratorie, soprattutto in funzione della loro limitata capacità di volare. Questo per l’effettiva collocazione del loro fondamentale laboratorio di disgregazione delle foglie, situato non nello stomaco (o una pluralità di questi) bensì all’interno del gozzo sovradimensionato, lasciando poco spazio per i muscoli necessari all’articolazione delle ali. Nonché una voce, utilizzata nei loro sguaiati richiami, che è stata descritta come simile a quella di un fumatore incallito, mentre l’effettiva parte esterna del collo risulta essere protetta da una solida barriera carnosa simile al cuoio, utilizzata dall’uccello per riposare la testa sui rami quando la tasca situata all’interno risulta essere colma di cibo. Nella creazione di una poltiglia facilmente digeribile anche ai piccoli durante la nutrizione assistita della prima parte della loro vita, assieme alla quale verranno inoculati anche i batteri stessi, permettendo la continuazione di un ciclo rivelatosi proficuo per un così lungo tempo pregresso, lungo gli alterni sentieri dell’evoluzione.
Considerato fin da tempo immemore come un cibo dal sapore sgradevole, probabilmente a causa del suo forte odore di fermentazione (non a caso, lo hoatzin viene chiamato anche “uccello puzzola”) tale essere non ha dunque subìto particolari pressioni ad opera dei cacciatori di sussistenza in alcun recesso del suo vasto areale. Permettendogli di continuare a riprodursi liberamente, fatta eccezione per la problematica ed imprescindibile riduzione progressiva del suo areale ripariano, vissuta in maniera analoga a quanto fatto da ciascun altro appartenente ad una simile, complicata situazione ecologica dei nostri giorni. Nella più totale assenza di normative internazionali o classificazioni formali ad opera di enti come lo IUCN, la precarietà del suo futuro resta formalmente ipotizzabile, soprattutto in funzione della natura più unica che rara dei suoi tratti genetici dominanti.
Può perciò succedere, quando le congiunzioni astrali risultano essere davvero ideali, che la cosiddetta marcia di ogni essere vivente verso un più evoluto “domani” possa prendere vie traverse. Iniziando a muoversi diagonalmente o per così dire, di lato. Come fatto da un pulcino che si arrampica verticalmente, mentre i suoi genitori tentano per quanto possibile di distrarre il falco, il rettile o il mammifero arrampicatore. Ed anche questo, lo sappiamo bene, è parte inscindibile della fondamentale muuu-sica del cosmo. Che faticosamente ruminiamo, alla ricerca ritmicamente imprevedibile dell’unica e tangibile (ir)realtà.